La Stagione Teatrale Romana

Due anni di dibattiti sul lavoro in America e in Europa – Un dramma del passato ancestrale del Massachusetts – La realistica regia di Luchino Visconti e l’eccellente prova degli attori

Roma, 15 novembre 1955. È andata stasera in scena al teatro Quirino un’opera di eccezionale rilievo: Il crogiuolo di Arthur Miller con la regia di Luchino Visconti. L’ultimo lavoro del massimo tra gli autori americano viventi giunge tra noi dopo oltre due anni dalla sua prima rappresentazione, e preceduto da un vasto dibattito suscitato sia in America che in Francia ed in Belgio (un gruppo teatrale di questo paese ne portò anche una edizione al Festival di Venezia del ’54): due anni nei quali le prospettive storiche si sono andate profondamente modificando, e il dramma parrebbe aver perduto od offuscato la sua immediata carica esplosiva, il fuoco e l’urgenza della sua denuncia.
Tutt’altro, invece. La straordinaria forza della creazione artistica, che quanto più sa aderire al dramma violento di un’epoca tanto più ne eterna il contenuto umano, mantiene all’opera tutta la sua immediata verità, pone ancora ciascuno de gli spettatori davanti alla propria responsabilità di uomo. Se nei giorni in cui la Commissione delle attività antiamericane infieriva nel modo più mostruoso sulle coscienze libere e i Rosemberg sceglievano la morte degli eroi per non tradire la verità e la dignità dell’uomo, il dramma di Miller si trasformava in un’arma di lotta, in una testimonianza incandescente, nulla esso ha perduto, oggi che i sacrifici maggiori sembrano già essere stati consumati, dalla sua solenne e coraggiosa chiarezza, del suo realismo carico di tutti i significati più impegnativi per l’uomo d’oggi.

(…)

Ancora una volta l’incontro tra Miller e Visconti, come già nel memorabile Commesso viaggiatore, dà un risultato di eccezionale maturità. Solo il sicuro, teso, coraggioso realismo di Visconti poteva difendere il bellissimo testo dalle suggestioni marginali, dal colore esteriore e spettacolare, che, in parte per la trasposizione storica di motivi contemporanei impostata dalle circostanze esterne della vita politica americana, in parte per la vastità e la ricchezza di motivi culturali di cui si avvale Miller, potevano essere suggeriti ad un interprete meno sicuro, sopratutto meno saldo ideologicamente. Visconti, a partire secondo me dal Troilo e Cressida del 1949, attraverso il Commesso viaggiatore, le Tre sorelle e Medea, ha compiuto un cammino ininterrotto verso il realismo, rinnovando continuamente i suoi mezzi espressivi senza nulla perdere delle sue esperienze precedenti, ma conquistandosi la chiarezza e la semplicità dei mezzi, che sono il distintivo dell’arte grande e vera. E ora lo attende, con la Morelli, Stoppa, Mastroianni, la regia di Zio Vania.

Dagli attori egli sa trarre sempre in meglio della loro personalità. Da Santuccio e da Lilla Brignone egli ha attenuto una prova eccellente, anche se al primo ci è sembrato mancare qua e là un maggiore calore umano, un odio più saldo; ma lo smarrimento, la forza della lotta disperata, la pietà e il pentimento, la fierezza e il coraggio vibrano nelle loro voci per tutto l’arco dei quattro lunghi atti. Una corona di ottimi attori, perfettamente utilizzati, impersona il vasto coro: la maestà e la durezza spietata di Camillo Pilotto, la massiccia viltà di Buazzelli nella parte del prete corrotto, l’espressiva e angosciosa maschera di D’Angelo nella figura del dubbioso, la Albertini e la Asti tra le ragazze, la Borboni in una parte di grande rilievo drammatico, e una folla di altri. Assistente alla regia (lo segnaliamo per i lettori fiorentini) è il giovane Beppe Menegatti.

Un spettacolo tra i migliori di questi anni: un’altissima esperienza umana, una grande battaglia vinta per la cultura e per la verità.
Bruno Schacherl
(Il Nuovo Corriere)