Alida Valli Aldo Graziati Senso
Aldo sul set di Senso insieme ad Alida Valli

Sabato 14 novembre 1953, ore 16,40. A 15 chilometri da Venezia, sull’autostrada vengo fermato da un ingorgo di macchine ferme. C’è stato un incidente. Nel fosso, orrendamente fracassata, c’è l’Aurelia rosso e nera di Aldo. Raccolgo informazioni. Viaggiava con un signore che alla descrizione riconosco essere suo cognato. Pare andasse a forte velocità. È scoppiata la gomma anteriore destra. Dopo aver paurosamente sbandato la macchina si è impuntata nel fosso e di qui ha fatto un volo di 36 metri andandosi a sfracellare più avanti nello stesso fosso. I due che erano a bordo sono stai sbalzati fuori dalla macchina. Una grossa giardinetta li ha soccorsi trasportandoli all’ospedale di Padova.
(Gian Carlo Zagni, dal diario di lavorazione di Senso

Nato a Treviso nel 1905, Aldo Graziati, in arte G. R. Aldo espatria in Francia a diciotto anni d’età, esercitando diversi mestieri nel teatro e nel cinema. Ammalatosi dopo un periodo di lavoro disagiato torna in Italia nel 1932 per una breve convalescenza, trovando anche un lavoro, come assistente di un fotografo. Ritorna allora a Parigi ed è assunto dallo studio fotografico Harcourt. Allo scoppio della guerra, nuovamente ammalato, ricorre alle cure di un ospedale. Alcuni registi lo richiedono come operatore, e ristabilitosi, Aldo gira con Christian-Jaque La Symphonie fantastique, poi, nel 1942, con Roger Hubert come capo operatore, partecipa alla realizzazione di Les visiteurs du soir di Carné. In questa occasione incontra Michelangelo Antonioni, allora aiuto di Carné. Qualche anno dopo, Antonioni lo presenta a Luchino Visconti.

Io conobbi Aldo Graziati sette anni fa. Stavo lavorando in teatro, in quel momento, a Roma, e avevo fatto uno spettacolo che era Delitto e castigo; spettacolo buono o cattivo, non è questa la sede per giudicarlo. Comunque una sera salì sul palcoscenico un signore che io non conoscevo, e mi parlò con tanto entusiasmo dello spettacolo, pregandomi di lasciargli  fotografare alcune situazioni della commedia. Io gli domandai chi fosse. Mi rispose che era un fotografo francese che si chiamava Aldò. Il nome non mi era nuovo: avevo sentito parlare di Aldò come fotografo sia di ritratti che cinematografo. E gli dissi: “Venga pure, faccia quello che vuole”.

Aldo venne. Io ricordo perfettamente, come fosse oggi. Finito lo spettacolo, chiesi agli attori se volevano posare per questo fotografo francese. Gli attori dissero di sì. E Aldo cominciò a piazzare la macchina e a chiedere alcune situazioni. Gli attori, abituati ai normali fotografi di scena, credevano che le cose si sarebbero concluse in quindici, venti minuti: Aldo stette tre-quattro ore a fotografare la commedia. E gli attori erano esterrefatti; io non ero esterrefatto, e cominciavo ad apprezzare Aldo Graziati. Aldo Graziati diceva agli attori: “Signori, un momento di posa, conterò fino a cinque. E gli attori di mettevano in posa; a Aldo contava fino a quarantacinque e non li lasciava muovere. Quando alcuni giorni dopo Aldo venne a portarmi il risultato delle sue fotografie, io ne fui entusiasta perché Aldo aveva capito esattamente quello che io avevo voluto fare sulla scena e l’aveva riprodotto con fedeltà assoluta.

Mi ricordo che, vedendo le fotografie, gli dissi: “Lei sarà il mio operatore nel mio prossimo film”. Aldo non ci credette; nessuno ci credette. Un anno e mezzo dopo, io decisi di fare La terra trema e di partire in Sicilia per fare un documentario; questa era l’idea iniziale. Pregai allora Aldo se voleva seguirmi e fare il capo operatore. Aldo accettò. Partimmo, credendo di rimanere in Sicilia dalle tre alle quattro settimane; restammo sei mesi. Il risultato è La terra trema.

Qualunque capo operatore, si sarebbe trovato, nel girare La terra trema, davanti a difficoltà quasi insormontabili. Io vidi Aldo risolvere ogni situazione, la più difficile, la più disperata.

Chi conosce il film sa di che cosa parlo, sa di certi interni non più vasti di due metri per tre, sa di case con soffitti molto bassi, sa della difficoltà di certe riprese in mare, sulle barche, nella vita reale dei pescatori; sa la difficoltà di certe riprese di tempesta, di certe riprese notturne. Ora io devo anche aggiungere che i mezzi di cui disponevamo non erano certo straordinari; avevamo quello che avevamo per un film normale. Ma La terra trema andava diventando un film non normale nel senso comune della parola. Io vidi Aldo fare veramente quello che si può chiamare dei miracoli, dei veri miracoli. Non solo, ma i risultati che egli otteneva con la fotografia di La terra trema erano di una qualità assolutamente insolita per il cinema italiano.

Ricordo che quando il film fu presentato a Venezia — e per delle ragioni che adesso non voglio dire non riuscì a vincere il famoso Leone di San Marco — io sperai che almeno ad Aldo fosse attribuito un premio per la migliore fotografia. Perché posso affermare obiettivamente avendo visto i film di quella mostra, che la fotografia di La terra trema era la migliore, certamente la più interessante e la più straordinaria. Nessun premio, naturalmente, venne dato ad Aldo; questo per delle ragioni che, ripeto, non voglio in questo momento stare a esaminare. Però chi aveva capito quali fossero le qualità di Aldo immediatamente ricorse a lui. Voglio parlare di Genina, voglio parlare di De Sica, soprattutto di De Sica che dopo Ladri di biciclette non fece più nessun film senza ricorrere ad Aldo. E chi non ricorda le stupende sequenze fotografiche di Miracolo a Milano, di Umberto D. non solo, ma anche di Cielo sulla palude? Infatti la critica cinematografica riconobbe più tardi il torto fatto ad Aldo non assegnandogli un premio a Venezia e aspettò l’uscita di un altro film, anzi di due film, e finalmente gli assegnò un nastro d’argento che comprendeva anche La terra trema. Così indirettamente egli fu compensato anche per quella sua prima bellissima impresa.

Dovrei farvi dei discorsi troppo lunghi per spiegarvi quali erano la vera qualità, il vero temperamento artistico di Aldo (sarebbe un discorso lunghissimo, si potrebbero scrivere pagine e pagine su questo), il suo fervore, il suo entusiasmo davanti a una bella immagine, davanti a un bel soggetto da fotografare, quella specie quasi di euforia che lo animava e in cui sentivi veramente come egli si trovasse di fronte all’elemento suo. Maneggiare la luce, perfezionare un’immagine, era veramente per lui dar vita alle cose inanimate. Questo, chi non ha lavorato con lui non lo può sapere.

Vorrei parlare delle altre qualità di Aldo, delle sue qualità umane, della sua enorme modestia. Io non ho mai sentito da Aldo un giudizio sfavorevole su altri operatori, per esempio; ho sempre sentito da Aldo giudizi favorevoli. La modestia di Aldo consisteva in questo: qualunque cosa egli avesse fatto, qualunque risultato egli avesse raggiunto, non contava per lui; ogni volta ricominciava daccapo, ogni volta per lui era un’impresa nuova, lo scopo era di arrivare a risultati nuovi, migliori. E quando io gli offersi ultimamente di lavorare con me per il film al quale sto attualmente lavorando, cioè di affrontare per la prima volta il problema del colore, Aldo fu assolutamente felice, egli aspettava questa occasione e nessuno meglio di lui poteva affrontare il problema del colore sotto un aspetto completamente diverso e nuovo da come era stato affrontato fino a oggi, anche nei casi migliori. E devo riconoscere che il lavoro fatto da Aldo prima che questa disgrazia ce lo portasse via ha dato dei risultati assolutamente inaspettati, cioè aspettati da me, ma inaspettati certo per gli altri.

Vorrei citarvi anche degli esempi.

Noi abbiamo cominciato a a lavorare cercando appunto di introdurre nella lavorazione a colori certi effetti. Ricordo i che nei primi giorni giunsero telegrammi allarmanti dal Technicolor inglese, il quale non s’aspettava di vedere delle cose insolite e che si staccavano completamente dalle loro abitudini, dal loro standard. Io e Aldo ci guardavamo e dicevamo: “Noi continuiamo in questo modo”. Poco dopo, altri telegrammi. Dicevano: “Questo effetto si deve vedere”. La nostra soddisfazione finalmente fu grande quando giunse una lettera dal Technicolor: “Il materiale che voi ci mandate è assolutamente ottimo e insolito sotto molti aspetti”.

Io so che anche se Aldo ora ci ha lasciati egli continua a stare con noi, continua a seguirci nel nostro lavoro. Il nostro proposito è quello di continuare esattamente sulla stessa linea sulla quale abbiamo iniziato con lui. Purtroppo la vita è implacabile; il lavoro è ancor più implacabile. Tre giorni dopo la sua scomparsa noi abbiamo dovuto ricominciare il nostro lavoro. Abbiamo dovuto ricominciare, e l’abbiamo ricominciato in quello spirito che vi dicevo: sentendo vicino a noi questo nostro compagno di lavoro, incomparabile e insostituibile. Io non so cosa potrei dirvi ancora. Ripeto, potrei continuare per molto e molto tempo. Io vi invito a rivedere La terra trema, se vi capita. Dopo quello che vi ho detto — e pensando che questo era il primo lavoro di Aldo come operatore cinematografico — voi potrete capire e apprezzare quali fossero le qualità grandissime di questo vero artista, il quale non aveva altro interesse nella vita, salvo il suo lavoro e il risultato del suo lavoro.

Questo è quanto io posso dirvi, e mi sembra che sia il ricordo di Aldo più preciso.
Nessuno di noi potrà dimenticare la sua voce sul “set”, la sua maniera di lavorare, il suo spirito sempre allegro, sempre entusiasta, sempre di buon umore. Se uno ripensa oggi ai giorni che ha passato con quest’amico, con questo compagno, li rimpiange profondamente. Con questo rimpianto vorrei semplicemente richiamarvi a quello che è stato il primo passo di questo artista nella sua carriera e avvertirvi in modo che il giorno in cui il film che stiamo facendo in questo momento uscirà voi possiate individuare con sicurezza e senza errori quali sono nel film le “sequenze di Aldo”.
Luchino Visconti
(Cinema Nuovo, 15 dicembre 1953)