Roma, luglio

Mio Helmut, è col cuore gonfio e con grande angoscia che ti scrivo questa lettera! Ieri ho ricevuto i tuoi due espressi, uno da Monaco e uno da Salzburg. È da ieri che li leggo e rileggo e non posso credere che dopo due anni e mezzo di tenera, costante e fedele amicizia si possa arrivare a questo punto! È disperante!

Dunque cosa è successo? È successo questo. Che tu sei andato a Monaco con l’intenzione di sistemarti un programma di lavoro per l’inverno prossimo. Era nelle tue intenzioni di provare a recitare in teatro nella tua lingua, in tedesco, per fare della pratica. Avevi preso tu stesso degli accordi con degli amici per discutere la possibilità che avevi in questo campo. Sono tutte cose che ti sei organizzato da te fin da Londra. lo ero d’accordo sul principio che tu dovessi trovare una base di lavoro che ti consentisse un’esperienza utile e preziosa in vista di lavori più impegnativi di cinema. Lavori che piano piano sarebbero venuti, in seguito.

Tu avevi addirittura progettato di stabilirti a Monaco per la stagione prossima, prendendoti un piccolo appartamento ecc.

Sono tutti tuoi progetti che io vedevo di buon occhio, perché per lo meno dimostravano la tua buona volontà. Facendo cosi dimostravi, per una volta, anche il tuo buon senso, ben sapendo che le proposte cinematografiche arrivano, quando arrivano, col tempo e non subito, quando si vorrebbe. E bisogna pazientare. Mi hai anche telefonato da Monaco, pregandomi di farti raccomandare da Olga Horsting a quell’agente di Monaco alla quale avevi l’intenzione di presentarti. Cosa che ho fatto, senza esitare, come sempre.

E poi? Poi, siccome per farti recitare in teatro — cosa già difficile — la paga sarebbe stata di 2.000 lire al giorno (se ho ben capito) allora tutto questo va all’aria. Cambi programma, ti arrabbi (come se la paga di 2.000 lire la avessi decisa io!) mi insulti, dici che vuoi trovare «altro lavoro» e mi attacchi il telefono in faccia in una comunicazione (l’ultima) che abbiamo avuto!!!

È questo che non riesco a capire!

Non riesco a capire cosa ti immaginavi che succedesse? Che il Teatro Nazionale di Monaco ti aprisse le porte, scritturandoti con una paga da primo attore? Era logico ed era già molto che ti consentissero di entrare e lavorare cioè fare la più utile e la più importante esperienza che un giovane attore possa fare, provare ogni giorno a recitare ogni sera in teatro davanti al pubblico!!!

Secondo me, e non secondo te, questa era proprio la «chance» che ti ci voleva. E l’avevi ottenuta.

Intanto, certo, bisognava cercare delle scritture per fare il cinema e quando queste scritture fossero venute certe, sicure, con dei contratti firmati, potevi sempre e in qualunque momento lasciare il teatro e fare il cinema. Ma questa situazione di scritturato ti evitava di essere di quei giovani aspiranti attori senza mestiere, senza scrittura, senza una situazione di cui è pieno il mondo e i caffè-bar di tutte le città del mondo, per non dire i nights e i marciapiedi!

Questo era quello che andava fatto. Ma invece, tu dici, mai! E da questo punto, avendo di colpo cambiato progetto e programma cominci ad insultarmi, come se la colpa fosse mia… Mi accusi di non aver fatto niente per te, per la tua carriera ecc.… Se vuoi dire che non ti ho fatto recitare in cinema, salvo che per il piccolo ruolo delle Streghe è vero. Ma dove avrei dovuto farti recitare. Nello Straniero? In mezzo agli arabi? Che ruolo avresti dovuto avere? Non ho fatto un film per te? È vero. Ma quale film? Che tipo di personaggio sei tu? Che possibilità hai? Per ora proprio nessuna. E allora? Contavo sui miei prossimi films. Macbeth e Puccini dove sarebbe possibile farti dei ruoli. Ma questi films non sono per oggi ma per domani. E allora tu avresti dovuto aspettare quelle possibilità facendo cosa? Facendo niente o la bella vita senza sugo e senza scopo, aspettando. Ecco la necessità di lavorare in teatro facendoti, come si dice, le ossa.

Perché credere che un prossimo ruolo sarebbe stato come il piccolo cameriere delle Streghe? Eh, no! Quello era un giuoco, tanto per rompere il ghiaccio. Il prossimo sarebbe stato un vero ruolo; recitato ecc… Ecco perché io, che sono un vero professionista e mi rendo conto e so le difficoltà di recitare mi sono preoccupato in tutto questo tempo di farti, studiare (anche se questo mi è costato spesso sacrifici finanziari non pochi) di prepararti ad essere un vero attore professionista e non un dilettante o uno di quei giovani non attori che sono sfruttati soltanto per la loro bella faccia e soltanto per qualche anno finendo poi nel dimenticatoio… Questo è stato sempre il mio più assillante scrupolo. Fare di te un vero attore. Che tu non abbia mai a vergognarti su un set di non sapere recitare una battuta o fare una adeguata azione. Ma tu non mi hai mai capito. Non hai mai capito che il mio grande affetto per te era appunto questo: preoccuparmi del tuo avvenire. Hai sempre considerato le mie proposte, i programmi che io ti consigliavo come delle coercizioni. Invece (e qui mi stupisce la tua poca sottigliezza, la tua mancanza di intuito) tu hai sempre teso l’orecchio con più attenzione o con più interesse a chi poteva (senza scrupoli e criminosamente) lusingare la tua vanità dicendoti che tutto era facile che tutto era a tua portata e a tua disposizione! Pazzi! Che grave errore! Se tu ci cascherai sarà la fine per te, credimi. Completa. Prima di tutto perché chiunque ti consiglierà cose del genere non ti vuole bene. Non ti vuole un bene vero. Un bene che guarda a domani più che a oggi. Per lusingarti oggi, nessuno pensa alle tue delusioni di domani! E queste verranno immancabilmente se tu tenterai di fare una carriera così casuale, senza preparazione, senza programma.

Ci sarebbe voluto così poco!

Darmi ascolto! Avere un po’ di pazienza. Prepararsi. In fondo devi pur riconoscerlo. Non te la sei passata male in questo periodo di attesa. Hai avuto quello che più desideravi. Hai fatto una vita non spiacevole. Hai studiato un po’, senza certo sacrificarti troppo. Che volevi? Che volevi di più?

Bastava aspettare ancora un po’ e avresti cominciato seriamente. Ma intanto ti preparavi a una carriera seria e difficile.

Con il tuo gesto, con la tua decisione improvvisa e isterica tu rovini tutto, butti all’aria due anni e mezzo di sforzi, di sacrifici e di buona volontà.

E io che posso fare? Che posso dirti? Niente. Niente più.

Ormai queste cose te le ho dette tante volte, troppe volte, e ti vengono anche a noia, lo so. Mi consideri un vecchio rimbecillito che una volta sapeva lanciare dei giovani attori e oggi non sa più!!!

Ma il discorso non è questo: Il discorso è un altro. Chi erano questi giovani attori? Che sentimenti mi legavano a loro? Chi mai mi è stato più caro di te? Nessuno. E se tu credi questo capirai. A te io tengo più che a tutti. Di te voglio (volevo) fare qualcuno. Ma sul serio e per sempre. Non solo lanciarlo e poi disinteressarmene. Questo lo capisci?

Non credo — e allora è inutile spiegarlo.

Se dopo tanto tempo tu non hai capito che sei stato la persona più cara che ho avuto vicino a me, quella per cui sono sempre stato pronto anche a dei sacrifici pur di vederla felice, soddisfatta contenta, allora non hai capito niente e non potrai mai capire niente. E adesso è tardi.

Diventa inutile lottare. Oltre a tutto devo sentirmi dire da te le cose più orribili più sgradevoli e offensive che si possono sentire!! Non mi va! Non voglio più sentire o leggere lettere come quella che mi hai scritto!

Questa che io ti scrivo è, per me, l’ultima, e devo riversare in queste pagine tutto il mio risentimento, il mio dolore di vedermi da te così mal compreso e così mal giudicato!

E pensare che imboccherai una strada sbagliata, senza rimedio e poi sarà troppo tardi per te tornare indietro.

Avere la sensazione terribile di non essere riuscito in niente, di non aver fatto che muovere l’aria senza costrutto, d’aver lavorato in vista di qualche cosa, di una riuscita, e di ritrovarsi con un pugno di mosche in mano! Delusioni amare e cocenti!

Ma siccome io credo che esista una legge di compensazione credo che un giorno, lontano, tu proverai lo stesso tipo di delusione e capirai, finalmente, chi ero io per te. E forse, mi renderai tardiva giustizia. Certo. Io sarò morto da un pezzo. E forse proverai rimorso di non aver capito tutto il bene che ti volevo…

FRATELLO MAGGIORE

Soltanto un padre profondamente preoccupato dell’avvenire di un figlio prediletto avrebbe potuto scrivere parole così traboccanti. di accorato affetto, così dolorosamente preoccupate: sono espressioni che Luchino Visconti, il grande regista scomparso, indirizzava a Helmut Berger nove anni fa, il 30 maggio 1967 scrivendogli a Parigi da Firenze, dove si trovava. A quel tempo, come si intuisce, il giovanissimo attore tedesco stava cercando un ruolo, una propria dimensione artistica con una gran fretta, una travolgente voglia di imporsi sulla scena della notorietà e del successo. Quelle parole di protezione e di consiglio, quei rimproveri pieni di esitante rispetto, quella chiusa della lettera che ha un senso di sofferente addio segnano in realtà l’inizio di una intesa che, sul piano degli affetti e degli interessi artistici, sarebbe continuata, in un modo sempre più profondo, sino al mortificante colpo apoplettico che inchiodò il regista su una poltrona, quattro anni fa, e alla morte, sopravvenuta nel marzo scorso.

No, quella a cui abbiamo fatto cenno non fu l’ultima lettera di Luchino Visconti a Helmut Berger: ve ne furono altre, molte altre, e lunghissime. Sono la testimonianza di un rapporto difficile e spesso drammatico: il vecchio, geniale Pigmalione è frequentemente colpito dall’egocentrismo, dalle impennate di carattere, dall’ingratitudine della sua creazione artistica, di quell’Helmut Berger che egli è andato plasmando e imponendo al mondo. Per lui inventa ruoli di primo piano e film interamente dedicati a lui, si pensi a La caduta degli dei, a Ludwig, scegliendo temi storici che debbono avere di necessità un’ambientazione in Germania, la patria di Helmut, eppure si trova spesso a dover imperiosamente trattenere per la cavezza il suo indisciplinato e disattento pupillo oppure, vista persa ogni speranza, incalzato da una drammatica consapevolezza della morte vicina, rinnova un addio amaro e «definitivo» che, di lì a poco, sarà smentito da una nuova lettera di consigli, di speranza, di promesse, di attestazioni di bene.

Non c’è possibilità di dubbio: la predilezione di Luchino Visconti per Helmut Berger prese un posto immenso nella vita e nei pensieri del regista di Senso de Il Gattopardo, di Ossessione.

«Io tollero anche — scrive il regista all’attore in un’altra lettera inviata da La Colombaia di Lacco Ameno (Ischia) il 28 agosto del ‘70 — e questa è un’altra prova, i tuoi attacchi, il tuo tono quasi sempre aggressivo in presenza di terzi. Ma lo tollero perché so che anche questo è, da parte tua, una prova di affetto (mal estrinsecato) ma in un certo senso uno sfogo che tu ti prendi con me. Adesso sarebbe troppo lungo esaminare tutti i dettagli del nostro rapporto. Ma volevo solo dirti questo: non temere che il mio sentimento cambi. Cambia, sì, se vuoi, ma in meglio, perché io desidero che sia così e che diventi un vero affetto fraterno, di un fratello molto maggiore per un fratello molto minore. Solo così il nostro sentimento potrà durare fino alla fine della mia vita che, del resto, non sarà più tanto lunga. Capisci?»

La sottolineatura, che nelle lettere di Visconti ricorre spesso, è tutta di sua mano: ma questo suo patetico impegno di essere chiaro, persuasivo, ascoltato s’infrange, spesso, contro la disattenzione di Helmut, lo sfuggente disimpegno della sua età, del suo temperamento, la volubilità esasperante del carattere di lui.

Passano pochi giorni dalla lettera citata qui sopra, in mezzo c’è un colloquio telefonico dell’attore col regista, da Parigi ad Ischia ed ecco che, dolente e deluso ma invincibilmente affezionato, Luchino riprende la penna per esprimere la sua amarezza e, insieme, il suo tenace affetto. La lettera successiva è infatti, del 9 settembre 1970 ed è datata da Roma. Sono 15 fogli scritti su entrambe le facciate, con l’intestazione dell’Alfa Cinematografica S.r.l., vergati con la scrittura ampia e angolosa del regista. Ne stralciamo un periodo:

DIALOGO DIFFICILE

«lo avevo forse assolto e finito il mio compito di darti una professione, di averti fatto iniziare una carriera nel modo migliore, come meglio non si sarebbe potuto e dovevo da poco a poco m’effacer (cancellarmi n.d.r.) dalla tua strada perché per te sarebbe stato un peso avermi sempre vicino e anche un fattore controproducente per la tua carriera. Questo era un piano ragionato, ragionatissimo da parte mia. Se io ne soffrivo, bene, erano affari miei e non potevo né dovevo farti pesare questo mio stato d’animo. Volevo, insomma, che tu diventassi indipendente. Per la tua dignità di uomo, di professionista, di artista. Questo non c’entra con l’affetto. Anzi: direi che il mio affetto per te, il mio pensiero su di te (proprio per questo mio nuovo atteggiamento nei tuoi riguardi) aumentava, diventava più serio, più concreto, più nobile. Ne. abbiamo anche parlato qualche volta. Poche volte, in verità, perché non è molto facile né semplice avere dei colloqui sereni con te, specialmente su questo genere di argomenti. Tuttavia, siccome devo riconoscere che, a parte qualche eccesso o disordine imprevedibili nel tuo carattere, tu in questi anni hai fatto dei grandi passi avanti, verso la maturità, io pensavo che fosse giunto il momento opportuno per ragionare con te di questi argomenti. Se io penso a quello che eri nei primi tempi dei nostri rapporti, voglio alludere (per esempio) al periodo di Londra e di Parigi e di Roma nei primi mesi e anni che tu stavi qui con me, mi domando come io abbia fatto a superare quel tempo, a sopportare il tuo contegno con me e tutto il resto. E penso che io ho potuto superare quel bruttissimo periodo di convivenza solo con la forza del mio sentimento per te e con la volontà di aiutarti in tutti i modi a migliorare, a diventare qualcuno. Ci sono riuscito! Un qualcuno sei diventato! E non dimenticare che per sei o sette anni (non ricordo bene) io ti sono stato vicino con amore, con tenerezza, con pazienza, contro tutto e contro di te anche, qualche volta, perché ti volevo e ti voglio bene.

«Onestamente — continua più avanti la lettera — chi è quel giovane aspirante attore che è stato lanciato nella professione in modo più clamoroso? E questo è il risultato di che cosa? Di una mia precisa volontà e di un mio personale merito nei tuoi riguardi. Certo la tua posizione è difficile. E’ difficile proprio perché sei partito a cento all’ora e devi, ora, tenere la velocità, non puoi permetterti di sbagliare troppo smaccatamente».

La lettera continua rimproverando quelli che appaiono davvero come gli esasperanti capricci di un figlio troppo viziato. Helmut, ricorda Visconti, aveva espresso il desiderio di avere un proprio appartamento a Roma; Luchino se ne ‘occupa, lo trova, in via Frattina, e vi vengono spesi, nelle prime opere di riattamento, 5 milioni e 900 mila lire. Successivamente Visconti versa al padrone di casa 900 mila lire; i lavori successivi, preventivati (tappezzerie, moquettes, camera da letto, spogliatoio, camera per ospiti, anticamera e salone, impianto di condizionamento aria e impianto stereofonico) porterebbero ad una spesa di 13 milioni e 438 mila lire. Ma qui Helmut cambia idea, la casa non la vuole più.

«Tu sei volage (volubile, n.d.r.) — ricorda Visconti nel suo accorato scritto a Berger — e cambi idee e desideri ogni due mesi. Vedi esempio delle macchine. Avevi supplicato per avere il Maserati. Ci abbiamo speso dei soldi (vedi che dico abbiamo e non dico ho) dopo due o tre mesi fai il colpo di testa della Rolls Royce! Per me queste sono intemperanze giovanili, alla Krupp, che potrebbe o può anche permettersele. Ma tu?… Pazienza! L’hai fatta questa cafonata e non è il caso di discuterci sopra. Non ti pare? Ma adesso la stessa cosa la fai con l’appartamento!! A un certo punto della propria vita bisogna un po’ avere, come dire? un freno morale e rendersi conto che non tutto è logico quello che ci viene in mente o comunque è pericoloso soddisfare tutte le proprie voglie, senza ragionare sulle conseguenze e senza limiti».

Ma la lettera, anche questa in cui Visconti, che nella sua natura generosissima aveva ribrezzo delle puntualizzazioni ragionieresche, è stato pur costretto a parlare di soldi e rendiconti, termina comunque con un «E ti dico che il mio affetto è quello di sempre… Va bene?», con una trasparente apprensione di aver conferma che nulla è cambiato, che il ragazzo dissipatore e irrequieto non sarà rimasto ferito dal contenuto di quell’affettuoso promemoria e che in ogni caso lui, il vecchio e devoto Pigmalione, è pronto ancora a capire, a perdonare, a spendere… dimenticando, come i grandi signori del Rinascimento da cui discende e di cui porta il nome.

IPOTESI INQUIETANTE

Ebbene, Luchino Visconti scompare ed Helmut Berger rimane idealmente orfano. L’ultimo gesto del grande regista, prima di spegnersi, la sera in cui si separò da Berger in partenza per il Brasile, fu quello di consegnare il proprio portasigarette d’oro al suo segretario dicendogli: «Questo dallo a Helmut come mio ricordo». Lo ha raccontato lo stesso attore in un’intervista ad Anna Corradini. E nel corso dello stesso abboccamento con la giornalista Berger ha dichiarato di ritenere che nel testamento di Luchino Visconti egli avesse «una parte importante» anche se non pensava di essere l’erede universale.

L’asse testamentario di Visconti è ingente: ne fanno parte, fra l’altro, due bellissime ville, una ad Ischia e l’altra a Castelgandolfo, ma questa eredità è anche costituita da tutti gli importanti valori in oggetti d’arte che quel grande esteta, perdutamente innamorato della bellezza, era andato collezionando nel corso della vita. Più volte il regista aveva dichiarato che le sue adorate sorelle, donna Ida e donna Uberta, sarebbero state le sue eredi. Legate a lui da un affetto profondissimo, le due gentildonne sono, con tutta ragionevolezza, le destinatarie naturali e legittime dell’eredità di Luchino. Ma neanche loro possono mettere mano agli atti notarili perché… non ci sono, non si trovano più.

Visconti, a quanto pare, non depositò mai le proprie volontà presso un notaio e il testamento olografo non si trova, disperso fra i mille libri e le carte numerosissime del regista scomparso o, ipotesi più inquietante, sottratto da qualcuno. Luchino Visconti, pur geloso della propria privacy, era circondato da una vera e propria corte di gente, amici e servitori, attori e aspiranti attori, gente lealmente devota e gente legata a lui da meno leali interessi, come sempre succede.

«È chiaro» ha detto senza mezzi termini Helmut Berger «che qualcuno ha avuto interesse a farlo sparire, quel testamento, Dovrei rivolgermi ad un avvocato, ma mi ripugna. Non voglio discutere di soldi. I soldi di Luchino non mi interessano, lui mi ha lasciato ben altro: i suoi insegnamenti, la sua arte, il suo affetto».

È un patrimonio immenso, certo, ma è un patrimonio pesante. Senza la guida del suo grande maestro e protettore, senza quelle sue lettere, quelle sue parole che lo rimettevano in carreggiata e gli davano il senso della dimensione, dei limiti, non accadrà che Helmut torni, come lo ammoniva Visconti, a «sbagliare troppo smaccatamente»?

Le cronache turbolente lo hanno già visto protagonista di episodi discutibili come gli schiaffi scambiati con la Bolkan; lui stesso ammette: «Non ho nessun programma per ora. È un anno che non faccio niente. Da quando è morto Luchino, poi, non ho più preso una decisione».

«Certo la tua posizione è difficile… sei partito a cento all’ora e devi, ora, tenere la velocità, non puoi permetterti di sbagliare troppo smaccatamente»: le parole di Visconti sono rimaste su quella lettera come il solo testamento ritrovabile e prezioso per Helmut. Ma alla giornalista che interrogava l’attore tedesco circa le sue intenzioni per il futuro Berger ha risposto, fra l’altro: «Credo che mi darò alla pornografia. Ci sono registi tedeschi con ottime idee: la pornografia è il contatto più concreto con la realtà».

Sì, davvero, l’eredità di Luchino Visconti sembra introvabile, dissolta per sempre.

Alberto Marchi