Roma, Febbraio 1972

Sissi è morta, viva Sissi. E’ un gioco di parole soltanto in apparenza. Sissi fu un personaggio del cinema che ebbe fortuna intorno al 1955: uno di quei personaggi intorno ai quali, per il successo di cassetta che ottengono, nascono i cosiddetti cicli. Come per Caroline Chérie o per il Conte di Montecristo. Adesso Sissi ritorna, ma senza più lo sbarazzino nomignolo di allora. Si chiamerà, come nella storia con la esse maiuscola, Elisabetta d’Austria, e avrà lo stesso volto — certo un po’ meno adolescente — dei tre film che vedemmo più di quindici anni or sono: quello di Romy Schneider.

Perché questo ritorno e perché questa metamorfosi in senso più solenne del personaggio? Basta ricordare che il regista del nuovo film, Ludwig, sarà Luchino Visconti. E poi c’è di mezzo l’evoluzione di questa singolare attrice che è la Schneider.

Romy Schneider, il cui vero nome è Rosemarie Albach-Retty, figlia di Wolf e Magda Schneider, come dire che appartiene al Gotha del cinema austriaco, oggi ha 33 anni. Non è più paffutella come era a diciassette anni nei panni dell’imperatrice Sissi, non è più simile a un confetto come quando, ventenne, imperversava in film stucchevoli tipo Christine, non è più come ai tempi del suo tempestoso amore con Alain Delon, una vicenda che, comunque, ha lasciato il segno, una specie di orbita dalla quale la Schneider ha dimostrato di non uscire più.

Lei ed Alain sono stati i fidanzati degli anni Sessanta perché avevano tutte le caratteristiche per piacere secondo certi luoghi comuni imposti dalla letteratura rosa: lei era stata allevata nei più noti collegi tedeschi, aveva alle spalle una infanzia di lusso, una fama sicura legata proprio al successo del personaggio di Sissi; lui era stato con la Legione in Indocina, poi cameriere, e quanto al cinema aveva qualche vaga aspirazione. Fu Luchino Visconti a farli incontrare, e, per amore, Romy ripudiò Sissi e passò al ruolo scabroso del dramma elisabettiano di J. Ford Peccato che sia una sgualdrina messo in scena per lei ed Alain da Visconti. «Odio Sissi — disse in occasione del debutto, — soltanto con Visconti mi sono scoperta attrice, soltanto con Alain mi sono sentita donna.»

Questa affermazione fu puntualmente ripetuta in decine di interviste e, come per far dimenticare completamente i vezzi e il sorriso di Sissi, negli anni seguenti Romy passò a ruoli più spregiudicati: divenne l’amante di Delon in La piscina, l’amante di Michel Piccoli in L’amante, l’amante di Ugo Tognazzi in La Califfa.

Ancora sul set gli ex fidanzati

Sul piano sentimentale, dopo un lunghissimo esaurimento ed un anno di completo isolamento, Delon venne dimenticato e sostituito dal regista berlinese Harry Meyen, attuale marito della Schneider. Romy acquistò un’aria sicura, aspra, sensuale, senza essere volgare. Soltanto nei confronti di Luchino Visconti l’attrice continuò a conservare un certo rapporto di sudditanza psicologica: «Lo adoro — diceva appena possibile, — non sarei mai diventata quella che sono se non l’avessi incontrato, se non avessi girato con lui Boccaccio 70”.

E Visconti ricambiò la stima e l’affetto stampandole, sotto i flashes dei fotografi, all’apertura delle mostre ufficiali del cinema o alle prime parigine, importanti grossi baci sulla guance non più paffute, ma modernamente scavate per una falsa magrezza che le aveva imposto proprio lui sin dai tempi di Peccato che sia una sgualdrina.

Il tempo ha aggiustato tutte le cose: oggi la Schneider e Delon sono amici. Dopo i pianti disperati e le crisi nevrotiche che l’avevano portata sulla soglia di una casa di cura e l’avevano allontanata dal mondo del cinema, fu proprio Delon, infatti, a rilanciarla nel film La piscina. In seguito gli ex fidanzati degli anni Sessanta hanno lavorato spesso insieme. Li ho incontrati sul set del film di Joseph Losey L’assassinio di Trotzki un mese fa e, nella villa sulla Pontina dove venivano girate le scene più importanti della ricostruzione della vita del rivoluzionario russo, si trattavano con estrema naturalezza senza ricordi mortificanti né disagi psicologici. Nei panni di Gita Samuels, una sostenitrice di Trotzki (interpretato da Richard Burton), Romy seduceva Alain senza ombra di imbarazzo e ripeteva con finta passione antichi gesti ed abbracci, prima di correre dal figlio David di cinque anni. Diceva: «Ho un amante, certo, mio figlio. È l’unico uomo che riesce a farmi sentire ancora debole, soprattutto quando mi chiama Romy e non ’’mutty”, mamma».

Tutto sembrava, dunque, passato e risolto e la carriera di Romy, come la vita sentimentale, pareva finalmente essersi stabilizzata su un certo impegno interpretativo, accompagnato anche da un successo di critica e di cassetta. Ma poi dall’Austria, dove era tornata dopo il film su Trotzki, è rimbalzata una notizia-bomba: l’attrice avrebbe rifatto Sissi.

La notizia ha lasciato perplessi tutti sino a che non si è conosciuto il nome del regista che aveva convinto la popolana «califfa» ad indossare i panni della leziosa aristocratica, e perciò rinnegata Sissi: Luchino Visconti. Romy, dunque, riprenderà nuovamente le sembianze di Elisabetta d’Austria, ma in un complesso film sulla vita di Luigi II di Baviera. Sarà, insomma, una cugina del «re pazzo» legata alla verità storica e non alla caramellosa e patetica ricostruzione commerciale che la serie di tre film su Sissi le aveva imposto nel 1955. Una Elisabetta che con Luigi II dividerà una vera e propria tortuosa affinità elettiva, dimostrando una straordinaria capacità di vivere al di fuori della realtà o un’altrettanto straordinaria incapacità di vivere nella realtà. Come riferiscono i testi storici, Elisabetta è stata uccisa nel 1898 dall’anarchico Luccheni. Era nata il 24 dicembre 1837. Nel 1854 andò sposa all’imperatore Francesco Giuseppe. Il personaggio di Luigi Il sarà interpretato da Helmut Berger, lanciato da Visconti in La caduta degli dei.

L’imperatrice romantica e l’eccentrico re

La sola preparazione del film è già costata 200 milioni e, ad un certo punto, dato l’altissimo preventivo dei costi (circa due miliardi), pareva che il produttore, l’avvocato Santalucia, avesse deciso di interrompere il costosissimo progetto. Invece, tra poco inizierà la lavorazione, che proseguirà per sei settimane in Austria e per sei a Cinecittà, perché è subentrata una formula coproduttiva italo-germanica. «Solo Romy — ha detto Visconti — avrebbe potuto essere la mia Elisabetta d’Austria ideale. No, non ho visto i tre film di Sissi né mi preoccupa il fatto che la Schneider abbia interpretato in maniera così diversa il ruolo che le ho affidato.»

Dal canto suo Romy ha detto: «Sissi è morta, come credo che sia morto nel mondo quel tipo di donna imposto da un cinema commerciale, che aveva visto di Elisabetta solo l’aspetto superficiale. Mi affascina la vera Elisabetta, una donna difficile. Anch’io mi vanto di essere una donna difficile perché ho conquistato con estrema fatica la mia maturità e il mio orgoglio. Sono uscita dalla banalità nella quale sono stata impelagata per lungo tempo, e trovo meraviglioso, a 33 anni, poter aderire di nuovo al ruolo di Elisabetta. Darò all’imperatrice ancora qualche sfumatura di romanticismo e tenerezza, ma in modo opposto a quella che diedi a Sissi perché sono cambiata dentro. La bamboletta viennese dei miei primi film non viveva il dramma della tragica fine dell’amatissimo cugino, il re Luigi II di Baviera. Luigi II, meglio noto come ”il re di Wagner”, ”il re architetto” o ”il re folle”, ed Elisabetta erano molto uniti. Quando il cugino morì, ancora oggi non si sa se per un incidente, per suicidio o per omicidio colposo, Elisabetta disse: “Il re non era matto, era solo un eccentrico che come me, più di me, viveva in un mondo di fantasie”. Sarà molto bello dare alla resuscitata e cresciuta Sissi venature di affetto materno, quanto al resto sarò affiancata da un cast eccezionale: Silvana Mangano sarà Cosima Liszt, Umberto Orsini sarà un alto ufficiale nemico di Luigi II, Gert Froebe sarà un padre gesuita confessore del sovrano, Nora Ricci sarà la mia dama di compagnia. Inizierò la pellicola giovane e la terminerò vecchia. Ricorderò, sulla scia degli incontri di Elisabetta con Luigi nei famosi castelli di Baviera, la mia vita. Forse ho accettato con tanta gioia l’offerta di Visconti perché rivivere il ruolo di Sissi sarà un po’ come ripercorrere la strada di un’adolescenza prolungatasi troppo a lungo, come fu la mia e come fu quella dell’infelice imperatrice. Dopo la morte del cugino, Elisabetta vagò, simile ad un fantasma, di castello in castello ben consapevole che il suo mondo stava crollando e che l’Europa si andava trasformando radicalmente. Sissi era corsa incontro alla vita con entusiasmo ed ingenuità; Elisabetta pagò di persona le proprie ingenuità: esattamente come ho sempre fatto io».

Renata Valeri