Dicembre 1949.

La città di Ilio, edificata dal regista Luchino Visconti in una radura del Giardino di Boboli per la rappresentazione dello shakespeariano Troilo e Cressida in occasione dell’ultimo Maggio Musicale Fiorentino, costituisce forse la più grandiosa costruzione scenografica che sia stata realizzata in questi ultimi anni e certamente la più imponente insieme con alcune scene di spettacoli classici allestiti in altri tempi in qualche teatro antico, per esempio in quello di Siracusa. Per conferire un rilievo quasi irreale alla massa candida della città, la spianata dinanzi alle mura era stata coperta da una sottile sabbia rosa. Luchino Visconti, riflettendo su questa sua impresa che ha suscitato polemiche, non ha dubbi di sorta; tuttavia sente il bisogno di ravviare le sparse chiome per riordinare i pensieri. La sua lettera aperta al Maestro Votto, Sovrintendente del Maggio Fiorentino è un documento particolarmente interessante per chi voglia conoscere la vita del nostro teatro.

Caro maestro Votto,

leggo che ella si è, e mi ha, validamente difeso, in una recente seduta del Consiglio Comunale di Firenze, da violentissimi attacchi di alcuni assessori contro il nostro Troilo e Cressida, attacchi che hanno fatto seguito a precedenti puntate della stampa.

Che io dovessi venire aggredito, era inevitabile, e ci sono abituato; che lo fosse Lei, e per causa mia, me ne rammarico, e tanto più La ringrazio per aver preso le mie parti, solo com’era, di fronte a sostenitori di un Maggio Fiorentino fatto in casa. Mi colpisce, nella difesa che Le viene attribuita dai giornali, la presenza di espressioni che Ella non può avere pronunziate come: « gli artisti di grido sono un po’ una gabbia di matti, per cui a volte occorre adattarsi ai loro capricci, pur di portare in fondo gli spettacoli » (Mattino, 11 ottobre).

Ma la frase, più che riprodurre la Sua, sembra tradire l’opinione più o meno ispirata del cronista, opinione purtroppo ancora diffusa in Italia, dove vige il cliché dell’artista scapigliato, ribelle, irresponsabile ed estraneo ad ogni vivere sociale. Anzi, mi divertirebbe molto se Ella, costretto a dover spiegare  a giornalisti e assessori, che dovrebbero essere ben altrimenti informati, le ragioni per le quali la messa in scena di un’opera di Shakespeare all’aperto può benissimo costare quanto l’allestimento scenico di qualsiasi opera lirica nuova, fosse ricorso davvero, per chiudere loro la bocca, a uno dei loro slogan e sofismi preferiti.

Mi sembra di essere ai tempi di Come le foglie, quando cioè un pacifico pittore era accusato di dissipazione e corruzione, ed era l’anima nera della famiglia. Come allora, su di noi « artisti » pesa il sospetto amministrativo e morale dell’opinione pubblica!

Ma più che ridicolizzare e prendere in castagna i nostri zelanti amministratori comunali e teatrali, vorrei, se fosse possibile, dimostrar loro che hanno sbagliato bersaglio. E cioè, primo: sullo spettacolo del Troilo e Cressida non ha certamente gravato il mio compenso, inferiore a quello di qualsiasi direttore d’orchestra chiamato ad allestire uno spettacolo in condizioni normali: (sette giorni di prova e tre o quattro di spettacolo: io ne ho avuti trentacinque di prova e dieci di spettacolo); secondo: ammettiamo pure, e riconosciamolo, che nella preparazione dello spettacolo si siano verificati piccoli inconvenienti, che hanno sia pur lievemente gravato sul totale. Se il complesso lavorativo (scenografia, sartoria eccetera) impegnato nella realizzazione del Troilo e Cressida non fosse stato precedentemente impegnato in altri allestimenti, e contemporaneamente occupato nella preparazione de L’assedio di Corinto al Teatro Comunale, è certo che non ci sarebbero stati quei sia pur minimi ritardi che hanno arrotondato la cifra finale. E se la preparazione pubblicitaria fosse stata più intensa, avremmo avuto maggiore afflusso di pubblico nelle prime tre sere, perché nelle seguenti l’afflusso fu brillantissimo, e sarebbero conseguentemente calate le lamentele dei nostri lamentatori. Terzo, e più importante: i nostri ispettori amministrativi così zelanti nel rivederci le bucce dimenticano, o si guardano bene dal menzionare, la prima delle voci che hanno gravato sullo spettacolo, e senza la quale il Troilo e Cressida sarebbe costato senza esagerare un terzo di meno. Si tratta dell’assorbimento dell’intera compagnia della Pergola, assorbimento per il quale quella compagnia è venuta a pesare sulle spalle dello spettacolo di Boboli, per imposizione né di Lei a me, né mia a Lei. Inoltre le autorità che regolano e amministrano il teatro in Italia autorizzano e approvano per il Troilo e Cressida un preventivo maggiore di quello in un primo tempo stabilito (e ora, a quanto mi consta, fanno orecchio da mercante): lo spettacolo fu impostato di conseguenza sulla base di questa preventiva autorizzazione.

Se si tiene conto poi del fatto non mai abbastanza lamentato che le sovvenzioni elargite dallo Stato non arrivano mai al momento in cui servono, ma, per una serie di complicazioni burocratiche e ministeriali, giungono a destinazione spesso dopo un anno, e di questo io ho personale esperienza come capocomico, si può capire a quale gravame di interessi e a quale incertezza di prospettive ogni amministrazione teatrale vada incontro.

Non sarà male perciò che io La ringrazi e Le dia atto nel modo più caloroso della fermezza, del coraggio e della illuminata passione con cui Ella, da Sovrintendente, ha innalzato gli spettacoli del Maggio a carattere e significato internazionali: questa è la loro funzione, e chi lo nega si propone evidentemente speculazioni che non interessa né a Lei né a me alimentare.

Del resto, caro maestro, la questione teatrale in Italia si riduce ormai da anni a una sola. C’è chi sostiene che si possa ottenere un pareggio del bilancio fallimentare del teatro lesinando le spese, pagando male gli attori, usando scene di carta e costumi di pezza, facendo unicamente compagnie di giro: in una parola, rappresentando brutti spettacoli. Io sostengo esattamente in contrario. Il teatro non si può salvare che attirandosi il pubblico, e cioè innalzando il livello degli spettacoli. Mi pare di aver dimostrato in questi anni che ai miei spettacoli non c’è crisi di pubblico, il che implicitamente è un successo amministrativo.

Questo è l’importante: il resto, le gabbie di matti, le vociferazioni, gli scandali sono chiacchiere dei nostri eminenti detrattori, calunniatori e amministratori.

Io credo, caro maestro, che sia soltanto questione di tempo e pazienza.

Mi creda suo
Luchino Visconti