Londra, dicembre 1963

Il Gattopardo di Luchino Visconti è stato presentato a Londra. O meglio, in un cinematografo del centro è possibile vedere i miserabili resti delle tre ore e mezzo originali, ridotte a due e quaranta, con l’inevitabile risultato di frammentare ancor più un film che già nella versione primitiva aveva sollevato qualche dubbio per certi bruschi passaggi narrativi accanto agli eccessivi indugi in altre scene. Chi ha visto l’edizione italiana non può comunque credere che questa «traduzione» in lingua inglese sia lo stesso film. I commenti dei più autorevoli critici cinematografici londinesi hanno stamane un tono funereo, e si può leggervi tra le righe le condoglianze all’autore.

Si presumeva già che questo travestimento americano in cinemascope De Luxe fosse cattivo, e si era detto che Visconti stesso avesse rifiutato la paternità dell’opera ma nessuno poteva immaginare che si sarebbe giunti a tanto. C’è solo da meravigliarsi che un delitto artistico di queste proporzioni possa essere perpetrato da parte dei mercanti di Hollywood, a dispetto d’ogni principio di fedeltà e di rispetto per la creazione altrui.

Sorprendentemente, il critico del Times trova motivo di conforto nella versione americana perché — a suo dire — la maggiore concisione darebbe più slancio e vigore narrativo al film di Visconti. E perché almeno uno degli interpreti (Burt Lancaster) parla la sua lingua originale (inglese), mentre nell’originale italiano anche Claudia Cardinale era «doppiata»! Il critico del Times evidentemente dimentica se non altro attori come Paolo Stoppa e Rina Morelli, ma, a parte questa svista grossolana, rimane il fatto — come ha scritto il Guardian — che Burt Lancaster doppiato in italiano era il Principe di Lampedusa, in inglese invece è solo Burt Lancaster in costume storico.

Ma l’attacco più feroce subito dal Gattopardo in questa in versione americana è nel colore: le profondità, le sfumature, i mezzi toni della fotografia di Giuseppe Rotunno sono tutti spariti in un impasto informe e scintillante, come una volgare cartolina illustrata affogata in un’atmosfera bluastra e repellente.

Irrimediabilmente perduta la bellezza visuale, è inutile domandarsi dove sia andato il significato del film, ridotto ora ad una incredibile «storia» per il consumo si massa.

Leo Vestri

Interpellato a Roma, Luchino Visconti ha confermato che la versione americana del Gattopardo, curata dalla Fox in base a un contratto-capestro con la casa produttrice italiana, la Titanus, non ha assolutamente la sua approvazione. «Già in occasione della prima a New York l’estate scorsa, — ha ricordato il regista — ebbi modo di denunciare in una conferenza stampa, alla quale assistevano gli stessi rappresentanti della Fox, le gravi manomissioni cui è stata sottoposta la mia opera».

«In un’intervista al Sunday Times — ha proseguito Visconti — pubblicata circa un mese fa, ho ribadito il mio atteggiamento, avvertendo gli spettatori e i giornalisti inglesi che quanto essi avrebbero visto non sarebbe stato il mio Gattopardo. In quell’occasione ho anche proposto al British Film Institute di far proiettare per i critici di Londra, la copia originale del mio film affinché almeno essi fossero in grado di conoscere e di giudicare il vero Gattopardo. Questa mia proposta, evidentemente, non ha avuto seguito, e me ne dispiace. Purtroppo, nel nostro mondo la libertà di creazione artistica è sottoposta a gravissimi limiti e condizionamenti. Il caso della versione americana del Gattopardo ne è un esempio illuminante».