Il glorioso Sanzio e le sue gesta

Milano, settembre 1932. Trascorse ormai le vacanze, superate le riunioni estive all’Ardenza, alle Bettole varesine, e al Parco Reale di Monza, tutte elegantemente affollate e piene di brio sportivo sebbene prive dei grandi numeri e riservate soltanto ai cavallucci modesti eccoci, col settembre avanzato, giunti alla ripresa del calendario ippico che s’intona agli incontri dei migliori purosangue destinati ai premi classici dell’autunno, a San Siro, alle Capannelle e a Mirafiori. E siamo arrivati a questa ripresa attraverso il grande successo di Sanzio a Ostenda che sorprese il pubblico, gli intenditori e la stampa d’Europa, entusiasmandoci per la gioia d’aver così potuto imporre prepotentemente i nostri colori all’ippodromo di Wellington contro avversari di primo rango internazionale.
Ora, non spenta affatto l’eco di tale trionfo superiore di certo alle nostre speranze stesse, non solamente in Italia ma anche all’estero ci si domanda se il robusto quattr’anni del Conte Luchino Visconti di Modrone e del Signor G. Radice Fossati, sortito dall’inesauribile fucina di Dormello, e allenato da giovani, fortunati ed ardenti sportivi, allevato da Federico Tesio, varcherà di nuovo le frontiere per tentare, a Parigi con tutte le probabilità della classe e della forma affermate nel grande avvenimento del Belgio, la sorte della Coppa d’Oro e quella dell’Arco del Trionfo, corse a noi ben note per le affermazioni di Scopas, di Apelle e di Ortello.
Leggemmo codesta domanda su giornali francesi della specialità ippica, e la sentiamo ripetere quasi ogni giorno nei nostri ambienti delle corse al galoppo. Ma la risposta non ce la danno i giovani proprietari: essi non hanno ancora deciso questo domani imminente del figlio di Paptyrus e di Scuola d’Atene. La soddisfazione di tanta gloria venuta ora a coronare il successo clamoroso riportato a San Siro nel Gran Premio di Milano con un lauro assai più importante pel suo significato d’affermazione internazionale, sembra abbia prodotta una specie di perplessità, derivante evidentemente da un giusto sentimento di responsabilità verso lo sport Italiano. Credo che mentre s’approssima l’ottobre, con la prima settimana del Bois de Boulogne, ove la grande attrattiva esercitata dall’Arco del Trionfo fa adunare il fior fiore della produzione europea in fatto di purosangue, il Conte Visconti ed il socio Signor Radice Fossati siano assillati da codesta curiosa incertezza che va aumentando nei loro animi in ragion diretta del veloce trascorrere dei giorni.
Nella domenica del 9 ottobre infatti il calendario ippico nostro offre a Milano il Premio del Jockey Club mentre nella stessa giornata a Parigi si corre il Premio dell’Arco del Trionfo, e quindi inscritto cui e là Sanzio deve scegliere tra le due battaglie da affrontare, tra quella facile e classica ma relativamente modesta di San Siro l’altra ardua, più famosa e certamente ricca di fascini da combattersi su uno degli ippodromi più noti del mondo. E’ comprensibile tale situazione dei due proprietari, anche se il nostro spirito agonistico già ha superato il dubbio, subito dopo la passeggiata agevole fatta fare da Orsini a Ronzio il mese scorso ad Ostenda. Tanta fu la facilità di quella galoppata conclusa splendidamente davanti ad ottimi tre anni come Bosphore e a ben stimati più anziani come Amfortas e Goyescas che nessuno di noi avrebbe pensato al ritorno immediato in patria del vittorioso. Ritenendo Sanzio destinato agli incontri parigini dopo simile strepitosa vittoria, il suo ritorno ci ha un pochino stupiti e… disillusi. Credevamo opportuno inviarlo a Chantilly per ambientarlo comodamente. Invece esso è qui, anche l’altro giorno è sortito sulla pista di San Siro, alla fine d’un pomeriggio di corse, e s’è preso un galoppino d’esercizio, mentre molti ne ammiravano l’azione un po’ pigra ma distesa radente, elastica e la mole non certamente molto seducente, priva di quella finezza di linee che caratterizza l’estetica dei cavalli di grande razza, ma poderosa in modo davvero impressionante.Siccome è nella normalità metereologica che piova a dirotto sulla capitale francese ai primi di ottobre, così per solito, quasi sempre l’Arco del Trionfo viene disputato sulla pista pesante, faticosa, su d’una pista già di per sé stessa gravosa per la salita e la discesa del suo percorso. Or bene Sanzio quando era lontano dalla pienezza di quei mezzi potenti sviluppati in questa estate, non amava affatto il fango: a Roma nel terreno allentato trovato sul miglio e mezzo del Premio del Littorio, l’ex Omnium, giungeva alla retroguardia, dietro a mediocri avversari, ed altre volte in primavera aveva palesata eguale riluttanza. Perciò lo si ritiene paralizzato in modo assoluto se appunto trova da faticare nella mota. Ma questa avversione sussiste tuttora? Guarito da quella grave debolezza all’arto per la quale fu venduto dal suo allevatore, non sarebbe probabile che avesse vinta anche codesta contrarietà? E ad ogni modo con la fortuna sempre tanto fedele ai simpatici proprietari non sarebbe poi prababile che il ciclo di Francia li volesse generosamente proteggere al momento buono?
Dunque si dice, e fondatamente che Sanzio andrà o non andrà a Parigi a seconda dei… bollettini metereologici di quella settimana d’ottobre. Per adesso senza sforzi alcuni, che in piena forma vince una buona e difficile corsa rendendo del peso abbondante e lavora leggermente: aspetta i voleri del clima autunnale. Attenderemo pure noi augurando che posto il campione nel dilemma tra il Jockey Club e l’Arco del Trionfo non faccia la fine dell’asino di Buridano: per un cavallo sarebbe mortificante, nevvero?

Il trionfo di Sanzio al grande ippodromo di Ostenda è stato commentato entusiasticamente dalla stampa francese e belga, con schiettezza che davvero fa onore ai nostri colleghi… battuti nelle previsioni concentrate su Goyescas ed Amfortus dal cavallo italiano a loro quasi ignoto: ormai tali scrittori, e soprattutti gli specialisti in materia ippica, mostrano d’essersi convinti di quanto si fa in Italia in fatto di purosangue. Prima al cospetto di qualche affermazione lontana parvero sorpresi e se la cavarono attribuendola alla cieca fortuna, sovrana ovunque si combatte sportivamente, ma Apelle ed Ortello li resero già più guardinghi, e adesso è Sanzio che li costringe a levarsi di cappello. Questo riconoscimento leale completa l’orgoglio nostro e ci tiene tuttora avvinti al bel successo d’un vero ed autentico fuori classe sortito dalle fucine più elette dell’allevamento nazionale.
Già in occasione del Milano, al solstizio di estate, ebbi il destro di esaltare il cavallo, il suo creatore che se ne disfece stanco dei crucci avuti con Cavaliere d’Arpino, e i due com-proprietari prediletti dalla sorte, resi maturi nella lor giovinezza dalla passione ippica, ma allora tacqui di un modesto collaboratore della miracolosa e portentosa rinascita d’un cavallo scartato dal maestro: Ubaldo Pandolfi, il quale da oscuro caporale di scuderia non ha avuto nessun pubblico incenso. Sicché parmi doveroso additare il modesto lavoratore che appartiene alla famiglia toscana dei tanti Pandolfi germogliati sulle piste di tutto il Regno: il buon Ubaldo non la cede in arte e in operosità ai parenti ed eguaglia il cugino Richetto or giunto all’apice della carriera e divenuto allenatore molto stimato e molto ricercato e che dopo aver dirette le preparazioni di soggetti appartenenti a vari sportsmen, come Cottini, Morelli, da Zara, ed altri, ultimamente ha preso in consegna il materiale del Sig. Zanoletti divisosi da Luigino Regoli in questi giorni. A Ubaldo Pandolfi dunque sia reso il merito che gli spetta nell’aver cooperato sì bene ed intelligentemente alle cure che il giovane Visconti dedica diuturnamente al grande Sanzio.
In quanto al fantino a Polifemo Orsini davvero non mi sembra il caso di rilevarne i pregi di cavaliere superiore: troppo è popolare tra noi il segalino pisano e troppo son note le sue qualità per tesserne altri elogi sul modo con cui condusse Sanzio alla vittoria internazionale. Fu perfetto come sempre lo è stato nelle grandi corse. E figuratevi ch’egli non stava molto bene il 28 d’agosto: mi è stato narrato da un fine collega, recatesi all’ippodromo di Wellington per godere le gioie orgogliose di quella vittoria, come l’ottimo veterano dei nostri fantini abbia ceduto alla vigilia alla tentazione delle famose ostriche di Ostenda in un mese senza erre. Imprudenza fatale. L’intestino si ribellò e mise a soqquadro il povero Orsini, e proprio sino all’ultima ora tutta la numerosa compagnia italiana rimase in ansia per quelle benedette ostriche…
È andata bene. Ad onta dei residui del mal all’intestino Polifemo fu all’altezza della sua esperienza fredda e squisitamente redditizia, non cedette a Bertini lì pronto l’onore di montare Sanzio e neppure a Pat Donoghue — già scritturato — e lo montò da maestro, come sapete, lasciandolo libero nell’azione radente, col suo testone abbassato, quieto ed obbediente, da vero campione; così venne freddamente alla distanza a produrre lo sforzo per soverchiare tanto agevolmente gli antagonisti. Bravo Orsini: egli ha vinte anche le conseguenze d’una golosità di cui, chi se ne crede immune, può rimproverarlo lanciandogli tra gli incensi anche una pietruzza. Un’avventura innocente, ad ogni modo, che però servirà di monito a tutti gli uomini di sport, i quali hanno il dovere di soprassedere alle consuete debolezze umane rinviandole al momento degli sfoghi entusiastici a dopo la vittoria. Allora soltanto si può mangiare, bere e darsi alla pazza gioia.
Manfredi Oliva
(Il Cavallo Italiano, settembre 1932)