Kitzbühel, febbraio 1966.

Non è la prima volta che il cinema, un po’ cinicamente si concede questo gioco: spogliare la grande diva, toglierla dal suo mito e mostrarla com’è dentro, con le sue debolezze e le sue paure. Si fa a pezzi il modello di bellezza irraggiungibile, l’emblema erotico imposto faticosamente con le favole filmate, le falsificazioni fotografiche e le distorsioni dei manifesti. È così forte, il cinema, che talvolta si permette perfino di svelare i segreti dei suoi prodotti più riusciti: ecco qua lo splendido involucro, e il malinconico contenuto.

Questo è un po’ il tema che anche Luchino Visconti sta adesso svolgendo, con ironia e crudeltà, in un racconto breve che farà parte di un film in tre episodi. « Con ironia perché lo consente l’argomento », spiega il regista, « e con crudeltà perché un certo mondo, a guardarci dentro, risulta crudele da solo ». La strega bruciata viva s’intitola la storia e sullo schermo durerà soltanto quaranta minuti. La strega, naturalmente, è la grande diva: un personaggio ipotetico e tuttavia abbastanza identificabile con questo o quell’esempio reale.

Una strega può essere anche bellissima, dice Visconti, anzi, al giorno d’oggi non può che essere bellissima. « Perché solo la diva creata dal cinema può ricoprire, nella società moderna, il ruolo delle antiche distributrici d’influssi e di malefici. Infatti nessuno più di lei, oggi, può influenzare il prossimo usando il suo fascino, prodigando emozioni, diventando un simbolo sessuale per gli uomini, consentendo alle donne l’imitazione e l’identificazione pur rimanendo irraggiungibile ».

Però anche le moderne stregonerie si pagano. C’è un rogo, pare, anche per chi esercita pratiche magiche apparendo come immagine sullo schermo. Secondo Visconti, nessuno è più alienato di un simile personaggio. « In una diva di cinema non c’è solo la formula di fabbricazione. Il meccanismo è spietato: una brava e bella ragazza diventa un simbolo e non può più smettere i panni. Anche se cerca di tornare donna come tutte le altre, non ci riesce più. È proprio condannata a esser bruciata viva dal suo stesso successo ».

Qui la bellezza destinata al rogo si chiama Gloria. Ha la faccia pallida e la figura nervosa di Silvana Mangano. È abbastanza singolare che Visconti, per il personaggio di Gloria, abbia scelto quest’attrice introversa e schiva che non ha mai accettato di diventare una diva: è solo affascinante quanto basta per sembrarlo nel film. Gloria, come personaggio, è già in trappola. Ecco una sua battuta: « Tre film, devo fare, tre. Senza respiro, uno più inutile dell’altro. Perché? Perché? Un miliardo, due miliardi, quattro miliardi. Avrei bisogno di un anno di riposo e mi negano un giorno ».

Si gira in questa rinomata località sciistica del Tirolo, la storia potrebbe essere ambientata anche a St. Moritz, o a Cortina. Dura in tutto poche ore. Tutto si svolge in uno châlet pieno di trofei di caccia e di stampe barocche. Per noia, per disperazione, l’idolo cinematografico si rifugia in questa casa in mezzo a un gruppetto di personaggi, amici ed estranei. « Un mondo abbastanza tipico e abbastanza vago », dice Visconti, « esente da definizioni sociali esatte, dove circola soprattutto stanchezza e indifferenza, dove tutti sanno tutto di tutti, per cui non ci sono più pudori e neanche interessi, ma dove i nervi sono abbastanza deboli ».

Su questa scena, presa in affitto da sua altezza serenissima Alfred von Auersperg, noto playboy mitteleuropeo, si parlano almeno quattro o cinque lingue. Attorno alla Mangano ci sono anche Annie Girardot e Nora Ricci, lo spagnolo Francisco Rabal e l’inglese Leslie French. « Grüss Gott », è il saluto del giovane domestico in livrea tirolese accogliendo Gloria sulla soglia di casa Auersperg. E poi ci sono, nel ruolo di testimoni mondani, annoiatissimi anche loro, Clara Calamai e Massimo Girotti. La celebre coppia di Ossessione si ritrova insieme, sotto la regia di Visconti, dopo ventiquattr’anni.

n.m.
(da L’Europeo)