È stata la Schneider a convincere Delon a compiere il grande passo. La cerimonia si svolgerà a Parigi ma la loro casa è a Roma. L’attrice corre dalla Sicilia in Francia per preparare i documenti. I genitori di lei sono ancora contrari al matrimonio.

Palermo, settembre 1962

Il castello di Sòlanto è vicino Bagheria, a una ventina di chilometri da Palermo. Non è proprio un castello, è piuttosto una grande casa colonica a due piani, di vecchia pietra. L’unico particolare che ricorda il castello è il portone, enorme, di legno massiccio: incute subito un certo rispetto.

Alain Delon e Romy Schneider hanno passato qui la loro estate. Una strana estate fatta prima di interminabili giornate di lavoro e di pesanti notti di sonno, poi di lunghe nottate di lavoro e di afose giornate di sonno, nelle stanze arroventate dal sole siciliano.

Sotto la regia di Visconti, Delon gira Il Gattopardo; interpreta il personaggio di Tancredi, il nipote di don Fabrizio Corbera, principe di Salina. Romy non ha nessuna parte, passa l’estate a Sòlanto per rimanere accanto ad Alain. E per imparare, soprattutto. Segue, ai margini del set, ogni gesto di Visconti, ogni sua mossa, ogni sua parola; poi nei momentj di pausa segna tutto su un diario, commenta, sottolinea gli aspetti della regia che le sono parsi più significativi. Con bell’ordine, con molta pignoleria, con una costanza tutta tedesca.

Da quando ha lasciato i facili ruoli delle commediole brillanti, Romy ha pianificato quella che sarà la sua carriera, fino al giorno in cui intorno al suo nome non ci saranno più discussioni e sarà per tutti una grande attrice.

Non esita ad ammetterlo lei stessa, con quella sua voce infantile, senza alti né bassi, così adatta al suo fisico fragile, ma dietro al quale si intuisce una ostinazione tutta teutonica. «Avevo quattordici anni quando debuttai in un film con la mamma», dice sedendo tranquilla e composta col suo libriccino di appunti fra le mani. «Mia madre si chiama Magda Schneider, è una celebre attrice. Anche mia nonna era una celebre attrice, e papà, il primo marito della mamma, era attore. Recitare quindi non mi è stato mai difficile: il mestiere ce l’ho nel sangue. E poi la mamma ha sempre tenuto moltissimo alla mia carriera e mi ha aiutato in ogni senso. Ma, prima di conoscere Luchino Visconti, interpretavo solo parti sciocche. Quando mi rivedo in quei miei primi film, con una faccia da ebete e vestita di crinoline, mi viene il disgusto».

NON LA ANNOIA

A cambiare completamente la sua vita e la sua carriera fu Alain Delon. I due giovani si conobbero interpretando insieme il film Christine. «Ero così abituata a sostenere la parte della principessina che lo guardai come si guarda una scarpa e lui mi giudicò insopportabile», confessa con un sorriso timido Romy. «Piano piano le cose andarono per il meglio e quando Alain partì per Parigi, piansi. Non avevo che un’idea in testa: raggiungerlo. In casa mia scoppiò uno scandalo. Non facevano che dirmi: ’’Come? vuoi raggiungere quel buono a niente?”. Ma io non volli saper ragioni. Certo, Alain non è un uomo facile, ma che me ne faccio di un uomo facile? Le persone facili sono insulse, annoiano, e io detesto annoiarmi. Quando arrivai a Parigi compresi che la mia vita era lì fra quella gente, compresi il significato della parola libertà. E cominciai ad avere fiducia di me stessa. Ma c’era ancora il mio patrigno, la mia famiglia dietro di me. Loro non volevano che cambiassi, che niente cambiasse. Poi Alain mi presentò a Visconti e tutto invece cambiò».

Con Luchino, Romy ha avuto due esperienze definitive per la sua carriera d’attrice. Ha recitato in teatro, a Parigi, nello scottante dramma elisabettiano, Peccato che sia una sgualdrina. Ha recitato davanti alla macchina da presa nell’episodio ”Il lavoro” di Boccaccio ’70. Poco a poco la paffuta “Shirley Temple teutonica”, come la chiamavano i critici cinematografici italiani, si è trasformata in una vera attrice oltre che in una donna affascinante e sofisticata.

Visconti è diventato un suo idolo: «Gli devo tutto», mi dice seguendo con i suoi occhi di porcellana l’alta figura di Luchino. «Mi ha spiegato la vita, mi ha liberato da tanti sciocchi complessi: bisogna pensare che fino a quattordici anni sono stata in un collegio di monache».

Sorride. «Sono molto cambiata, anche fisicamente», dice maliziosa come se si studiasse allo specchio. «Basta osservare il mio volto che non è più rotondo ma allungato, ovale». Poi lo sguardo le cade sul libriccino che tiene fra le mani e torna a parlare di lavoro.

«Osservare Visconti mentre dirige un film», dice, «è un’esperienza preziosa. Conta più questo che frequentare i corsi di un’accademia, di qualunque accademia, anche quella di Strasberg. Lui suggerisce un determinato atteggiamento, e io imparo; lui vuole una particolare espressione, e io imparo…». Lo dice senza falsa modestia, ma anche senza umiltà. È soltanto un programma, il perseguimento di uno scopo ben definito.

A Visconti danno fastidio perfino i tecnici, mentre gira una scena; se appena potesse, ne farebbe volentieri a meno. Ma lei no, la sopporta, la cerca con uno sguardo pieno di benevolenza, se una sera non c’è Romy (anzi “Romina”, come la chiama affettuosamente) diventa irrequieto. È un po’ una sua creatura, è stato il primo a scoprirle un carattere, a rivelarne un temperamento.

«Quello che ammiro in Romina», spiega Visconti, «è il coraggio che ha dimostrato a suo tempo nell’abbandonare carriera e popolarità in Germania. Era ricchissima: guadagnava centinaia di milioni. Eppure non ha mica ceduto. È stata due anni senza far nulla. A parte il debutto teatrale che le feci fare a Parigi, quello di Boccaccio ’70 è stato il primo film che ha interpretato dopo la serie di Sissi. È perfetta nello sketch: ha il mestiere nel sangue, Romina…».

FIDANZATI DA QUATTRO ANNI

Come nel caso di Salvatori e di Annie Girardot, Visconti ha sempre visto di buon occhio l’idillio Alain-Romy. «Quando la incontrai la prima volta con Alain», dice Luchino, «pensai subito che era l’unica donna che potesse vivere al fianco di Delon. Mi piacque la durezza, il coraggio che è in lei. Lo dico sempre ad Alain che deve tenersela cara, Romina. Sono una coppia commovente. Si vogliono bene. Lei gli mette le briglie al collo ma lui ha bisogno di qualcuno che gli metta le briglie al collo, altrimenti si perde dietro a ogni sottana. Per questo non capisco perché non si sposino, cosa aspettino a sposarsi».

È la domanda che fanno tutti da un pezzo. Sono quattro anni, ormai, che il loro idillio va avanti, tanto che sembrano aver rimpiazzato gli eterni innamorati di trent’anni fa, Douglas Fairbanks e Mary Pickford. In quest’estate di lavoro sono stati sempre insieme: sia sul set, sia nei vari momenti di evasione.

Eppure qualcosa di nuovo c’è in questo celebre idillio. Dovrebbe essere un segreto, i pochi amici che lo sanno conoscono la proibizione assoluta di parlarne: ma è proprio in una di queste passeggiate notturne per Palermo che Romy e Alain hanno finalmente deciso la data delle nozze.

Si sono accorti che la posizione di eterni fidanzati rischia anche di stancare. Non loro, magari, che ci si trovano benissimo, ma certamente il pubblico. Come coppia di promessi sposi, Alain Delon e Romy Schneider hanno interessato, qualche volta hanno fatto perfino colpo, con le loro brusche separazioni, con le litigate vivaci, con le picche e le ripicche che portavano lui verso Katy O’Brien, magari, e lei verso Max Cartier. «Ci sposeremo quando avremo un po’ di tempo», dicevano, portando come scusa gli impegni di lavoro. Ma ormai tutti hanno cominciato a dubitare di queste nozze. Pochi presero sul serio le parole che Alain disse a una giornalista romana nel corso di un’intervista.

«In genere», spiegò Delon, «i matrimoni tra attori sono esperienze disastrose. Ma i pochi che resistono sono eccezionalmente fortunati. Io sono convinto che, sposando Romy, non farò un passo falso. Non sopporterei di fare questo mestiere e trovarmi a casa una donna che non capisce i miei problemi, che non può discutere con me su ciò che faccio e su ciò che dovrei fare. Il mio mestiere mi impone di trascorrere dei periodi lunghissimi in Paesi stranieri, spesso in luoghi estremamente disagevoli. Trascinarmi. dietro una moglie ed obbligarla ad aspettarmi per giornate intere in una camera d’albergo o nell’atmosfera caotica di un set sarebbe per me molto penoso. Molto meglio una moglie attrice che segua nel frattempo un itinerario diverso legato alla sua professione. Resta almeno il desiderio, e poi la gioia di ritrovarsi. Restano molti argomenti di cui parlare. E difficilmente ci si annoia».

Non erano parole: in quei giorni Alain aveva già fissato la data delle nozze con Romy. Di sicuro si sa soltanto che la cerimonia si svolgerà a Parigi. Forse sarà addirittura in ottobre, al termine della lavorazione del Gattopardo; ma comunque entro la fine dell’anno. Nel recente viaggio che Romy ha fatto a Parigi non c’entravano soltanto motivi di carattere pubblicitario o impegni di lavoro: c’era soprattutto la necessità di affrontare fin da adesso le pratiche necessarie per il matrimonio. Finisce l’epoca degli eterni fidanzati, sta per cominciare quella di una giovane coppia di sposi pronti a giocare insieme la grossa carta del successo che resiste al tempo.

Le ambizioni di Romy vanno di pari passo con quelle di Alain. Da questo Gattopardo di Visconti si aspetta molto. «Tancredi», dice, «è un personaggio che sembra l’abbiano fatto apposta per me, misura su misura», e forse non è la solita frase che ogni interprete dice per convenienza. Nel personaggio di Tomasi di Lampedusa, Alain Delon ritrova un po’ se stesso. In quel giovane che lascia la bella vita, il gioco, le donne per partecipare alla grande avventura di Garibaldi, c’è lo stesso giovane che a diciassette anni ha lasciato Marsiglia per arruolarsi volontario nei paras e affrontare la guerriglia in Indocina. Tancredi spiegava al principe Salina: «Parto, zione, parto fra un’ora. Se non ci siamo anche noi quelli ti combinano la repubblica. Se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi…». A diciassette anni, Delon era partito più per spirito d’avventura che per altro; ma la maturità la sta trovando adesso, il personaggio lo capisce a puntino, ci si trova bene in quei panni ottocenteschi.

VORREBBE UNA CASA IN SICILIA

Quando non lavora e non dorme, Delon studia. Nella sua camera, al castello di Sòlanto, c’è una pila di libri che parlano dei Borboni, delle guerre d’indipendenza, della Sicilia. Non ha mai avuto il tempo di studiare, prima. A otto anni faceva già il garzone di bottega, sua madre si era risposata con un salumaio e lui non andava troppo d’accordo con nessuno dei due. Poi si è trovato i mestieri più diversi, scaricatore del porto a Marsiglia; sguattero, cameriere, Così studia adesso, alla rinfusa, approfittando via via degli argomenti che gli offre il cinema. Mentre girava Rocco e i suoi fratelli leggeva opere d’impostazione classista; con Antonioni, nell’Eclisse, ha divorato volumi di tecnica finanziaria e manuali di ragioneria; ora scopre il nostro Risorgimento.

Scopre, col trascorrere del tempo, anche la Sicilia. Lui è un inquieto, ma con lunghi periodi di indolenza, di apatia, soggetto a bruschi cambiamenti d’umore. In questa terra potrebbe esserci nato, ci si trova a casa sua. «Chissà», dice, «che non mi compri un pezzo di terreno e non mi costruisca una casa…».

Da quando hanno fissato le nozze, la parola ”casa” ricorre spesso nei discorsi di Delon. Conserveranno senz’altro quella di Roma, in piazza Lovatelli, ma ne metteranno su una anche a Parigi. «In Italia mi ci trovo benissimo », ammette, «ma non è vero ch’io voglia prendere la nazionalità italiana e trasferirmi definitivamente a Roma. Il lavoro è una cosa, la vita e i sentimenti un’altra…».

Ma lavoro, vita e sentimenti sembrano correre per lui, almeno per il momento, su uno stesso filo. Deve ancora finir di girare Il Gattopardo e già si prepara a interpretare un’altra pellicola: sempre in Italia, sempre per la regia di Visconti, e questa volta gli sarà accanto anche Romy. Del film non si sa ancora niente, stanno ancora preparando il copione. «Poi non so», dice, «ho molti progetti, forse diventerò produttore…».

Non parla, di proposito, del film che aveva già incominciato prima del Gattopardo: Marco Polo, prodotto da Raoul Lévy. Per questo film Lévy si è praticamente rovinato, ha impegnato tutti i suoi capitali, ha fatto debiti notevoli. Doveva essere il suo grande ritorno, il ritorno del magnifico Lévy. Da quando ha incominciato a realizzarlo non glien’è andata bene una: prima ci sono state altre case produttrici che hanno messo in cantiere lo stesso soggetto, come il Marco Polo di Fregonese e Pierotti, interpretato da Rory Calhoun, uscito in questi giorni; poi ci sono stati contrasti tra i finanziatori, poi contrasti con gli interpreti. Alain Delon, che doveva indossare i panni che già furono di Gary Cooper, ha smesso la lavorazione. È un argomento tabù, non se ne parla.

PRODURRÀ UN FILM

Discute volentieri, invece, del film che ha intenzione di produrre, dell’avventura che vuole affrontare a soli venticinque anni, seguendo un esempio che altri attori italiani e francesi hanno preso da Hollywood. È un argomento col quale ha discusso a lungo con Burt Lancaster, il Gattopardo, che di queste cose ha una vecchia esperienza. «Voglio portare sullo schermo la vita di Georges Carpentier. Il personaggio principale lo interpreterò io stesso, e forse anche Romy farà parte del cast. Sul regista non ho ancora deciso, forse lo affiderò a un giovane. Un pugile come Carpentier è diventato una leggenda, in Francia il suo nome lo conoscono tutti… ».

Sembra, in questi momenti, l’operatore di banca dell’Eclisse. Sembra Romy, che sullo stesso diario in cui segna le osservazioni di Visconti annota, alla fine di ogni giornata, tutti i soldi che ha ricevuto e quelli che ha speso, anche le cento lire date di mancia al ragazzino dell’ascensore. Come attore, Delon cerca Visconti, cerca Antonioni; come produttore vuole un soggetto commerciale, un argomento che faccia presa sul grosso pubblico.

Nel cortile del castello di Sòlanto qualcuno sta chiamando. È arrivata la macchina che accompagna Delon, ogni sera, al Palazzo dei Gangi, nel cuore della vecchia Palermo. Lui non guida più, durante la lavorazione del film, da quando Burt Lancaster ha avuto un incidente, ha preso di striscio un bambino, niente di grave. Però dicono che per sistemare la faccenda abbia firmato un assegno di tre milioni.

Nel Palazzo dei Gangi la scena del ballo è al culmine, il film si avvia alla conclusione. È la grande festa di Tancredi e di Angelica, Claudia Cardinale. Romy segue, attenta, gli ordini di Luchino Visconti. Ma ancora più attentamente segue le evoluzioni di questo giro di valzer, i volteggi e i sorrisi amorosi di Tancredi e di Angelica nelle sfarzose sale dei principi Ponteleone. Nel programma pianificato del suo avvenire, le nozze con Alain Delon sono un punto fermo al quale non intende rinunciare.

Gianfranco Poggi