20 maggio 1962

Forse anche la mafia è stata ingaggiata dai press-agent?  Non basta più inventare flirt o disgrazie, per fare un po’ di pubblicità ad un film? Ecco, in breve, che cosa è accaduto la scorsa settimana e cerchiamo di capirci qualche cosa. Luchino Visconti, dunque, è ormai partito con il suo nuovo film, Il Gattopardo, tolto dal romanzo di Tomasi di Lampedusa, bestseller in Italia e all’estero.

Del Gattopardo di Visconti si parlava da mesi e mesi. Si sapeva che Luchino era in giro per la Sicilia a compiere sopralluoghi per cercare le località dove girare le scene in esterno e alcune ville del palermitano per gli interni. « Visconti vuole tutto autentico, tutto vero. Ha ordinato l’acquisto di arredamenti interi per il palazzo del principe Salina » dicevano i bene informati. « Visconti non ha trovato il paese di Donnafugata. Forse rinuncerà al film o forse farà costruire l’intero paese ». Il fatto che Donnafugata, il paese dove si svolge la vicenda narrata da Tomasi di Lampedusa, non esistesse nella realtà, aveva costituito una grossa delusione per il regista milanese, abituato ad avere tutto vero, nelle sue scenografie, forse ingannato dalla perfetta descrizione di luoghi e ambienti trovati nel libro. Ma la Donnafugata del Gattopardo, pur essendo frutto di invenzione letteraria, aveva nello stesso tempo un’aderenza a luoghi ed ambienti diversi. Insomma, Lampedusa, descrivendola, non aveva fatto altro che mettere insieme la piazza di un paese con il palazzo di un altro, un salone di una casa con il giardino di un’altra. Insomma, con elementi reali, aveva costruito un paese inesistente. Visconti, in Sicilia, ha ritrovato questi elementi reali, inseguendoli e ricercandoli con pazienza. E a Palma di Montechiaro ha trovato il nucleo principale dell’architettura di Donnafugata e le condizioni di vita.

Palma di Montechiaro è un paese di circa 20.000 persone a 29 chilometri da Agrigento, in quella zona della Sicilia meridionale dove le lupare cantano con facilità. Palma è anche il paese descritto da Danilo Dolci come simbolo di uno stato di miseria e di arretratezza: niente acqua, niente fognature, disoccupazione. Visconti arriva a Palma con un piccolo seguito di aiuti e scenografi. Guarda, gira, scova gli angoli caratteristici del paese, li confronta con le descrizioni di Tomasi di Lampedusa e decide: Palma di Montechiaro è la Donnafugata ideale. La piazza del paese viene assorbita in blocco nella scenografia. Occorrono alcuni ritocchi, bisogna modificare  la facciata di un palazzo semi diroccato e coprire un triste monumento ai caduti di qualche guerra. Un’altra difficoltà: la piazza è attraversata dalla strada provinciale. Non si può certo impedire il transito degli automezzi. Né si può girare una scena con macchine e carretti che passano continuamente. Visconti parla con il sindaco, con la giunta, con le autorità. Tutti sembrano d’accordo, disposti a facilitare il lavoro della troupe. Il ritocco scenografico agli esterni? Benissimo. Il monumento? Potete coprirlo con una finta facciata. La strada? Ecco, veramente, noi avremmo il progetto di costruire un nuovo tronco d’asfalto, a valle del paese, per evitare il transito in piazza. Il progetto sta nei cassetti da una quarantina d’anni ma chi ci dà i trenta milioni necessari? Ecco, se i signori volessero venirci incontro, noi daremmo tutte le autorizzazioni. Così saremmo contenti tutti. Voi che potrete lavorare in pace e noi di Palma che avremo la strada fatta e un po’ di lavoro per qualcuno.

Questo, all’incirca, fu il discorso. Erano i primi di aprile. Visconti telefonava al produttore del film, Goffredo Lombardo, di aver risolto i suoi problemi. Tutto d’accordo. Solo che la produzione offrì di fare la strada, ma non bella, definitiva e perfetta come quella nel progetto da trenta milioni. Poteva fare un tracciato provvisorio, da servire per la durata delle riprese, che gli abitanti di Palma avrebbero potuto usare e completare secondo i loro desideri, trovandosi metà del lavoro fatto. Ma la storia segreta del Gattopardo e la mafia non è questa. Il punto è un altro. Visconti comincia ad accorgersene al momento di cominciare i lavori. L’appalto della famosa strada è stato il nocciolo delle controversie. Deciso tutto, sono scomparsi sindaco, giunta e assessori, lasciando il posto ad altri misteriosi personaggi. Il dialogo si fa vago, difficile. A chi fate fare il lavoro? Al tale? Non mi piace. È meglio per voi rivolgervi al talaltro. Chi saranno i manovali? Nossignori, noi preferiamo questo e questo. Ve ne troverete più contenti. Passano i giorni e, alla fine, i discorsi prendono corpo. Dalle allusioni si passa alle intimidazioni. Ad un contadino si chiede di spostare un mucchietto di legna da un angolo all’altro del suo cortile. D’accordo. È presto fatto. Poi viene fuori la grana: dodici milioni di risarcimento danni. Ma quali danni? Legna da ardere spostata di dieci metri. Un rametto di un albero accanto al monumento sporge dalla scenografie. Possiamo tagliarlo? Certo che potete. Poi, al momento buono, l’albero non si tocca, pena gravi rappresaglie. Finché l’ultima minaccia: se voi fate la strada nuova a valle, noi di notte ve la distruggiamo.

Tra questo tira e molla si è arrivati alla fine di aprile. Ecco che cosa dice Lombardo: « Le trattative per Palma sono durate quattro settimane, fra continui cambiamenti di condizioni e di prospettive. Nessuno voleva chiaramente prendersi delle responsabilità. Avevamo posto la data del 28 aprile come estremo limite per decidere, date le esigenze del film. Il giorno prima, il 27, in due riunioni, la giunta comunale respingeva la nostra richiesta di costruire, a nostre spese, la strada. Tutte le trattative si erano svolte in un clima di strani interventi e boicottaggi da parte di certi personaggi. Perciò il 28 aprile abbiamo deciso di girare il film in altra località ».

Visconti è più esplicito e parla di mafia, di minacce, di ricatti. Racconta gli episodi riferiti. Dice: « La mafia mi ha impedito di girare Il Gattopardo a Palma di Montechiaro, sebbene i soldi che noi vi avremmo spesi, avrebbero fatto un gran comodo al paese, per le sue condizioni di miseria ».

Ma è a questo punto che l’interrogativo dell’inizio richiede una risposta. Visconti aveva appena fatte le sue pubbliche rimostranze contro la mafia dell’agrigentino, che il sindaco di Palma di Montechiaro ha protestato con un energico telegramma: « Rammaricati e sorpresi cittadini palmesi tutti leggiamo dichiarazioni Visconti stop contenuto fantasioso non rispecchia il reale et totale consenso popolazione per ambientazione e realizzazione film nostra Palma stop nome cittadinanza chiedessi vivamente chiarificazione mezzo stampa stop Sindaco Lamarca ». E allora? La mafia c’era o non c’era? Adesso Visconti è partito per la Sicilia con la sua troupe: Burt Lancaster, Rina Morelli, Alain Delon, Claudia Cardinale, Paolo Stoppa, Romolo Valli, Lucilla Morlacchi, Ida Galli. Con gli attori del cast ci saranno duecento persone, che si accamperanno alla meglio in località lontane da centri abitati di una certa importanza. Di mafia non se ne è parlato più, forse perché il regista ha pensato bene di spostarsi in quelle zone dell’isola dove la lupara non è mezzo di comunicazione sociale.

Ma l’episodio di Palma non è rimasto chiaro. Visconti non è tipo da inventare le cose che racconta. Nè un sindaco può fare dichiarazioni pubbliche, con un telegramma come quello inviato al regista, se non avesse un briciolo di ragione. E c’è un’altra considerazione da fare. La Sicilia, ormai non produce più solo aranci, pietre e petrolio ma anche buoni film. Per ultimo Salvatore Giuliano, girato nei luoghi abitati dal bandito e con parecchi personaggi autentici della vicenda. Se gli stessi mafiosi, con Rosi, si sono messi il cerone il faccia per fare gli attori o le comparse, perché non avrebbero potuto farlo con Visconti? Senza contare che Rosi raccontava una storia che, in Sicilia, brucia ancora, mentre Visconti deve fare un film in costume, all’epoca garibaldina. A questo punto non rimane che porsi un quesito: la mafia c’era o c’entra con il film, o è stata, forse, ingaggiata dall’ufficio stampa?
Giorgio Branzi
(Cinema d’oggi) 

« Quando finalmente il via fu dato successe il finimondo. In pochi giorni si dovettero affrontare contemporaneamente le situazioni più intricate. Non vogliamo dire che i siciliani si siano approfittati di questo stato di cose; è che ai siciliani piace indugiare nelle discussioni e condurre le trattative in modo estremamente tortuoso, così da lasciare il contraente in perenne stato di dubbio. Purtroppo i realizzatori del Gattopardo non avevano tempo per discutere né si potevano concedere il lusso dei dubbi; fu questa la ragione per cui si dovette, per esempio, abbandonare il progetto di ricostruire la villa di Donnafugata a Palma di Montechiaro, con grande rincrescimento di Visconti »
(Tommaso M. Cima, La realizzazione; Il film Il Gattopardo e la regia di Luchino Visconti, a cura di Suso Cecchi d’Amico, Cappelli Editore, Bologna 1963)