Dal nostro inviato speciale
Venezia 3 settembre, 1954, notte.
Il film Senso ha avuto buona accoglienza, nella sala del Palazzo del cinema, gremita quasi come per la Romana, (A proposito, sono i film italiani che richiamano più folla, alla Mostra; qualche anno fa accadeva diversamente). Sugli zittii hanno avuto la meglio, per la nuova opera di Luchino Visconti, i caldi applausi. Ed è sembrato evidente a tutti che questo film contiene bellissimi brani. Ma se di una pellicola si dice «contiene bellissimi brani» vuol dire che, nel suo complesso, giustifica le perplessità di un giudizio per lo meno controverso. Al complesso di Senso, che era fra i più attesi film del Festival, va subito conferito il merito di un’accuratezza di fattura quasi sempre squisita; ogni scena è il prodotto di meticoloso e paziente studio, governato da un gusto raffinato, Non s’incontrano sciatterie, in Senso, nulla è buttato giù alla meglio; la compattezza stilistica nasce da ricerche ed elaborazioni su cui si è meditato a lungo, con costante rigore critico.
Il riconoscimento riguarda specialmente i valori formali dell’opera; sono quelle che le danno prestigio, come ad ogni film di Visconti. Li abbiamo incontrati anche nella sua Terra trema che tuttavia, a suo tempo, ci ha trovati dissenzienti; come ci trova, dissenzienti Senso, per certa parte della sua sostanza narrativa. L’uso del Technicolor, ad esempio, in Senso è magistrale; la fotografia del compianto G. R. Aldo e di Robert Krasker è splendida, pur con certi preiziosismi e con certe singolarità, per esempio l’esclusione dei primi piani e il costante ricorso ai campi medi e lunghi; ed eccellente lo sfruttamento della colonna sonora, specie per le voci e i rumori di fondo. Ma soprattutto è felice l’ambientazione; quasi tutte le sequenze sono riprese, per gli interni come per gli esterni, fuori degli studi, nella concretezza di scenografie non solo realistiche ma reali. Di certe straduzze di Venezia, di certi campi del Vicentino, di certe ville patrizie sono date immagini fortemente e poeticamente suggestive.
Il realismo di Senso, nondimeno, sembra cominciare finire qui, nelle scene e nei costumi che danno la vividezza del presente, di un presente trasferito nella sfera delle emozioni artistiche, alla evocazione di un passato in parte fantastico e in parte storico.
La vicenda di Livia
Quasi tutto il tessuto narrativo appartiene, per contro, alla favola romantica, certe volte esasperata nei toni del melodramma, specie all’epilogo. Cinquanta pagine di un racconto ottocentesco, una delle «Storielle vane». pubblicate da Camillo Boito, hanno ispirato il film. Boito intitolò quelle pagine Senso – Dallo scartafaccio segreto della: contessa Livia; e vi narrò una vicenda sgradevole, la storia degli amori e degli odi d’una patrizia di Trento, durante le guerre del Risorgimento, e di un corrotto ufficiale austriaco. Dai fatti e dai caratteri del Boito il Visconti, stendendo il soggetto del film, si è discostato al punto che il canovaccio nuovo ha soltanto una remota consanguineità con quello vecchio; si può dire che, sostanzialmente, esso appartenga al Visconti e ai suoi collaboratori nella sceneggiatura.
Nella pellicola, la. contessa Livia Serpieri si lega in un rapporto morbosamente sensuale con il tenente Franz Mahler, il quale fa parte del presidio austriaco di Venezia, nel 1866. Calpestando i suoi sentimenti patriotici alla vigilia della guerra, la dama, che pure conosce l’abbietto animo del suo amante, cinico e vile, non esita a consegnargli, perché egli corrompa i medici e, falsamente dichiarato infermo, sia esentato dal servizio, la somma ingente affidatale in custodia dai capi di un’organizzazione di congiurati, in lotta per la redenzione del Veneto dall’oppressione. Avendo tradito la sua causa, Livia non tollera che Franz tradisca il suo amore; e quando egli furiosamente la ripudia e la svergogna, preferendole le donnacce comprate con il denaro avuto da lei, lo denuncia come disertore; egli è fucilato alla schiena, la vendetta corona nel sangue la torbida passione.
Senso, specie negli episodi iniziali, in cui una manifestazione patriottica si inserisce in uno spettacolo teatrale, ha la materia del Romanticismo rovettiano. Più in là, per i convegni dei due nelle sordide camere d’affitto, acquista, fermenti nuovi: ci saremmo. attesi, per un amore così violento, slanci e cupidigie più probanti, perché Senso giustificasse il suo titolo ed il suo assunto, e tutto invece raggela in figurazioni decorative, nelle quali cristallizzano i personaggi ed i loro stimoli. Ma quando il racconto si accende, nella scena fondamentale d’epilogo, divampa un fuoco da opera in musica. La scena nella casa di Franz che, sorpreso da Livia in compagnia di un’etera, trascende contro di lei insolentendola a sangue, suona falsa ed ampollosa. E non ha una spiegazione accettabile. Sembra che l’ufficiale provi rancore contro la donna che lo ha aiutato a disertare, e perciò è complice di un suo atto spregevole: ma perché questo risultasse plausibile, occorreva che egli fosse prima della diserzione un uomo d’onore ed avesse rispetto di sé: mentre invece, non senza impudenza, ostentava la sua codardia.
Bellissimi brani
Visconti, in definitiva, ha assai meglio descritto che raccontato. Anche stavolta, ha fatto uno splendido affresco, ma le figure che lo popolano hanno reazioni spesso inesplicabili, opera d’arte riuscita solo in parte e tuttavia con un suo fragile incantesimo, con una sua forza evocativa; le manca l’equilibrio dell’architettura quando dal paesaggio passa all’uomo. Anche le fa difetto lo scavo introspettivo: e una commozione sincera, un abbandono ai trasporti. Tutto è ammirevole e tutto è gelido, più pensato che sofferto.
Ci sono bellissimi brani, dicevamo. La ricostruzione della battaglia di Custoza, nonostante certe sequenze oleografiche; la confusione e la concitazione degli uomini che corrono, gridano, si battono, muoiono, L’intrusione di Franz, nottetempo, nella villa di Livia: il suo rifugio nel granaio, l’ansia della donna, l’impassibilità e l’insensibilità dell’uomo. Squarci belli, che fanno mosaico ma non fanno quadro. Alida Valli, la contessa Livia, è stata una discontinua interprete, talvolta fremente ma più spesso assente: e non molto meglio può dirsi di Farley Granger, il tenente.
(…)
Strane, del resto, le reazioni del pubblico al Palazzo del Cinema: quando si pensi che gli episodi migliori di Senso sono passati nel silenzio ed i deteriori hanno provocato battimani fragorosi, stranissime davvero. La tecnica dei consensi va rivista e migliorata, se non si vuol correre il rischio di apparire battendo fuori tempo le mani, più sconsiderati che colpevoli.
Arturo Lanocita