
Conosco i posti dove è nata perché ci son nato anch’io. Tra le Città dei silenzio, Prato è la più cantata dal poeta delle Laudi. Clara udì come prima colonna sonora quella dei sibili lanciati dalle vaporiere (ma eran già locomotive moderne), nella stazione che suo padre comandava. Sporgendosi dalle finestre, poteva vedere il Duomo bianco e verde dove tanto Donatello e Mino da Fiesole e Filippo Lippi incantano gli occhi. La sua vera avventura d’infanzia fu la conquista di un gatto randagio, patito e intignato, che raccolse e portò in casa e si tenne ad onta dell’insuccesso familiare. La scherzavano, parenti e amiche, per certa manìa di cadenzare il discorso, di pausare a effetti, insomma di recitare spontaneamente. Un giorno le proposero un provino e andò a Roma. Doveva servire da ingenua accanto a Manolo Borromei. Come ingenua, fu un fiasco. Come provino, un successo. E apparve difatti nelle vesti della Contessa De La Serre. E questa è, in fondo, la storia non romanzata di Clara Calamai.
Dopo di che, occorre venire all’essenziale. Vedremo fra poco questa giovane attrice (veramente giovane, ossia immagine certa della giovinezza) in Sorelle Materassi, Addio, amore! (dal romanzo della Serao) e Ossessione.
Soffermiamoci su quest’ultimo, già finito. Ha ancora per compagno Massimo Girotti. Per regista, Luchino Visconti. Soggetto pieno di grigiore, parte di prima attrice e, finalmente, assoluta e sola. Cioè, responsabilità integrale. Si vedrà una Calamai senza trucco, senza bei vestiti, senza estetismi. Nuda e cruda, ragazza di popolo, nelle vicende di un dramma che già il titolo definisce. I suoi capelli veri, a cernecchi ribelli, il suo fisico dirò così “assoluto”, natura nella natura. È la desiderata battaglia. Intendiamoci: rivedremo tante altre volte la Calamai a cui si è avvezzi, e non sarà male. Ma da oggi dovrebbe cominciare anche per lei il dramma. Non più soltanto bella per creare drammi altrui, bensì per sentirlo in sé. Esprimerlo. Darsi tutta al sentimento, anima e corpo. Felicità di asservirsi a una passione. E mentre ne parla, c’è una luce nuova nei suoi occhi.
In uno scatto di sincerità, deplora che questa vita inaridisca. Non c’è tempo di leggere, studiare, farsi, completarsi. Ottime riflessioni, eccellenti intenzioni. Misura la distanza che la separa dalla mèta e forse pensa che potrà concedersi un ritmo meno agitato, con pause segrete di clausura, di analisi, di introspezione. Magari! Così lo facessero tutte le nostre attrici e i nostri attori. E poiché ci piace credere nell’illusione, dedichiamo a questa fanciulla toscana, auguralmente, tre versi del quattordicesimo sonetto della Laude a Prato, che forse essa non leggerà mai:
Ave, ingigliata figlia di Fiorenza!
Quei ch’era ignaro della sua potenza
ora combatte a conquistar la cima.
Come dire, la personalità.
Alberto Casella (primi piani, febbraio 1943)