Roma, gennaio 1955
Questo film di Luchino Visconti non è soltanto il migliore italiano — e forse non solo degli italiani — di questa stagione, ma è uno dei più belli, dei più grandi, che il nostro cinema abbia dato in questi ultimi anni: su un piano di valori assoluti, non in relazione allo scaduto livello artistico della produzione italiana recente.
Vien fatto di cominciare a parlare di Senso risalendo, in tema di film sul Risorgimento, a 1860 di Blasetti. Sono gli unici due film realistici che il cinema italiano abbia dato, su quel periodo di storia nazionale, in un cinquantennio. In 1860 Blasetti cantò con una sensibilità moderna l’epopea della insurrezione popolare, della nascita d’una umanità nuova nella lotta unitaria per l’indipendenza. In Senso Visconti ha evocato l’aspetto contrastante di quel momento storico, ha analizzato con sensibilità ancor più moderna la tragedia di un mondo che tramontava, la decadenza morale e politica d’una società condannata, l’altro volto della medaglia. La contessa veneta Livia Serpieri e il suo amante austriaco, il decadente tenente Mahler sono, al di sopra della loro nazionalità, i simboli di quel mondo senza patria né ideali, moralmente e socialmente disfatto, lacerato dalla contraddizione tra un delirante orgoglio di casta e la degenerazione dei principi e dei sensi, il cinico compromesso, la viltà, il tradimento: essi finiscono fatalmente l’una tra le braccia dell’altro, proprio mentre i loro popoli sono in guerra, nel tragico e decisivo 1866, finiscono ambedue nella vergogna, mentre la supremazia imperiale austriaca tramonta, la rivoluzione popolare italiana contrasta il retrivo stato maggiore piemontese, e la sua umiliante disfatta a Custoza e l’innaturale e pesante alleanza con la Prussia amareggiano la prossima liberazione del Veneto. Il purissimo, luminoso romanzo d’amore del « picciotto » siciliano durante l’epopea dei Mille, in 1860, e l’ignobile, ossessionato amore di Livia e Franz nella tragedia del loro mondo disfatto in Senso. Due rari esempi di autentico cinema storico, di rapporto profondo, vivo, naturale, tra una realtà storica e una vicenda drammatica che la simboleggia e che da quella realtà trae il proprio senso.
Interpretazione moderna, d’una folgorante lucidità, di una pagina fondamentale della nostra storia nazionale, il film di Visconti è quindi un contributo importante alla cultura italiana. Lo è tanto più, in quanto è una interpretazione poetica, di impressionante ampiezza e profondità, d’una tragedia storica della società europea. Intimamente legato agli eventi italiani del ’66, e drammaticamente condizionato da essi, il dramma di Livia e Franz, del patriota marchese Ussoni e dell’austriacante conte Serpieri, ingigantisce fino a diventare un dramma corale dell’Europa del tempo, caratterizzata dai compromessi e dai conflitti del mondo di ieri di fronte all’avanzare del mondo nuovo. La novella di Camillo Boito diventa, nell’interpretazione cinematografica di Visconti, grande come quelle che Maupassant, Zola, o Balzac, trassero dall’analoga tragedia della Francia del 1870.
Fratture, squilibri, approssimazioni, e forse anche forzature di dettaglio, si rivelano di tanto in tanto nel racconto di Senso. Alcuni tagli di censura assurda non hanno, d’altra parte, contribuito a chiarire certe situazioni psicologiche, certi passaggi a volte importanti. Ma era un grandioso affresco tragico, di impressionante complessità, di profondità abissale, e con un vertiginoso precipitare degli eventi, quello che Visconti aveva concepito, dall’esile novella di Boito: era inevitabile che, sotto quel peso, la tenue trama a volte cedesse. Ciò è accaduto perfino quando fu portata sullo schermo una novella di ben altra compiutezza: Boule de suif di Maupassant. Tuttavia, quei difetti di Senso sono limitati alla meccanica del racconto, alla struttura della storia: non incidono sull’attendibilità sostanziale delle azioni e reazioni dei personaggi, non pregiudicano la logica del dramma. Personaggi, situazioni, motivi, traggono la loro ragione d’essere, e si svolgono naturalmente, dal clima, dall’ambiente, dal costume e dalla cultura, dalla condizione umana, sociale, politica, dalla realtà storica, in cui Visconti li ha inseriti, sino a farne un tutto unico con esse.
E poche volte, nel cinema, l’evocazione storica è stata così vivida, così ampia e profonda, così documentata e ad un tempo poeticamente ricreata, così curata e squisita eppur così rigorosa. Su questo piano, che è quello giustamente fondamentale nel film, non esistono fratture, né squilibri, né approssimazioni, né forzature: con un’unità stilistica superba, con una intelligenza, una cultura, una civiltà, una sensibilità artistica splendide, e con un rigore realistico esemplare, Visconti ha fatto d’ogni oggetto, d’ogni ambiente, d’ogni abito, luce, colore, motivo musicale, pittorico, un elemento vivo di rievocazione storica drammatica. Ha fatto in termini di purissimo cinema quello che fece in termini di altrettanto puro teatro ne Le tre sorelle, e con ben altro apporto creativo di quello da lui dato nella regia di quel melodramma di Cechov. Senso è un saggio esemplare di equilibrio artistico e morale, in quanto espressione estetica ricchissima eppur anti-formalistica, ed opera di grande antica civiltà eppur moderna e progressiva. Possono esservi delle fratture nel racconto: ma — ciò che è ben altrimenti importante — non vi è frattura in Senso tra gli stili palladiani e tiepoleschi d’una villa veneta, le immagini degli amanti ispirate a Hayez o Winterhalter, quelle della battaglia suggerite da Fattori, e la sensibilità sociale e umana moderna di Visconti, e la nostra: è un fatto di civiltà che non presenta soluzioni di continuità, che è alieno dallo sperimentalismo intellettuale ed estetizzante tipo Giulietta e Romeo di Castellani, ed è lontano dal dilettantismo infantile dell’americano Moulin Rouge; e che si riallaccia, se mai ad espressioni di civiltà europea come Enrico V di Laurence Olivier o Le diable au corps di Autant-Lara, o certo cinema di Eisenstein.
Dalla sceneggiatura alla fotografia e ai costumi, il regista ha avuto la collaborazione di artisti dal gusto squisito, intimamente aderenti alla sua dominante personalità: e la loro opera è stata mirabile. Altrettanto degni sono stati gli interpreti, dei quali basti dire che, ciascuno nel suo ruolo, sono perfetti. Bellissime le musiche di Bruckner.
Prodotto da Domenico Forges Davanzati per la LUX, il film di Luchino Visconti onora il cinema italiano, il cinema europeo, il cinema d’arte.
Paolo Jacchia
(Cinecorriere)