7 agosto 1961. La villa di Luchino Visconti, sulla Salaria, si apre all’occhio del visitatore come un sontuoso palcoscenico girevole, colmo di seicenteschi chiaroscuri e di verdeggianti prospettive oltre la grande vetrata del salone, dove epoche e stili diversi si fondono in un riposante silenzio d’acquario. Lo sto aspettando da una diecina di minuti, ma non ho da annoiarmi. I bucolici quadri alle pareti (uno in particolare ispirato a scene di caccia) sono lenti viaggi nel tempo; su un tavolo « maggiolini » spicca una collezione di obelischi; più in là una ventina di tori in miniatura sono disposti sopra una scacchiera di marmo. Un pianoforte a coda è carico di grolle d’oro e di coppe d’argento. Posso sbagliarmi di grosso nella descrizione di casa Visconti. Ma questo non è l’inventario redatto da un ufficiale giudiziario, è solo l’estemporanea traccia di una possibile scenografia fatta ad occhi chiusi pensando alle idee e ai gusti del regista. Ma apriamo gli occhi: fuori, di là dalla vetrata, maestosi cani di razza passeggiano per i vialetti del parco come monaci di clausura in attesa del gong del pasto e sembrano tenermi sotto il loro controllo. Ora viene spontaneo legare l’eleganza figurativa di questo ambiente alle sceniche evocazioni di certe regie indimenticabili, come « Le tre sorelle », « Peccato che sia una sgualdrina », eccetera. Non mi stupirei di veder entrare, da quella porta, la figura silenziosa e dolente di Rina Morelli, e da quest’altra l’immagine (così carica di un erotismo sovversivo perché cerebrale) di Romy Schneider.

Finalmente Visconti: arriva dal lido di Torre San Lorenzo, la spiaggia « selvatica » che adesso va di moda, ricca com’è di casette moresche, di tucul, di immaginose costruzioni su palafitte.

« Le intuizioni, le idee migliori mi vengono quando sto al mare, apparentemente senza pensieri » mi dice Visconti. « Oggi, tra un bagno e l’altro, ho trovato la chiave per l’ultima scena de Il lavoro. Anzi, devo prenderne subito nota ». A margine della colonna « video », su alcuni fogli battuti a macchina, egli va scrivendo qualcosa; cancella e aggiunge con la sua scrittura veloce.

« Non mi piace parlare in anticipo del mio episodio. In partenza non voleva essere che un veloce elzeviro cinematografico sul costume e la psicologia di certa società. Andando avanti le cose si sono complicate. Meglio così. Colpa del mio scrupolo e d’un rigore scenografico che non sarà mai un gioco esteriore, ma farà corpo coi personaggi. Il mio film in due parole? È la giocosa vendetta morale da parte di una giovane moglie innamorata e tradita in seguito a costosissime « azioni » acquistate dal marito alla Borsa sessuologica. Scoppia lo scandalo: le azioni crollano, il nome del giovin signore è su tutti i giornali… se ne vuol sapere di più si rivolga a Romy Schneider: la sua vendetta è un misto di angelica perfidia e di intellettuale abbiezione ».

Gaio Fratini

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