Roma, 16 ottobre 1969

La caduta degli dei, il tanto atteso film di Luchino Visconti (doveva venire a Venezia e, in un primo momento, Fellini aveva accettato di portare il suo Satyricon alla Mostra a condizione che anche Visconti vi fosse presente, poi si era sperato di vederlo agli Incontri di Sorrento) è stato presentato questa sera al Barberini in anteprima per l’Italia e in serata di gala, cioè dinnanzi ad un pubblico nel quale il cronista mondano avrebbe potuto annotare personalità della politica, del mondo letterario e artistico, i più bei nomi del cinema. È stato un grosso avvenimento, degno della cornice fastosa in cui lo si è voluto presentare.

I grandi cicli

Visconti è sempre un grosso personaggio, un grosso talento, anche se i tempi sono cambiati e intorno a lui non esiste più quella reverenziale ammirazione che da parte soprattutto dei giovani esisteva una volta. Ricordo, nel 1957, a Venezia, quando Visconti presentò Le notti bianche, che non fu, poi, neanche un grande successo. Era il periodo in cui Visconti veniva considerato il “maestro” in senso assoluto. Non si era spento l’eco dei consensi ottenuti da Senso e nemmeno dimenticata quella stupenda e affascinante pagina di cinema che fu La terra trema. Visconti giungeva alla Mostra con un seguito di giovani prostrati dall’ammirazione. Nessuno di costoro avrebbe sopportato una critica, una riserva per il “grande” Luchino. Oggi, invece, da parte dei giovanissimi, da parte dei registi poco più che ventenni si contesta anche Visconti.

Sarà “antico” come volete, ma è ancora uno dei pochissimi registi — se ne contano due o tre in tutto il mondo — che sappia costruire una storia, e raccontarla, seguendola nei suoi sviluppi e nella sua conclusione. Visconti ama rievocare i grandi cicli familiari. Al centro di quasi tutti i suoi film c’è una famiglia. Ma la famiglia che egli ha descritto in La caduta degli dei è una famiglia maledetta, una famiglia di mostri, nella quale la bramosia del danaro, l’avidità del potere scavano rivalità, odi e abissi che portano alla distruzione, all’annientamento di ogni valore morale, alla morte. Il film racconta la tragedia di una grande famiglia di industriali tedeschi dell’acciaio, nella Ruhr, tra il 1933 e il 1934, sullo sfondo di una Germania che assiste, impotente ad arrestarla e desiderosa di aderire al nuovo regime per ricavarne profitti, alla nascita del nazismo. È la famiglia degli Essenbeck, padrona della più grande acciaieria del Reich. La ditta fabbrica cannoni e di essa la Germania non può fare a meno. Gli Essenbeck condizionano sotto un certo senso i destini della Germania, ed è evidente l’analogia con i Krupp, anche se Visconti abbia evitato qualsiasi riferimento e anche nella composizione del nucleo familiare si sia studiato di allontanarsi dal modello effettivamente esistito. Nei componenti di questa famiglia Visconti ha simboleggiato l’intero popolo tedesco e l’opera sua è una denunzia implacabile e spietata degli intrighi, dell’abiezione, del male creato dal nazismo.

Vertice infernale

La decadenza degli Essenbeck che si insultano, si dilaniano, si uccidono nel bisogno di sopravvivere, di guadagnare i favori del nuovo regime e di rimanere, ciascuno per parte sua, padroni dell’azienda, si identifica con lo sfacelo dell’intero popolo tedesco, travolto in quel vortice infernale che distruggerà l’intera Germania. Ci dice Visconti: « Ho voluto ricordare io certe cose ai tedeschi, dato che i loro registi non lo fanno ». E c’è da riconoscere che La caduta degli dei, resterà, a prescindere dai suoi innegabili meriti, un documento storico di grandissimo valore per chi vorrà leggere a fondo nelle pieghe di quell’epoca in cui si compiva un evento che sarebbe stato di portata nefasta per tutto il mondo civile.

(…)

Un film che si vede d’un fiato, anche se dura due ore e venti. Il successo è stato caldo, spontaneo. Visconti e i maggiori interpreti del film erano presenti in sala.
Vittorio Ricciuti
(Il Mattino)