A Milano da tempo non s’era vista tanta gente agli sportelli di un teatro. Il merito dell’eccezionale avvenimento spetta a Luchino Visconti. Questo prestigioso regista ha conquistato una città. Un simile fatto segna una data nella storia del nostro teatro moderno. Quanto fascino eserciti sul pubblico la presenza di Visconti lo si era già riscontrato con Morte di un commesso viaggiatore di Arthur Miller. Ma il successo di questo impareggiabile spettacolo non era tuttavia disgiunto da una indiscutibile validità del testo. Nella seconda opera messa in scena al teatro Nuovo di Milano bisogna invece ben distinguere tra regia e testo. Un tram che si chiama Desiderio di Tennessee Williams è arrivato alle ovazioni della platea soltanto per la genialità di chi l’ha diretto.

Quest’opera del giovane autore americano è giunta sul palcoscenico milanese preceduta da una enorme ondata di notorietà. Un tram chiamato Desiderio non soltanto aveva suscitato entusiasmi a Broadway, Londra e Parigi, ma aveva già avuto il battesimo italiano tre anni fa in un teatro romano (a anche allora regista era stato Luchino Visconti). Diciamolo pure che tanta celebrità ci è parsa eccessiva. Stringi stringi, il lavoro di Williams si riduce ad una immensa voluta di fumo con l’offerta conclusiva di una modestissima fettina d’arrosto. Il commediografo d’oltreoceano arriva fresco fresco — metà del XX secolo — vestito con stiffelius verista di Zola e C. ed ha la pretesa di far colpo. È un po’ come voler esportare tulipani in Olanda. Non basta a render originale la merce l’abbondanza degli accessori. Non occorre eccessiva scaltrezza per scoprire il trucco. Tennessee Williams sviluppa il motivo del naturalismo ornandolo con vistose ad anche apprezzabili trovate formali. Ma se noi — dopo averle sinceramente ammirate — mettiamo da parte la tecnica dei quadri, i commenti musicali, gli inserimenti suggestivi delle danze, i trapianti scenici del cinematografo; se isoliamo, insomma, la sostanza drammatica ed umana della sua opera, che cosa ci resta? Una laboriosa e fredda ricostruzione fotografica di una “tranche de vie”. In Un tram chiamato Desiderio fattacci clamorosi; la violenza, l’isterismo, la morbosità impregnano ogni momento della vicenda. Eppure raramente la commozione prende alla gola lo spettatore. Si assiste alla furia bestiale che travolge i personaggi in palcoscenico con la curiosità del cronista (e talvolta, per reprimere il disgusto, sarebbe opportuna l’impassibilità dello psichiatra). Soltanto nel finale del secondo atto (allorché la protagonista si aggrappa disperatamente ad un giovane onesto per riemergere dalla sentina del suo passato) s’avverte il palpito di sincerità umana, di calda partecipazione.

Desiderio è il nome del tram che conduce ad un quartiere piuttosto movimentato di New Orleans. Di un tal mezzo si serve un giorno Blanche Dubois per arrivare a casa di sua sorella Stella, sposata ad una specie di gorilla oriundo polacco. Le due ragazze sono di buona famiglia. Ma l’agiatezza è soltanto un ricordo, perché le sostanze degli avi sono andate in fumo. Anzi la prima notizia di Blanche si riferisce proprio all’addio dato agli ultimi rimasugli. Stella è molto diversa dalla sorella. Pur avendo avuto la stessa educazione, s’è adattata vivere una vita stentata in due stanzette abbastanza scomode. Non stima eccessivamente il marito, anzi è sempre pronta ad azzuffarsi con lui. Ma tutte le loro scenate (e quali scenate! con rottura totalitaria delle suppellettili e manrovesci sulla pelle) si diluiscono in amplessi vulcanici. Marito e moglie sono di volta in volta la brace e il burro. Non possono star vicini senza che il calore dell’una non sciolga l’altro. Nel braciere sensuale capita la schizofrenica Blanche, la cui esperienza amorosa non ha niente da invidiare a quella della più consumata peripatetica. C’è tuttavia una giustificazione psichica al suo disfacimento morale: a sedici anni è andata sposata ad un giovane ed alato poeta, che oltre alla virtù dei versi aveva il vizio della pederastia. Confessiamo che per una sposa, pazzamente innamorata del marito, è davvero un rude colpo constatare d’essere sostituita nel talamo nuziale da un prestante giovanotto. Da quel triste momento Blanche ha perso quota e dall’azzurro della poesia è precipitata nel grigiore degli alberghetti equivoci. (…)

Lo vedete anche voi che non abbiamo più spazio e dobbiamo fermarci. Il sacrificato è Luchino Visconti. Non possiamo dirvi tutta la sua bravura (questa volta perfino eccessiva). Credeteci sulla parola e battete le mani. E battetele anche alla protagonista Rina Morelli, dall’interpretazione superba. E non dimenticate gli altri interpreti, tutti eccezionalmente in forma: da Marcello Mastroianni, a Giorgio De Lullo, e Rossella Falk, ecc.

Andrea Ronchi
Bis, Maggio 1951