Una polemica amabile si è accesa fra il regista e l’attore, che recentemente ha affrontato la regia con Amleto, sul modo di dirigere un lavoro teatrale.

Roma, gennaio 1953.

Le polemiche offuscano l’orizzonte teatrale romano. Polemica vera e propria può definirsi quella che ha opposto Cesare Giulio Viola, commediografo e rappresentante sindacale degli autori teatrali italiani, a Luchino Visconti a proposito di una complicata questione riguardante la sovvenzione della Compagnia Stabile di Roma diretta dallo stesso Visconti al Teatro Eliseo. Amabile scaramuccia, pur con le sue secche puntate, deve definirsi invece la polemica che ha opposto Luchino Visconti a Vittorio Gassman, attore il quale, come è noto, varie volte nel passato ha recitato sotto la sua guida, mentre oggi è divenuto egli stesso regista.

La polemica è sorta dolcemente, come un fuoco che covi sotto la cenere. Dopo la prima rappresentazione dell’Amleto, del quale Vittorio Gassman era insieme il protagonista e il regista, Luchino Visconti che era al Teatro Valle, non si recò in camerino per complimentarsi con l’attore, mentre si soffermò con gli altri interpreti elogiandoli.

Qualche giorno dopo Vittorio Gassman, invitato a parlare alla radio del suo spettacolo che aveva avuto un incontestabile successo di pubblico e di critica, disse agli ascoltatori che Visconti non era andato a congratularsi con lui. Ma aggiunse immediatamente che, pur essendo molto grato al regista per il lavoro svolto in comune, considerava la sua strada interamente diversa soprattutto per quanto riguardava l’interpretazione dei classici. Tanto equivaleva a dire che, almeno sotto questo aspetto, Luchino Visconti non aveva insegnato proprio nulla al signor Gassman, il quale aveva scoperto da sé la verità, quella che l’aveva portato diritto al successo dell’Amleto.

Ma Luchino Visconti non incassò e, in una intervista concessa a l’Unità, ricordò che Gassman aveva recitato sotto la sua ferrea guida ben tre classici, Oreste di Alfieri, Come vi piace e Troilo e Cressida di Shakespeare, riscuotendovi sempre imponenti successi personali. Dopo aver interpretato l’Oreste sotto la guida di Luchino Visconti, Vittorio Gassman era stato protagonista  di un’altra edizione della tragedia alfieriana da lui stesso diretta. Luchino Visconti, come se questo primo invito alla memoria ed alla gratitudine non fosse bastato, aggiungeva più causticamente, riferendosi appunto a questo secondo Oreste allestito da Gassman: « L’Oreste che si è messo in scena da sé non ha avuto la stessa fortuna di quello che aveva interpretato con la mia direzione ».

« E chi te lo fa fare a immischiarti nelle faccende della regia! », sembrava insinuare Luchino Visconti tra le righe. E più esplicitamente spiegava: « Secondo me Gassman è troppo attore, troppo dotato per potere essere al di fuori di se stesso, per preoccuparsi dello spettacolo. Per poter  svolgere con lo stesso risultato la doppia attività di interprete e di coordinatore di interpreti, occorre una personalità diversa, non maggiore, anzi minore, ma diversa. È un’altra maturità ».

Dopo aver parlato alla radio, Vittorio Gassman per placare le acque aveva inviato in dono a Luchino Visconti una raccolta delle poesie di Rilke con la conciliante dedica: « Cordialmente Vittorio ». Ma le parole citate nella intervista di Luchino Visconti facevano traboccare il vaso. Infatti bisognava tradurre il linguaggio ermetico e protocollare di Luchino Visconti in chiaro. Egli in sostanza diceva a Gassman: « Mio caro, tu fai le regie, preoccupandoti solo di te stesso, cioè sei un gigione bello e buono. Io nei miei spettacoli ti ho tenuto a freno e solo per questo tu dici che il tuo indirizzo è diverso dal mio. Ma siccome l’essere gigioni non vale, ecco che il tuo Oreste ha avuto meno successo del mio, anche nei tuoi riflessi di interprete ». Coloro i quali sotto sotto, anche senza averne l’aria, accusano Vittorio Gassman di essere gigione non sono pochi. In alcuni, naturalmente, agisce la molla dell’invidia. Vittorio Gassman è l’unico dei giovani attori che abbia avuto sulle nostre scene la possibilità di ripristinare la tradizione del « grande attore », altrimenti detto « mattatore »; l’unico che abbia potuto formare già da qualche anno, quando ne ha avuto voglia, una sua compagnia, imponendo un repertorio particolarmente rispondente ai suoi mezzi e particolarmente adatto al suo successo personale. Ma Vittorio Gassman, logicamente, ritiene di essere veramente un grande attore e ritiene che le sue stesse virtù lo salvino dal pericolo di diventare un gigione, il che invece è solo in parte vero.

Quindi in questo caso l’interprete di Amleto non poteva avere dubbi amletici e partiva alla riscossa con una lettera indirizzata al Tempo di Roma che aveva uno scopo fondamentale, quello di gridare a voce alta: « No! Non sono gigione e il mio Oreste ha avuto successo almeno quanto quello diretto da Luchino Visconti ». Ed infatti in quella lettera Vittorio Gassman dichiarava di essere molto grato a Luchino Visconti per quanto gli aveva insegnato in merito ad un repertorio moderno di carattere psicologico, alla maniera di Un tram che si chiama desiderio di Tennessee Williams, ma di essere egualmente consapevole di non dovergli nulla nei riguardi di un repertorio classico.

Luchino Visconti non ha ancora risposto. Né risulta che abbia inviato un volume di poesie di Hölderlin a Vittorio Gassman con la dedica: « Cordialmente Luchino ».

La  polemica quindi proseguirà probabilmente sulle scene, dove ambedue i contendenti si apprestano a portare un classico a prova di bomba. Luchino Visconti presenterà la Medea di Euripide, Vittorio Gassman il Tieste di Seneca, che non fu rappresentato neppure ai tempi di Nerone. Una « prima », dunque, più che assoluta; una « prima » nel tempo e nello spazio, secolare e mondiale.

Speriamo che in questa contesa fra gli uomini di teatro non riescano soccombenti, come spesso accade, gli spettatori.
Stelio Maletti
(Festival)