Roma, 13 marzo 1967

La musica della Fanciulla del West si diffonde sommessamente nell’antica villa della Via Salaria dove vive Luchino Visconti. Spentasi appena l’eco dell’ultima nota, il regista osserva: «Bella, un’orchestrazione modernissima in cui Puccini era arrivato a posizioni molto avanzate. Ricordo, d’altro, una lettera in cui egli scriveva di passare notti intere ad ascoltare le musiche di Debussy e Schoenberg». Certo è che Visconti, il quale ha messo in scena opere di Mozart, di Verdi, di Bellini, di Donizetti, non ha mai assunto la regia di una composizione pucciniana. Notiamo questo particolare. «È vero — dice — ed è un fatto curioso perché le creazioni di Puccini m’interessano molto. Vorrei, un giorno o l’altro, mettere in scena una sua opera e, in tal caso, sarà senz’altro La fanciulla del West».

Anticipazioni

Ma l’interesse di Luchino Visconti per il compositore e il suo cammino musicale si manifesterà intanto in forma cinematografica. Tutti sanno, infatti, che egli dirigerà un film su Puccini e ne sta preparando il copione insieme con Giuseppe Patroni Griffi ed Enrico Medioli. Ma quale carattere avrà la pellicola, quali aspetti della personalità del musicista, egli intende lumeggiare e far risaltare? Ascoltiamo da lui stesso una anticipazione del taglio che avrà la pellicola. «Biografico sì, il racconto — dice Visconti— ma non la solita biografia intesa come narrazione di un arco di vita e d’opera dell’artista. A me preme di cogliere soprattutto alcuni momenti essenziali della sua attività creativa e il loro significato. Vedo, per esempio, all’inizio del film Puccini — il quale aveva già ottenuto successo con Manon Lescaut e Bohème — mescolarsi alla folla commossa che segue i funerali di Verdi (lui che — ricordiamo noi — ascoltando Aida a Pisa nel ’76, dopo le molte composizioni per organo a cui aveva lavorato, vide come spalancarsi una finestra su un nuovo mondo musicale). Penso di seguire Puccini fra l’altro in un momento ansioso di crisi quale fu l’iniziale insuccesso di Madama Butterfly e nel periodo finale in cui il tormentoso dubbio d’essere superato, di sentirsi prigioniero d’una formula, gli impedì di portare a compimento Turandot. Ecco, intendo descrivere Puccini quale erede naturale di Verdi, ma insieme analizzare fino a qual punto egli ha portato avanti l’espressione del dramma musicale, in un momento in cui esistevano nel mondo della musica fermenti di ogni genere. Vedere l’evoluzione di un artista, più che raccontare la storia di un uomo: ecco quel che m’interessa fare. Pertanto dalla sua vita cercherò di ricavare i momenti più interessanti sotto questo profilo».

Dal primo annuncio del film che Visconti intende realizzare, gli sono piovute moltissime lettere, di persone che al compositore furono vicine, ed ebbero con lui corrispondenza, di interpreti delle sue opere, prima fra tutte una grande cantante pucciniana, Gilda Dalla Rizza, che ha offerto a Visconti la lettura del suo carteggio con Puccini. E poi, ancora lettere da Lucca e da Torre del Lago sia al regista, come anche a Marcello Mastroianni, che sarà Puccini sullo schermo e che a Lucca possiede una villa e conta molti amici. «Mastroianni è l’attore giusto — osserva Visconti — bell’uomo, com’era Puccini, di gusti semplici e anche di una pigrizia soltanto apparente. In fondo, agli effetti del film, la vita di Puccini ha una importanza relativa, ma assume rilievo agli effetti della ispirazione artistica, del modo come musicalmente egli si esprimeva in una società e in un mondo che avevano trovato in lui il cantore ideale».

Le difficoltà

Naturalmente, Visconti non si nasconde le difficoltà di un racconto cinematografico che deve rievocare una Milano quale non esiste più (e che, pertanto, bisogna ricostruire o, per taluni aspetti, andare a ricercare in città della provincia lombarda che ancora conservano immutati taluni scorci e aspetti del passato), Poi, bisogna dare un volto a una folla di personaggi, da Toscanini a Giulio Ricordi, e tanti altri. E ancora, bisogna rievocare e ricreare l’atmosfera di quella serata del 25 aprile 1926 alla Scala (Visconti, ventenne, vi assisteva da un palco con Ghiringhelli) in cui venne rappresentata postuma Turandot che Toscanini interruppe là dove s’era fermato lo spartito pucciniano. Sarà quella, anzi, la fine del film. S’era parlato, secondo alcune notizie del primo momento, di una partecipazione della Callas. Un equivoco. Visconti precisa che, tempo addietro, quando egli ebbe occasione di incontrarla a Milano, Maria Callas gli chiese di studiare una storia cinematografica — ma che non fosse un film musicale — che ella potesse interpretare con la sua regia.

Anche se questo progetto si concreterà, dunque, non si tratta certamente del film su Puccini che entrerà in lavorazione nella primavera dell’anno prossimo e per il quale il regista prevede un impegno finanziario di oltre 2 miliardi. Prima di allora, molti sono però gli impegni di Visconti. Nella lirica: Traviata al Covent Garden e poi, al Maggio musicale fiorentino, Egmont di Goethe, interpretato da Giorgio De Lullo, Romolo Valli, Elsa Albani, con le musiche di Beethoven dirette da Gianandrea Gavazzeni. Nel cinema: alcune scene, rinviate per il freddo, che deve tornare a «girare» ad Algeri per Lo straniero e un film di Julie Christie, su soggetto da lui scritto e sceneggiato con Suso Cecchi D’Amico, la storia in chiave drammatica di una donna inglese in Francia. Sulla scena di prosa, infine, La monaca di Monza di Testori, con Lilla Brignone, Sergio Fantoni e Valentina Fortunato interpreti, che metterà in scena al Quirino di Roma all’inizio della prossima stagione.

Ma nella primavera del ’68, come s’è detto, ogni cura di Visconti sarà dedicata a far rivivere per lo schermo gli aspetti essenziali e più significativi della vita artistica di Puccini.

Alberto Ceretto