
Parigi 25 marzo 1959.
Figli d’arte di Diego Fabbri ha brillantemente aperto ieri sera al Sarah Bernhardt il ciclo drammatico del Festival del Teatro delle Nazioni, Luchino Visconti è stato il regista di questa terza puntata a Parigi della Compagnia Morelli-Stoppa, come lo era stato nelle due precedenti (La locandiera e L’impresario delle Smirne).
Gli attori sono sempre curiosi di sapere come gli autori li trattano. Per questo erano venuti numerosi ieri sera allo spettacolo del più parigino dei commediografi italiani (di Fabbri a Parigi sono già state rappresentate in pochi anni Inquisizione, Processo di famiglia, Il seduttore e Processo a Gesù: quest’ultimo ha raggiunto la quattordicesima rappresentazione): c’erano Edvige Feuillère, Alida Valli, Madeleine Renaud, Françoise Rosay, Mary Morgan, Bella Darvi, Fernand Gravey, Michel Simon, Daniel Gelin, Félix Martin, eccetera. C’erano anche Marcel Achard, Gabriel Marcel, Jacques Audiberti e molte altre personalità del mondo teatrale e della haute parigini.
Un interesse supplementare si aggiungeva a quello naturale per il soggetto particolare, per l’interpretazione e per la regia.
Lo spettacolo è il primo esperimento di comproduzione teatrale. Allestito con capitali italiani e francesi esso verrà dato nei due Paesi con le stesse scene e la stessa regia. Cambieranno gli attori, necessariamente, ma non tutti. Nella versione italiana c’è un personaggio che parla francese, in quella francese che sarà rappresentata nella prossima stagione a Parigi, ce ne sarà uno che parlerà italiano. In più reciterà Paolo Stoppa in francese.
La commedia di Fabbri ripropone il tema del teatro nel teatro. Un capocomico e la sua compagnia si rendono conto che il loro concetto del teatro non fa più casetta e decidono di mettersi al passo con i tempi. Affidano il nuovo spettacolo, una commedia moderna, ad un regista. Il contrasto fra il vecchio istrione e il giovane regista si manifesta sempre più apertamente, complicato dall’intrusione nel lavoro preparatorio dei drammi privati di ogni attore. Le due azioni, quella confusa dello spettacolo in preparazione e quella della vita della compagnia, si scavalcano, fino alla generale chiarificazione.
L’azione si svolge a Cesena, dove Fabbri ha portato per necessità il teatro di Forlimpopoli, quello del Passator Cortese, « re della strada e re della foresta ». C’è ancora sul legno del palcoscenico il segno per indicare la posizione di Stefano Pelloni, il bandito, la sera della storica bravata con la sua banda schierata sulla scena, i fucili spianati sullo spettabile pubblico. Sono gli stessi personaggi riprodotti sul sipario che anche ieri sera è calato sul boccascena del Sarah Bernhardt come caduto dal limbo degli eroi del nostro Ottocento.
Luchino Visconti ha fatto mirabilie: più del solito, anche lui attratto da questo dramma degli attori, da questo dramma del teatro. Dalle finestre del palcoscenico entrano i suoni della vita che ormai non sentiamo più nelle grandi città: quello ad esempio del martello del maniscalco. E tutto, in questa « tranche de vie » teatrale, è minuziosamente cesellato.
Autore, regista, attori sono stati a lungo e ripetutamente applauditi, anche da coloro che non potendo seguire le sottigliezze del dialogo e dell’azione, abilmente costruiti, si sono ugualmente appassionati al lato spettacolare, all’atmosfera magicamente ricreata. Paolo Stoppa ha creato un ennesimo personaggio indimenticabile, quello di un « mattatore » per nulla caricaturato. Rina Morelli, superba figlia dell’arte, ha suscitato un entusiastico applauso a scena aperta con la sua tirata risolutiva del Padre Nostro. Bravi anche tutti gli altri: Sergio Fantoni nella parte del regista, Françoise Spira nella parte dell’attrice parigina, Ilaria Occhini in quella della giovane attrice appena sfornata dall’Accademia, Marcello Giorda in quella del direttore del vecchio teatro.
Lo spettacolo verrà ripetuto questa sera e domani sera.
Lorenzo Bocchi
(Corriere della Sera)