Questo è il film che sollevò alla Mostra le più accese e violente discussioni; per due giorni non si parlò d’altro, amici litigarono per divergenze di giudizio, si arrivò a un punto di saturazione in cui non si poteva più sentir accennare a quel titolo senza protestare. E il lato veramente triste della faccenda è che quasi mai tali discussioni ebbero un carattere di esame critico, ma furono in grande maggioranza discussioni politiche. Luchino Visconti è comunista, perciò tutti i comunisti parlano di «La terra trema» come dell’opera d’un dio; e tutti gli uomini di destra ne parlano invece come d’una vergognosa porcheria. È umiliante che non si possa trovare un po’ di serenità, nemmeno nel giudicare un film, e avrei pagato molto per reperire almeno un comunista disposto a riconoscere che non tutto è perfetto in «La terra trema»; o un liberale il quale trovasse senso d’arte almeno in una sequenza di questo lunghissimo film. Ma non ebbi tale fortuna.

Il film ripete, con alcune varianti, la vicenda dei «Malavoglia» di Verga. Ad Acitrezza i pescatori vivono in estrema miseria, soffocati dai mercanti di pesce che acquistano a prezzi esosi e rivendono con larghi guadagni. Un giovane pescatore, ‘Ntoni Valastro, ipoteca la casa per avere una barca propria, vi riesce, e sembra avviarsi alla prosperità; ma una tempesta gli fracassa la barca egli si trova più povero di prima, e anche un po’ jellato. Nessuno gli dà lavoro, il nonno si ammala, la sorella giovane diventa disonesta, il fratello s’arruola con avventurieri che non si sa cosa facciano, l’altra sorella rinunzia a sposarsi, non sentendosi più degna d’esser moglie d’un galantuomo. E lui ‘Ntoni, si trascina con gli ubriaconi del paese, finché accetta la sconfitta, e torna a chieder lavoro agli esosi mercanti.

Tutto ciò è narrato nello strettissimo dialetto di Acitrezza, da autentici pescatori del luogo, da popolane, da mercanti veri. E ciò dovrebbe fare del film un’opera strenuamente verista. Invece il risultato è opposto, tutto risulta filtrato attraverso un temperamento artistico, tutto risente d’uno stile che è quello di Visconti, e con la pescagione di Acitrezza non ha nulla a che fare. Del resto, se io prendo un pescatore, e gli faccio compiere dati gesti o dire date parole, per il solo fatto d’obbedirmi egli diventa attore,

Le immagini di «La terra trema» sono tutte di singolare bellezza, e ciò è anche merito dell’operatore G. R. Aldo il quale, pur essendo nuovo alla macchina da presa, ha compiuto un lavoro di prim’ordine, Anche i personaggi si muovono e parlano con un’umile bravura che sarebbe stato impossibile ottenere da attori professionisti; peccato che quanto dicono resti un mistero, tranne che per gli abitanti di Acitrezza o, al massimo, di Catania. Infatti, parecchi siciliani d’altre regioni non capirono il film; figuratevi quindi noi.

Le molte cose valide e belle di «La terra trema», soffrono per la prolissità del film; quattromilaottocento metri sono tanti, quasi tre ore di proiezione, e nessuno al mondo è in grado di mantenersi artista per tale metraggio. D’altra parte, Visconti è testardo e innamorato di se. Intere sequenze inutili, anzi dannose al lavoro, avrebbero potuto venir soppresse (ad esempio, quella specie di balletto degli ubriachi, non necessaria all’economia del film, e scarsamente comprensibile). Quasi tutte le scene sono mantenute fino alla fine, appesantendo oltremodo il ritmo della narrazione: soltanto di «code» un regista più equilibrato ne avrebbe tagliato per cinquecento metri. Pare insomma, che Luchino Visconti, facendo un film in difesa del popolo, abbia voluto renderlo intollerabile e indecifrabile al popolo stesso, che è in definitiva quello che riempie i cinematografi dalle seconde visioni in poi, e che, se gli proietteranno «La terra trema» nella versione in cui l’abbiamo veduto noi, sviterà le poltrone della sala per lanciarle contro lo schermo.

Questo è grande peccato, perché, snellito e corretto in alcune sue parti non convincenti, «La terra trema» sarebbe uno dei più notevoli film realizzati in quest’epoca; sembra intagliato nella roccia a volte, quei volti di povera gente non riusciremo a scordarli, quegli atteggiamenti di donne in nero ci resteranno per anni nella memoria. E la scena del mercato, la partenza e il ritorno delle lampare, la salatura delle acciughe: quante cose di prepotente bellezza.

Di non convincente, oltre a parecchie scene superflue di cui s’è detto, v’è il movente primo del dramma, cioè il danneggiamento della barca. Così come lo si vede sembra cosa di poco momento, facilmente riparabile con un martello e qualche chiodo, Bisogna che quella barca affondi, come affonda il carico di lupini dei Malavoglia, perché noi possiamo credere la famiglia piombata in miseria. E poi, non mi si dica che il film è comunista: anzitutto, il disperato desiderio del suo protagonista è d’arricchire e, probabilmente, di diventare un grasso mercante come quelli che lo affamano (e questo è scarsamente comunista). E poi, quei pescatori adagiati nella loro servitù, quei pescatori che sono i primi ad allontanarsi dal compagno ribelle e sconfitto, non hanno la minima coscienza di classe. Se il problema loro fosse elementare come il film lo presenta, basterebbe la costituzione d’una cooperativa a risolvere tutto; e durante i nove mesi trascorsi ad Acitrezza per girare il film, Visconti, in un giorno di pausa, avrebbe potuto benissimo fondare quella cooperativa, se proprio i pescatori non vi riuscivano da soli.

Ma, scherzi a parte, il film, allo stato attuale, è un pletorico spettacolo che contiene in sé un lavoro d’eccezione. Per amore del cinematografo chiediamo al regista di rinunziare al suo esagerato rispetto per la propria opera; tagli, e ci dia i duemilacinquecento metri di belle cose che «La terra trema» ha in sé. E faccia tacere, per favore, quel commento, che non serve a spiegare l’azione, ma basta a innervosire anche lo spettatore meglio disposto.

Adriano Baracco
Settembre 1948