Non è molto chiaro come, quando è perché Luchino Visconti intraprende la sua carriera nel cinema. Nella lunga intervista-racconto di Giorgio Prosperi, Vita irrequieta di Luchino Visconti, pubblicata a puntate sulla Settimana Incom del 1951, l’ormai consacrato regista si esalta ancora ripensando agli ippodromi nebbiosi alle prime luci dell’alba, al rumore spento degli zoccoli sulle piste di corsa:

« Se io fosse un cavallo…» dice a proposito del suo pedigree. Fu davvero una forma di ascetismo quella che lo tenne per quasi cinque anni isolato dal mondo, tra le scuderie, gli ippodromi e i manuali di scienza ippica, perduto in accanite discussioni con Federico Tesio, maestro di un piccolo gruppo di intellettuali del cavallo ».
Effettivamente, come testimonia Enrico Canti nel volume Il Purosangue, edito da Valentino Bompiani nel 1936, in quei cinque anni Luchino Visconti riesce a costruirsi una reputazione di tutto rispetto come allevatore di cavalli:
Il conte Luchino Visconti di Modrone ha costruito forse la più bella scuderia italiana; certamente la più moderna, la più completa e la più comoda. Anch’egli dirigeva di persona l’allenamento e viveva in stretto contatto con i suoi cavalli. Approfondito in questioni tecniche, è uno studioso convinto dei grandi problemi dell’allevamento e, dopo Tesio, è forse l’allevatore italiano più tecnico. Ritirato Sanzio dall’allenamento, i successori non hanno procurato al loro proprietario quei successi ai quali egli sembrerebbe aver diritto; ma l’impianto dell’allevamento, la scelta delle fattrici, lo studio degli incroci permette di credere che il tempo darà ragione al conte Visconti e che questa scuderia sarà da annoverare fra le principali in un futuro non molto lontano, poiché è convinzione generale che la breve sosta, impostasi dal nobile milanese, sia di brevissima durata ed i simpatici colori tornino presto a calcare vittoriosamente gli ippodromi italiani ed esteri.
Ritornando alla citata intervista di Giorgio Prosperi, ecco la cronaca dei primi passi nel cinema di Luchino: « Poi, come accade, chiodo scaccia chiodo: negli intervalli tra un allevamento e l’altro, esauritasi in parte la carica di passione iniziale, aveva cominciato a scrivere soggetti per il cinema », e di questo sono testimoni alcune cartelle depositate nel Fondo Luchino Visconti all’Istituto Gramsci. Ma il racconto continua: « Un giorno era di passaggio per Milano Gabriel Pascal, commesso viaggiatore in grande stile del cinema internazionale e gli parlarono di questi soggetti. Pascal sembrò interessarsene, disse che Visconti lo raggiungesse a Montecatini dove si recava per la cura delle acque. E Visconti si mise il copione sotto il braccio e partì. Trovò Montecatini deserta, fuori stagione, le strade desolate, gli alberghi vuoti. Nell’albergo di Pascal non c’erano altri ospiti che il produttore francese, avvolto in un asciugamano colorato, seduto sul terrazzino come un Buddha a prendere il sole. Ascoltò la lettura del soggetto che giudicò bellissimo e invitò Visconti a raggiungerlo a Londra. Comperasse intanto Novembre di Flaubert, che aveva qualche affinità col soggetto ».
Come “racconto” non è male, un bella scena molto cinematografica: Luchino Visconti, con un copione sotto il braccio, che arriva in una Montecatini deserta; l’asciugamano colorato che avvolge come un Buddha il produttore ungherese (nato in Arad, Transylvania nel 1894, allora Austria-Hungheria, adesso Romania); la lettura del soggetto che ha delle affinità con Novembre di Flaubert; l’invito a raggiungerlo a Londra… Ma proseguiamo: « Deciso a condurre a termine la faccenda, Visconti si mise in viaggio per l’Inghilterra e fa tappa a Parigi dove si incontra con una vecchia amica, la sarta Gabrielle Chanel. Proseguono insieme per Londra, diretti agli stabilimenti Korda per incontrarsi con Pascal. Ma di Korda nessuna notizia. Vita d’albergo, trattenimenti, pranzi al Savoy, finché Pascal decise di confessare la sua impossibilità di comprarsi il soggetto. Così Visconti e la Chanel tornarono a Parigi ».
Aggiungerei che in questa parte del racconto, forse, e dico forse, manca un nome: Ludovico Toeplitz, ex direttore della Cines a Roma, trasferitosi a Londra nel 1933, collaboratore di Korda nella London Film e quindi, fondatore della Toeplitz Production Ltd nel 1935, che non avrebbe perso l’opportunità di riferire di una visita così illustre nel suo Ciak a chi tocca, simpatico volume di ricordi pubblicato nel 1964. Questa è una ricerca in corso, e mi rendo disponibile per ricevere altre informazioni.
Proseguiamo dunque, dalla scena del ritorno a Parigi: « Perduto Gabriel restava Gabrielle, che si dimostrò assai più utile del suo omonimo maschile: conosceva difatti un regista e propose a Visconti di presentarglielo, caso mai ci fosse la possibilità di una collaborazione. Si incontrarono al bar del Colisée e si intesero subito. Quel regista era Jean Renoir e quell’incontro fu decisivo per la futura evoluzione spirituale di Luchino Visconti. Si lavorava alla Partie de campagne di cui Visconti fu costumista e assistente alla regia dopo l’allontanamento di Becquer; un film rimasto purtroppo incompiuto, ma di cui ciò che resta è sufficiente per dare l’impressione di un’estrema finezza figurativa, condotta in un’atmosfera in cui si respira come aria di famiglia la grande tradizione dell’impressionismo pittorico ». Il “racconto” va avanti ancora per un po’, fermiamoci a questo punto e facciamo qualche riflessione.
Se Visconti a Londra aveva avuto l’impressione « che Pascal lavorava nel vuoto », non so cosa avrebbe potuto vedere di così rassicurante nella « famiglia Renoir ». Ma Visconti, come molti altri prima e dopo di lui, rimase stregato dal mago Renoir. Se qualcuno è interessato ad approfondire l’argomento Partie de campagne, raccomando il volume di Olivier Curchod (Armand Colin 2005).
Dopo questa esperienza Visconti rientrò in Italia “profondamente cambiato” e deciso a intraprendere seriamente la sua carriera nel mondo dello spettacolo.
In questa versione mancano alcuni dettagli molto importanti, come si vedrà nella prossima puntata… ovvero, nel secondo tempo, visto che si parla del cinema di una volta.