Colloquio di Guido Aristarco con Luchino Visconti dopo la presentazione di Rocco e i suoi fratelli alla Mostra di Venezia 1960.
(GA) Il successo di Rocco — Leone d’oro o meno — costituisce, ampio e unanime qual è; una bella soddisfazione anche per chi, come me, ha sempre creduto nella tua personalità artistica, e non da oggi ti considera l’autore più tipicamente classico del cinema italiano del dopoguerra. Non tutti sono ancora d’accordo su questo punto, ma intanto vedo che certe mie definizioni, a cominciare da quella per me importante di “romanzo cinematografico” attribuita a certe tue opere, tra le quali Rocco, vengono riprese in genere dalla critica: quella, almeno, che non confonde il romanzo con l’affresco. So che mi hai cercato, che hai chiesto di me, prima e dopo la proiezione veneziana di Rocco. Possiamo riprendere qui e ora il nostro colloquio: non ero infatti al Lido. Ho voluto essere solidale con i registi, gli autori italiani, assumere in qualche modo un mio personale e concreto atteggiamento di fronte al caso Lonero, o meglio a quanto sta dietro a esso. Ho seguito tuttavia la Mostra attraverso gli inviati di Cinema Nuovo, e su Rocco ho letto molto di quanto si è scritto all’indomani della proiezione. La prima domanda che vorrei farti, è questa: Cosa pensi delle recensioni al tuo ultimo film?
(LV) Ti dirò francamente che non le ho lette tutte; e non è nemmeno che quelle che ho letto, le ho lette completamente. Sì, salvo qualche caso. Non è poi che sempre mi interessino eccessivamente. Nell’insieme mi pare che il film sia stato se non compreso in profondità, però accettato. Accettato cosi, per la sua denuncia abbastanza violenta, senza peli sulla lingua insomma; che sia stata, questa denuncia, accettata anche da chi, in fondo, non miaspettavo che la potesse accettare, o che la gradisse molto. So di un giornalista che, dopo la proiezione di Rocco alla critica, ha detto: “Questo è un film che darà fastidio all’85% degli italiani. Va benissimo”. Mi ha fatto piacere. Piacere che si capisca, cioè, che se si fa qualche cosa, bisogna non dico dar fastidio, ma per lo meno buttare un sasso in mezzo a uno stagno, in mezzo a delle acque stagnanti, smuoverle queste acque, no? Mi sembra che questo sia un po’ il nostro compito, almeno se non si voglia fare, non so, il fabbricante di scatolette… Naturalmente c’è chi si è avvicinato alle profonde intenzioni del film, e chi invece le ha accettate così… Ma nell’insieme, questa unanimità o quasi, salvo il signor Rondi e qualche altro, che non contano naturalmente, è importante. Raramente ho ottenuto consensi dalla critica di sinistra, di centro e di destra insieme.
(GA) Questa unanimità di consensi credo si debba al fatto che ormai, nonostante le ripulse e le condanne di un tempo, sei entrato “di forza” nella cultura italiana, e non soltanto cinematografica e italiana. Una volta eravamo in pochi, molti pochi a credere — ricordi? — in te, e memorabili rimangono le battaglie in difesa di Ossessione, La terra trema, Bellissima e Senso. Ma il tempo cammina, e oggi è “obbligo”, per tutti o quasi, in un modo o nell’altro, riconoscere il tuo peso e la tua importanza. Credo poi che l’unanimità di consensi dipenda anche dal fatto che non tutti hanno compreso la dimensione reale di Rocco, il valore di certi personaggi. Si è puntata, mi pare, l’attenzione più sulla tragedia che sulle indicazioni che la tragedia offre, su Rocco e non anche su altri personaggi. Buzzati, a esempio, scrive che “Simone è il male, e Rocco il bene”, e non si accorge neppure della presenza, credo determinante, di Ciro. “Non può aver valore il discorsetto finale di Ciro”, afferma. A che cosa dunque fai risalire, più esattamente, l’unanimità dei giudizi?
(LV) Non so. Forse ai pregi dell’opera che sono accettati da tutti; cioè a certi valori, insomma, che non sono tutti quelli ai quali do importanza. Un’opera è accettata anche per quei valori ai quali dai meno importanza.
(GA) Anche i tuoi precedenti film avevano quei valori generali cui accenni ma, fatta eccezione forse per Le notti bianche (ed è per me comprensibile: conosci il mio parere al riguardo), la critica di fronte a quei film si comportò in modo del tutto diverso. D’accordo: un’opera viene accettata anche per quei valori ai quali l’autore dà meno importanza. Ma non ti sembra curioso il fatto che altri, insieme a Buzzati, diano cosi poca importanza al “discorsetto” di Ciro, a Ciro cioè, e si ostinino a non vedere, nel tuo film, precise relazioni e precisi contesti sociali, tutto un nesso d’impegno artistico e civile che partendo da Ossessione arriva a Rocco, attraverso La terra trema, Bellissima e Senso? Il film è bello, dicono quasi tutti, e meritava il Leone d’oro; ma molti, quasi a scusarsi presso il colore dei loro giornali, subito aggiungono: “Badate, non è il solito film polemico di Visconti”. Dicono, quei critici, di non essere “contenutisti” — e invece lo sono, in un modo e in una direzione piuttosto discutibili — e confondono Rocco con L’idiota, senza capire che caso mai si tratta di un ribaltamento dialettico del personaggio dostoevskijano. Non avvertono cioè una tua critica, fatta appunto attraverso Rocco, alla “bontà evangelica”. Rocco, tu dici, è pericoloso quanto Simone. A me sembra che Ciro, il dimenticato Ciro, sia la chiave di tutto il film, della sua direzione umana.
(LV) Ti dirò che il personaggio di Ciro è un personaggio che ho sempre tenuto molto presente anche in sede di sceneggiatura. E mi ricordo che non ero sempre d’accordo con i miei collaboratori, i quali dicevano: “No, non bisogna dare a Ciro questo carattere, questo valore”. No, “io dicevo, bisogna darlo”. Mi ricordo che ho fatto delle lunghe discussioni, perché volevo un Ciro forse un po’ duro, forse un pochino anche crudele verso la sorte del fratello caduto, diciamo. Io insistevo: “È cosi, è giusto che sia cosi, perché Ciro difende certi valori, piano piano acquista una coscienza: se la fa vivendo a Milano, e diventando operaio specializzato, in una fabbrica come Alfa Romeo; lui certe cose le vede in un modo diverso dai fratelli, non può non essere un po’ duro”. “Ma così diventa un personaggio troppo crudele, troppo cattivo”. Io dicevo: “No, non è troppo crudele, troppo cattivo, è un personaggio un pochino, come dire?, intransigente”, ma però mi sembra sia giusto, e poi alla fine ha una commozione sincera, una commozione sincera che non lo fa per niente sgarrare dalla sua strada. Ciro ha detto: questa è una strada giusta; ed è l’unico che in fondo impari qualcosa.
(GA) Quindi è Ciro il personaggio veramente indicativo di uno sviluppo, nella storia?
(LV) Secondo me è il personaggio veramente positivo nel senso migliore, ed è il personaggio che conclude il film. Cioè lo conclude in senso positivo; altrimenti la storia sarebbe stata forse troppo negativa…
(GA) Il significato della storia — la conclusione positiva — è dunque Ciro e non Rocco. Nel passaggio dal soggetto al film, di fronte alla realtà che ti si presentava mentre giravi, molte cose si son venute modificando, hanno subito trasformazioni. Già questo era avvertibile nella sceneggiatura stessa rispetto al soggetto, dove Rocco muore, e l’accento, il significato della storia, viene posto più su di lui che su Ciro; e Luca, seguendo appunto l’indicazione di Rocco, insieme con la madre torna alla piccola e arida terra lucana. Ricordo di aver scritto, al riguardo, e mentre il film era ancora in lavorazione: “È certo sin d’ora che Rocco e i suoi fratelli — il cui titolo, per questo spostamento di peso dei personaggi, potrebbe essere cambiato in Ciro e i suoi fratelli — non sarà un romanzo delle “illusione perdute” come Le notti bianche“.
(LV) Avevi visto perfettamente; la tua osservazione anzi mi ha spinto a chiarire meglio il personaggio, a insistere su Ciro. È stato, ripeto, l’argomento che ho più difeso in sede di sceneggiatura, perché gli altri non erano tanto d’accordo; mi dicevano: “Ma no, sbagli; vedrai che ne fai un personaggio troppo cattivo, troppo duro, antipatico insomma”. Ma non può essere antipatico, Ciro: è un personaggio che in certe scene, quando veramente è un po’ duro col fratello — e gli dice: “Vattene via da Milano, vatti a costituire”, — potrà anche essere un po’ sgradevole al momento, ma poi alla fine si capisce quale è stata la sua “chiave”, quando cioè dice a Luca: “Nessuno ha voluto bene a Simone come io gliene ho voluto, nessuno. Quando siamo arrivati a Milano, io ero un po’ più grande di te, ed è stato Simone a insegnarmi che noi al paese avevamo vissuto come bestie, e che bisognava far valere certi diritti. Io l’ho capito, lui se n’è dimenticato. Ecco che io sono l’erede di questa prima idea, e io cosi la applico”.
(GA) Così Ciro è il personaggio che offre l’avvio per un’altra storia…
(LV) Sai, ce l’ho sempre in testa un séguito. Quando finii La terra trema, pensavo a un séguito; finito Rocco, penso a un séguito. Per me è Ciro il séguito, insomma. Probabilmente è Ciro che si sviluppa un po’ pratolinianamente; diventerà un piccolo borghese, poi forse un grosso borghese. Non lo so ancora, ma lo sento così…
(GA) Pratolini, e al tempo stesso il ciclo di Verga…
(LV) … laggiù, laggiù nella sua Sicilia che guarda, coi capelli bianchi, che sorveglia. Cosi avrò concluso il ciclo de La terra trema, in fondo, hai capito, invece di rimanere sui minatori e sui contadini come era nel progetto iniziale. Ma io ho sempre sognato di fare la storia della borghesia milanese, prendendo come spunto la mia famiglia, la famiglia di mia madre, diciamo. Proprio quello sviluppo lì, quella borghesia che è diventata poi la borghesia ricca. Questo mi appassionerebbe fare.
(GA) Il vecchio film su Milano…
(LV) Sì, ma come “se fa” nel mondo in cui viviamo? Sì, sì, io ho sempre sognato — ne ho parlato con te, Guido — di fare proprio quella storia, ma però agli inizi del secolo no, alla fine del secolo, e poi lo sviluppo della borghesia.
(GA) Mi avevi anche detto che non potevi farlo, quel film, perché non c’è più la Milano di una volta, e a me sembrava strano…
(LV) Sì, non c’è; ma hai ragione: la si ritrova a Pavia, a Mantova. Ci sono città che sono ancora un po’ la Milano di allora, e poi certe corti di Milano più o meno ci sono. Mi sarebbe sempre piaciuto farla, ma proprio prendendo quello che era la verità di quell’ambiente lì, che è diverso da come in fondo, quando tocca quell’ambiente, il cinematografo fa: lo sbaglia, no, lo falsa; non è mica vero, è molto più semplice, molto più alla buona, specialmente a Milano. Un ambiente… io me lo ricordo molto bene, anche da bambino ci sono vissuto dentro; sento l’odore, l’odore…
(GA) Penso che col film su Milano, la tua Milano fine secolo, tu possa fare un’altra opera importantissima, sulla falsariga di Senso, importante come Senso. Ma ritorniamo a Rocco. Ho letto una tua affermazione: “Sarà il pubblico che deciderà”. Credi che Rocco avrà anche un successo di pubblico?
(LV) Io spero che lo abbia questo successo. Perché ho visto che anche il pubblico particolare di Venezia, che però è diviso in due categorie — c’è quello del Palazzo e quello dell’Arena, — ha seguito il film con molto interesse. Ho letto in un giornale i giudizi di alcuni spettatori interrogati a caso, dopo la proiezione del film, e devo dire che erano giudizi molto giusti. Uno ha detto: “Sono rimasto estremamente impressionato, e sono uscito con un senso di paura e di sgomento”. È giusto. Bisogna averla questa paura, bisogna averlo questo sgomento. Una signora, madre di famiglia, ha detto: “Mi sono profondamente commossa; quante ne passa quel povero Rocco!” È un giudizio, se vuoi, semplice, molto semplice ma abbastanza giusto. Bisogna prender parte, seguire sia le vicende dell’intera famiglia sia in particolare la vicenda di Rocco, per capire il film e gli altri personaggi. Ora questi giudizi, che sono di un pubblico anonimo, mi fanno ben sperare per quello che sarà l’interesse di un grosso pubblico, come quello di Milano, insomma.
(GA) Dunque anche il pubblico, come la critica, cambia atteggiamento dinanzi alla tua opera, si sta facendo più sensibile e maturo? e, esso ha guadagnato molte posizioni negli ultimi anni.
(LV) Quel pubblico che c’è stato sino a poco tempo fa, che si adattava a qualunque prodotto, che soprattutto voleva cose di tutto riposo che non lo facessero né pensare né sgomentare né impaurire né angosciare, quel pubblico per fortuna non c’è più, o, meglio, c’è ancora solo in parte. Mi sembra che ci sia stata un’evoluzione in questo senso, nella ricerca di temi più importanti, più attuali, anche di emozioni più vere, più profonde e sentite che non l’emozioncina alla lacrimuccia. Io ho sempre visto, nelle pochissime visioni che ho fatto del film prima di Venezia — poche: quattro o cinque — che se c’erano delle donne, piangevano: le ho viste piangere, uscire dalla proiezione sconvolte di lacrime. Ora la presentazione veneziana, che è stata un po’, come tu sai, interrotta da volute “beccate”, forse avrà disturbato un po’ quello che può essere l’attenzione di una sala. Allora l’emozione magari si è sentita un po’ meno, ma sono sicuro che questo sarà uno degli argomenti maggiori per il successo del film, la commozione che può venir fuori dalla storia della famiglia Parondi.
(GA) Come è andata precisamente la proiezione al Palazzo del cinema?
(LV) Pare che alla proiezione ci fossero tre o quattro ministri democristiani venuti giù apposta, tre o quattro deputati comunque, i quali sùbito dopo la proiezione hanno detto: “È uno schifo, una vergogna, un film che non può essere assolutamente premiato”. Dopo di che hanno influenzato la giuria. A. parte il russo che non vuol essere coinvolto in quel giudizio, a parte Tofanelli che si è comportato bene, a parte l’americano e il polacco, gli altri erano contrarissimi: quel glottologo, e l’altro, l’altro italiano che non nomino. I francesi han portato l’acqua al loro mulino, quelli ciao, pazienza, son francesi; dicevano: “Pigliamo un premio per la Francia”. Hai capito? Così sono andate le cose. Le parti che li hanno indignati di più sono, manco a dirlo, la scena della violenza alla Ghisolfa e l’uccisione di Nadia. Va bene. L’uccisione: più che ammazzare una ragazza… non è che sia una cosa all’acqua di rosa, certo che può dare un po’ di noia allo stomaco. La scena della violenza è la scena della violenza; pare che le mutandine li abbiano sconvolti. Le mutandine buttate in faccia a Rocco. Uno, durante la proiezione, ha gridato anche “Schifoso!”, “Vergognoso!” Va male, Guido, va come va l’Italia, che va male. Va come è andato sempre… solo ce ne accorgiamo nei momenti di punta, ma sempre così va. Vorranno vendicarsi, chiederanno per Rocco cose impossibili, ma noi ci opporremo.