Parliamo con un Visconti sereno, soddisfatto del risultato del suo ultimo film, Morte a Venezia, accolto con entusiasmo in Italia e all’estero. È il momento migliore per parlare dei suoi futuri progetti. Sappiamo che ha in mente una cosa importante, di molto impegno, e crediamo anche che si senta di affrontarla con animo più tranquillo dopo la riuscita della trasposizione cinematografica del racconto di Thomas Mann. Affrontare Proust è un progetto ambizioso anche per un regista preparato come Visconti, che ha saputo rendere altri romanzi, reinterpretandoli con il suo gusto sicuro: basta pensare a Il Gattopardo. Per prima cosa quindi gli chiediamo con che animo si accinga ad attaccare À la recherche du temps perdu proustiana.
«Ho cercato — mi risponde Visconti — di non lasciarmi intimorire di fronte al capolavoro. Tutti noi che amiamo Proust sappiamo che la Recherche è un mondo perfetto, concluso, a cui nulla può essere aggiunto e io non pretendo di esaurirne i temi con il mio film. Per affrontare il lavoro bisogna che uno si tolga il complesso e guardi semplicemente al contenuto del romanzo. In fondo non è diverso da un romanzo di Balzac: è la descrizione di una società, quella francese, che si muta e trasforma tra il 1890 e la prima guerra mondiale, con fatti ben precisi, episodi e personaggi estremamente approfonditi. Lasciamo da parte per il momento le considerazioni dello scrittore sul significato del tempo e della memoria. Prendiamo il centro del romanzo, Sodoma e Gomorra per intenderci, e preoccupiamoci di raccontare quello, naturalmente tenendo presente il resto. Per fare un film bisogna raccontare dei fatti e lì dentro ce ne sono moltissimi, che abbiamo sempre accettato senza valutarli fino in fondo, impastati in tutto quello che è il proustianismo».
D. Avete giù risolto il problema dei diritti?
R. «Sì, i produttori francesi per cui farò il film li hanno già da sei anni. Anzi Madame Suzy Mante-Proust, figlia di Robert, il fratello di Marcel, unica erede dello scrittore, scalpita un po’. Avrebbe desiderato che il film fosse pronto per quest’anno, centenario della nascita dello scrittore, per cui in Francia si stanno già preparando grosse celebrazioni. Purtroppo ciò è impossibile in quanto incomincerò la lavorazione in agosto».
D. Lei ha parlato a Madame Mante, ne ha avuto consigli preziosi?
R. «L’ho incontrata a Parigi e devo dire che sono rimasto un po’ deluso. Speravo che avesse molti ricordi dello zio, ma ho avuto l’impressione che avesse preparato un repertorio per l’occasione. Si ricordava che Marcel era venuto in casa loro due volte e che le avevano fatto molta impressione i suoi occhi scuri, circondati da grandi occhiaie violette. Anche della straordinaria nonna si ricordava poco o niente. Mi è stata utile invece per quanto riguardava i manoscritti. Mi ha fatto aprire la Biblioteca Nazionale a cui li ha donati e ho passato ore deliziose a guardare gli appunti di Proust, i cahiers fitti di annotazioni in quella sua calligrafia sottile, nervosa. Mi sembra quasi impossibile che questi scrittori moderni scrivano tutti a macchina, per forza poi ne escono opericciole banali, scarne, tipo Love Story. Nei manoscritti di Proust si vede veramente il travaglio spirituale, quel suo scavare dentro le situazioni e dentro se stesso. Madame Mante mi ha anche mostrato il ritratto dello scrittore fatto da Jacques-Emile Blanche. Sono sicuro che ha ancora qualcosa di inedito tra le carte, magari qualche fotografia di famiglia, ma è piuttosto gelosa dei suoi cimeli; non le ho detto neppure di essere in possesso di autografi di Marcel io stesso, per paura di adombrarla».
D. I francesi come hanno accolto la notizia che un regista italiano avrebbe fatto un film sulla Recherche, una delle loro glorie letterarie?
R. «Sa come sono i francesi, bisogna prenderli dal verso giusto. Mi hanno fatto un’intervista in cui io mi sono scusato e ho fatto capire l’umiltà con cui mi accingevo al grande compito e credo che mi abbiano perdonato. Del resto in Francia mi conoscono bene, ho anche abitato a Parigi per un lungo periodo e mi sono occupato molto di teatro. Mi considerano un po’ uno dei loro».
D. La sceneggiatura è già pronta?
R. «Praticamente sì. L’ho stesa una prima volta, grossolanamente, con quattro persone, due francesi e gli italiani Enzo Siciliano ed Enrico Medioli. Questa prima stesura era molto ampia e quindi l’ho successivamente ridotta con Suso Cecchi D’Amico. Abbiamo dovuto tralasciare molti episodi purtroppo e ci siamo basati come le ho già detto sulla parte centrale. Il film inizierà con il primo viaggio di Marcel a Balbec in compagnia della nonna e si chiuderà con l’aggravarsi della malattia del Narratore e il suo ritiro definitivo dalla vita mondana per dedicarsi alla stesura del suo romanzo. Perderò tutta la parte dell’infanzia sacrificando figure indimenticabili come quella di Swann. Del resto la parte che tratta dell’amore-passione di questi per Odette è un romanzo nel romanzo e sarebbe impossibile fonderlo con il tutto. Rinuncerò anche alla figura del padre, così importante nella formazione psicologica del piccolo Marcel; nel film farà una breve apparizione. Anche operando questi tagli la materia è tanta. Mi piacerebbe poter fare due film come hanno fatto i russi per Guerra e Pace».
D. Conoscendo la cura minuziosa con cui lei prepara i suoi film, ha già scelto gli attori per i personaggi principali
R. «È una scelta estremamente impegnativa, in quanto Proust li ha così ben individuati nelle loro caratteristiche fisiche e psicologiche da farne dei tipi riconoscibili e gli attori non devono deludere. Tenendo conto che è un film francese, dovrò usare molti attori francesi, ed essendo indubbiamente un film di costo elevato ci vogliono attori di un certo prestigio. Gliene posso accennare qualcuno. Per il Narratore avrei pensato ad Alain Delon. Naturalmente bisognerà renderlo un po’ meno aitante, più esile e sofferente. Molti obbietteranno che è troppo avvenente, ma, a parte il trucco, che può fare molto (basta pensare al quarantenne Bogarde nella parte del maturo Aschenbach), io penso che non si possa reggere un film del genere con un protagonista privo di fascino fisico. Del resto poi, leggendo la Recherche, ho l’impressione che Proust si sia visto gradevole. In fin dei conti tutti, dalla vivace Albertine, alla aristocratica Oriane, per non dire di Monsieur de Charlus, si innamorano del Narratore. Anche i ricordi di chi ha conosciuto Proust mi danno ragione. Parlano di un fascino intenso che emanava non solo dalla sua conversazione brillante ma anche dal suo viso, pallido, dai grandi occhi scuri, penetranti, con un fondo malinconico. Ho qualche dubbio su chi affidare la parte di Charlus, che l’autore, prendendo a modello Robert de Montesquieu, ci descrive uomo imponente, dallo sguardo magnetico, dominatore. Ci vuole un attore dalla fortissima personalità. In un primo tempo ho pensato a Laurence Olivier, ma pare che sia malato. Mi piacerebbe Marlon Brando, ha il profilo giusto, con il naso aquilino, da rapace, caratteristica “ Guermantes ”.
Mi affascina la parte Verdurin, il salotto dai mobili pesanti, di cattivo gusto, in cui si rideva alle battute insulse del dottor Cottard. Per Madame Verdurin ho pensato a Simone Signoret, ma anche la Girardot non mi dispiacerebbe. In quanto a Morel, personaggio ambiguo e perverso, ho scelto Helmut Berger, di cui sono stato molto soddisfatto ne La caduta degli Dèi. Mi preoccupa un po’ rendere la figura di Robert de Saint-Loup che immagino come un giovane eroe biondo e luminoso. Devo pensare ancora alle attrici giovani, le ragazzine dell’allegra brigata, prima fra tutte la sconcertante, misteriosa Albertine. Deve essere un gruppo ben scelto, che renda il senso di allegria, da giovani ninfe maliziose come appaiono a Balbec al timido Marcel».
D. Ha già scelto i luoghi dove intende girare?
R. «Molti luoghi del romanzo sono reali, e sono rimasti come li ha descritti Proust. Ho già visto Illiers, la Combray del romanzo. Esiste ancora la casa di tante Léonie e vi si respira l’atmosfera di Marcel bambino, evocando il ricordo della piccola madeleine intinta nel tè. Anche Deauville, la Balbec della Recherche, non è cambiata e l’hotel in cui Proust soggiornava è intatto. Ho già trovato anche il palazzo a Parigi in cui si svolgerà la famosa matinée dalla principessa di Guermantes, parte chiave del romanzo. È lì che davanti agli occhi del protagonista, assente da tempo dalla vita mondana, appaiono le facce rugose e irriconoscibili di coloro che avevano brillato nei salotti di prima della guerra. Madame Verdurin al posto di Oriane, il crollo di un mondo».
D. Per quanto riguarda il linguaggio proustiano, così ricco, preciso. come vi siete comportati?
R. «Ci siamo attenuti completamente al testo, non abbiamo usato una parola che Proust non abbia scritto. Abbiamo anche cercato di mantenere i dialoghi e i motti brillanti, i giochi di parole del circolo Verdurin. Proprio per questa mia fedeltà al testo sono imbarazzato per il titolo da dare al film. Il più esatto sarebbe Sodoma e Gomorra ma è già stato usato per un film di ben altro contenuto. Del resto temo che il titolo dell’opera completa sia poco comprensibile ai più. Forse opterò per un sottotitolo».
Durante tutta la conversazione il regista parla dei personaggi e delle situazioni come se stesse descrivendo un mondo reale, tanto è forte la potenza narrativa della Recherche. Si dimentica volutamente di parlare dei modelli che storicamente sono stati quelli proustiani anche se gli serviranno per rendere meglio sullo schermo la società dell’epoca. Sembra proprio che il mondo letterario abbia annullato quello reale, che l’arte abbia preso il sopravvento sulla vita, che gli stessi luoghi vivano alla luce del romanzo, come se da esso scaturisse una luce che illumina cose altrimenti non viste. Nello stesso tempo però questa luce particolare evoca un mondo non oggettivo, ma soggettivo, che sta dentro lo scrittore, non fuori di lui. Il procedimento di Proust consiste in un continuo attingere dalla realtà per avere spunti su cui costruire un mondo diverso, più completo, in cui le cose, anche le più banali, si arricchiscono in una dimensione molto più ampia, in cui il legame nascosto tra persone e oggetti viene esplicitato, chiarito. Proprio in questo sta la difficoltà di restituire il mondo della Recherche: bisogna mettersi al di dentro e reinventarne i nessi figurativamente. Come restituire quei legami sottili, eppure reali nello spirito, dovuti alla memoria involontaria, che fermano i passi del Narratore, quando il piede inciampa nel selciato sconnesso del cortile di palazzo Guermantes? Come arricchire un tema musicale, sia esso di César Franck o di Beethoven, di tutte le riflessioni sull’amore e sull’arte che Proust ha evocato nella sonata di Vinteuil?
Visconti è ben consapevole di queste difficoltà e proprio per questo ha voluto mantenere nel film il carattere ciclico dell’opera. Come nel Temps retrouvé l’ultima pagina si chiude sulla prima di Swann, così l’ultima scena del film mostrerà il Narratore che si accinge a iniziare la sua opera, rievocando l’infanzia, l’angoscia notturna in attesa dei passi rassicuranti della madre. Come per avvertire lo spettatore che il film ha mostrato una parte del mondo proustiano, ma che non pretende di cancellare la Recherche.
Giuliana Bianchi
Marzo 1971