Terminata l’interpretazione di La ronde, l’attore austriaco va a Hollywood per recitare in un western e in un film di fantascienza. Stanco di essere considerato “il bello” e “l’angelo perverso”, oggi cerca parti assai diverse da quella del nazista che l’ha lanciato in La caduta degli dei. “È vero che lei recita bene soltanto se diretto da Visconti” ” I critici — risponde — mi trivano bravo anche quando sono guidato da altri registi.”
Roma, agosto 1973
«È una grossa buffonata!» Helmut Berger lo dice con decisione, sembra perfino adirato, lui che di solito è calmo e cortese. La «buffonata» definita grossa è la notizia secondo la quale l’attore austriaco si sarebbe legato sentimentalmente a Liza, la figlia che Elizabeth Taylor ha avuto dalle terze nozze, quelle con il produttore Mike Todd. «E le spiego anche perché è una buffonata — incalza Berger. — Mentre a Cortina recitavo in Il mercoledì delle Ceneri con la Taylor, Liza non c’era. Stava in Svizzera a studiare, altro che passare le vacanze vicino alla madre! E poi diciamolo subito chiaramente: io, Liza, l’ho vista pochissime volte. E il matrimonio non fa parte dei miei progetti a breve scadenza.»
Allora quali sono questi progetti a breve scadenza, che escludono il matrimonio? «Sto per andare in America, a Hollywood, — risponde — dove sono stato chiamato per due film. Un western e una storia di fantascienza. Ma per il momento sono impegnato ad arredare il mio nuovo alloggio romano. Ho lasciato da poco l’appartamento in via Frattina dove ho abitato quattro anni e ho comprato una villa, non molto grande, un po’ fuori Roma.»
A Roma Helmut Berger ha messo ormai le radici. Dopo tutto è stato proprio il cinema italiano a scoprirlo e dargli la celebrità. La sua prima grande chance, è forse inutile ricordarlo, fu costituita dalla parte di Martin von Essenbeck in La caduta degli dei, il film di Luchino Visconti. Helmut, dall’ambiguo fascino («tra l’angelico e il demoniaco» secondo un luogo comune) si è rivelato, con una sola interpretazione, attore di statura internazionale. E quel che più conta, ha colpito subito l’attenzione delle spettatrici. Di qui, una girandola di definizioni, da «un nuovo Sharif biondo» a «un altro Alain Delon ma più bello e dolce». E lui lì, a ventidue anni, celebre di colpo, a sopportare etichette e slogan. Sono arrivate immediatamente altre parti, diversissime tra loro, come l’emaciato fratello di Micol in Il giardino dei Finzi Contini di De Sica, il re folle che vive in un mondo di fiaba di Ludwig di Visconti, il croupier vorace di Così bello, così corrotto, così conteso di Sergio Gobbi. A proposito di questo film, che in Italia ha avuto così scarso successo, chiediamo a Berger: «Dicono che lei, senza la guida di Luchino Visconti, sì senta insicuro sul set, poco preparato. C’è del vero?». Non aggiungiamo quello che molti insinuano: ossia che Berger è un attore di grande rilievo soltanto con «il maestro Visconti», mentre negli altri casi, sotto altri registi, va a confondersi con le centinaia di ragazzi biondi e avvenenti che cercano di sostenere ruoli antipatici, «diabolici» insomma, per convenienza commerciale.
«Non voglio essere il nuovo Widmark»
L’attore riflette, ma non a lungo. La risposta gli viene facile: «Sono stato scoperto e lanciato da Luchino Visconti, è vero, lo sanno tutti. Vede, Luchino, come pochi altri registi, sa far recitare i suoi attori al meglio della loro capacità. Con lui o si lavora dando il massimo o non si lavora affatto. Però da questo al dire che con gli altri registi io reciti male, “da cane”, il passo è molto lungo. Per la faccenda del “diabolico”, dell’”angelo perverso”, tengo a dire che io sono estraneo a queste definizioni e mi secca molto quando me le incollano addosso. Io non ho mai cercato di diventare il nuovo Richard Widmark e tanto meno gradisco che mi si veda come il tipico nazista del cinema, il gerarca corrotto e assetato di potere».
Ha parlato di progetti americani. Ma c’è anche una notizia italiana che riguarda Berger. «È vero che lei sarà il protagonista del nuovo film di Luchino Visconti, Ritratto di famiglia? Si dice in giro che la lavorazione dovrebbe iniziare in ottobre», gli domandiamo.
«Effettivamente, la notizia l’ho letta anch’io. Ma non ho avuto alcuna conferma da Visconti. Sono al corrente del progetto, comunque; so che la sceneggiatura, alla quale hanno collaborato Suso Cecchi D’Amico ed Enrico Medioli, è quasi ultimata. E so anche che oltre al mio nome sono stati fatti quelli di Elizabeth Taylor e Trevor Howard. Ma come dico, nulla di definitivo mi è stato comunicato.»
Berger è di ritorno dalla Germania dove ha interpretato La ronde. È l’ennesima riduzione cinematografica di Girotondo dell’austriaco Arthur Schnitzler, una commedia che ormai appartiene ai classici del teatro. Molti ricordano un film girato più di vent’anni fa da Max Ophül s con un cast d’eccezione. In questa nuova Ronde Berger ha recitato con Maria Schneider e Sydne Rome. E adesso, egli dice, ha bisogno di una breve vacanza.
«Vi spiego perché invidio Hoffman»
«Ha già scelto la località per riposarsi?» «La Spagna! — risponde ridendo. — Un paese meraviglioso dove ho tanti amici, Dominguin, Lucia Bosè, la moglie di Mastroianni, laggiù riesco veramente a distendermi. È l’unico, direi. In Spagna non si specula sul divismo. E la gente ti sorride, con amicizia, anche se sei ’’nessuno”’.»
Il tempo in cui Helmut era «nessuno» è passato da molto. Oggi è una «star», per meriti propri e anche, diciamolo, grazie alla etichetta di «bello e perverso». «È faticosa da portare, questa definizione?», gli domandiamo. «Non c’è dubbio — confessa. — Mi costringe ad assumere atteggiamenti che mi sono totalmente estranei, falsi. Mi spiego: il mio attore preferito è Dustin Hoffman, e mi piace molto anche Marcello Mastroianni. Ebbene, io li invidio. Perché nella vita e sullo schermo hanno volti da uomini comuni, come se ne possono incontrare un po’ dovunque. Diciamo che sono apparentemente anonimi. Per me, quella che molti benevolmente chiamano la bellezza è un grosso handicap, come lo sarebbe anche per gli altri. Crea mille complessi e sdoppia la personalità. Ci sono stati momenti in cui ho odiato i miei lineamenti, con tutto quello che comportavano, i commenti delle donne e via dicendo. Ho desiderato avere una faccia diversa.»
«Lei, Berger, ha raggiunto, oltre al consenso della critica, il successo mondano. Quando uscì a Parigi il film Il bel mostro la città era tappezzata da gigantografie con il suo volto. Pochi attori hanno avuto questo privilegio. E a giudicare dalle cronache mondane non c’è festa importante cui lei non sia invitato. È soddisfatto di questa sua esistenza?»
«No. Io sono soddisfatto soltanto quando lavoro. Al tempo di La caduta degli dei sono stato per cinque mesi estraneo alla vita degli altri, ero occupato a riflettere e a lavorare. Ancor oggi, se posso, agisco in quel modo. È una vecchia abitudine, questa dell’isolamento. Io sono nato a Salisburgo da una famiglia benestante, mio padre è proprietario di alcuni alberghi. Quando il lavoro me lo concede, io ritorno: sovente sui luoghi della mia infanzia e della mia adolescenza e provo un grande sollievo nel sentirmi lontano dalla mondanità, dai fotografi e da tutto il resto. Non da oggi so che il successo può cambiare tutto, persino la personalità, e può anche alterare i ricordi. lo cerco di evitare questo pericolo. La gente spesso invidia gli attori, legge avidamente le notizie che riguardano il mondo dello spettacolo e lo immagina popolato da gente fortunata e felice. E invece gli attori, in moltissimi casi, sono persone sole, con i nervi fragili e la paura di essere superati da un nuovo divo, più giovane e più bravo.»
«A questo proposito, dicono che lei sia invidioso del successo dei colleghi, e che sia anche insicuro come un bambino viziato. È una calunnia?»
Una parte brillante con Liza Minnelli
«Lo dicono quelli che invidiano il “mio” successo e le occasioni felici che Visconti mi ha offerto. Io non ho nulla da rimproverarmi. Credete al giudizio dei critici? Ebbene, quando è uscito il film La colonna infame di Nelo Risi i recensori hanno avuto parole buone per me. E sono certo che il fatto si ripeterà per Il mercoledì delle Ceneri. Non vedo l’ora che lo mettano in circolazione: il mio personaggio, al fianco di Elizabeth Taylor, è abbastanza diverso da quelli che ho animato fino ad oggi.»
Helmut Berger è nato nel 1944 (sotto il segno dei Gemelli). Quando la Taylor (classe 1932) stava diventando una «star», lui era ancora un ragazzino ma sognava già di fare l’attore. «Che impressione le ha fatto — gli domandiamo — recitare scene ’”appassionate” sul set con la Taylor?»
« Ero emozionato e tremendamente confuso. Il regista Larry Peerce mi ordinava di stringere Liz tra le braccia e io non riuscivo a cancellare dalla memoria, in quel momento, il ricordo di quando mia madre mi portava a Salisburgo a vedere i suoi film. Cercavo di non perderne neppure uno. lo ero a scuola presso i padri francescani di Feldkirk, vicino alla frontiera svizzera, e tornavo a casa soltanto per le vacanze.
Avevo già la passione del cinema, tare l’attore era il mio ideale, e di conseguenza facevo il possibile per andare al cinema tutte le sere. I padri francescani, dice? Sì, ho avuto un’educazione di tipo cattolico, molto rigida. Temo che sia stato molto duro per mio padre accettare l’idea di avere un figlio attore: nazista per volere di Luchino Visconti e “amante” di Liz Taylor per necessità di copione. Oggi è rassegnato. Ma per incominciare a recitare dovetti inventare diecimila bugie. Prima dissi che volevo andare a Londra a perfezionare l’inglese, poi parlai delle necessità di studiare l’italiano nella università per stranieri di Perugia. Soltanto in quel modo riuscii a sfuggire all’autorità patriarcale della mia famiglia.»
«Lei è chiaramente timido, arrossisce quando parla, evita lo sguardo dell’interlocutore. Persino nella stretta di mano rivela un certo timore nei rapporti con il prossimo. Ma perché ha scelto di fare l’attore?»
«Io riesco a trovare una vera personalità soltanto davanti alla macchina da presa. Vuole sapere che cosa mi piacerebbe, adesso? Recitare in un film brillante, magari accanto a una Liza Minnelli. Cabaret, ecco l’ideale per me: sarei stato un mimo ben truccato, irriconoscibile. Il cinema europeo mi ha condannato ad essere un bello, spero ora che il cinema americano mi offra altre possibilità. Magari a costo di diventare brutto. Ricorda Ludwig? Ebbene, sono stato molto soddisfatto quando ho dovuto recitare con i denti macchiati di nero e la mascella alterata.»
«Qual è il più bel riconoscimento che ha avuto nel corso della sua carriera?» « Una fotografia di Marlene Dietrich, di quando era Lola-Lola in L’angelo azzurro. Sapendo che io avevo fatto la parodia di quel personaggio in La caduta degli dei Marlene mi ha mandato la sua immagine con la dedica “Quale delle due pensate sia preferibile?”.»
Giorgio Bensi