Serata trionfale per l’Italia al Festival di Cannes
Gridavano «bravò» a Visconti che commosso baciava la Vlady
Cannes, venerdì 24 maggio 1963
Non avevamo pensato che il Festival finisce, dopo tanta noia, in tanta animazione. Prima di tutto non succede spesso che un ministro che viene a fare la chiusura in rappresentazione del governo, venga accolto con urla, fischi, zittii appena apre la bocca per dire: «Avrebbe dovuto venire il ministro Malraux, che di cinema è più competente, mentre io mi occupo soprattutto del piccolo schermo»… (Uh, uh, uh) «… di piccolo schermo per modo di dire, perché sta ampliandosi e colorandosi» (altri Uh, uh, uh). Qui le parole del ministro sono state soffocate dalle proteste, dal vociare, dal baccano.
La faccenda si spiega col fatto che, in Francia, la tv fa una spietata concorrenza al cinema (e lo ha messo in luce un apposito colloquio presieduto da René Clair): che un ministro proprio a un festival cinematografico venga a fare l’elogio della tv è sembrato non solo una gaffe, ma una provocazione. Invece Alain Peyrefitte, uomo giovane e capace, intendeva dire, ma lo hanno interrotto, che bisognava mettersi d’accordo affinché l’inarrestabile evoluzione di un mezzo moderno come la tv non soffocasse appunto la produzione cinematografica, poiché «il grande schermo» significava un altro aspetto, anch’esso indispensabile, dello svago visuale. «Bisogna collaborare», ha concluso imperterrito, e questa volta applauditissimo, il giovane ministro.
Questo è successo ieri sera durante il discorso ufficiale di chiusura del XVI Festival cinematografico, poco prima che il presidente della giuria, Salacrou, leggesse il Palmarès e che Jeanne Moreau consegnasse il premio. Jeanne era avvolta in una aderente a lunghissima guaina rosata, tanto stretta da impedirle il passo, una specie di camicia da notte, certamente fatta da Cardin apposta per lei, ma non da imitare. Da non imitare neppure quella di Barbara Steel, in jersey di lana nera, a lunghe maniche, scollo abissale nel dorso e due giri bianchi alle maniche lunghe e aderenti. A lei poteva andare perché è alta, magrissima, con una testina rasata di capelli biondi (in contrasto con le voluminose teste gonfiate delle altre donne) e quei due immensi occhi nel visetto minimo.
Al souper freddo di Rizzoli, a bordo del panfilo Sereno, con un buffet sontuoso, le belle donne non mancavano (chissà come ha fatto a trovarne tante). C’era Madeleine Lebeau, che fa parte del cast di Otto e mezzo: alta, slanciata, capelli rossi, gonna bianca lunga, blusetta scintillante di pietre; Anouk Aimée in chiffon nero corto, col viso sguarnito e interessante; Elsa Martinelli, elegante e attraente; Nadia Gray in chiffon rosa arancio e poi Rossella Falk, Franca Bettoja, la moglie di Litvak. Molti produttori, fra cui Ponti, molti registi Jacopetti. Non c’era Fellini né Mastroianni, ma c’era uno dei coautori di Otto e mezzo, Tullio Pinelli e una infinità di altri invitati, tra cui Christiane Rochefort, che ormai conta molto di più come scrittrice che come segretaria dell’Ufficio stampa del Festival, di cui si occupa quasi interamente il suo braccio destro Louisette Fargette (altra bella donna bruna e grave).
È stata la serata trionfale del Gattopardo: assenti Lancaster e la Cardinale, s’identificava con Visconti, portato alle stelle con un’ovazione oceanica: battimani e saluti alla voce quando Salacrou ha annunciato la Palma d’oro all’unanimità per la pellicola italiana e urla di «bravò» a non finire. Luchino sembrava perfino commosso e faceva gran baciamani e Jeanne Moreau e alla bionda «ape regina», Marina Vlady, che si è vista assegnare un inatteso premio di interpretazione femminile (applausi contrastati). Vestita di nero, col suo placido viso sorridente e beato sotto il casco di capelli biondi, sembrava fatta di miele.
La giuria in fondo l’è tolta bene: l’unico compromesso l’ha fatto assegnando un premio speciale all’unico mediocre film russo. Assente totale dal Palmarès, la Francia esce maluccio da questa manifestazione, dove non ha saputo davvero inviare una selezione opportuna. Albiccoco (regista di Le rat d’Amerique) ha detto che l’anno prossimo andrà nella Guyana a fare un film sui forzati. Felicissimo per il premio del soggetto a Codine, Henry Colpi ha fatto sapere che vuol cambiare genere e farà un film musicale con Yves Montand.
Conclusione: Festival fra i più scialbi e magri, crisi del cinema e crisi del festival. Si parla di organizzare il prossimo in febbraio, ma ci sembra un grosso errore: ha fatto già brutto e freddo in maggio, figuriamoci dover rischiare la polmonite a causa del Mistral!
Jayne Mansfield (era proprio lei) è tornata al Whisky a Gogo per assistere alla premiazione della Canzone filmata, un Twist S.n.c.f. di Henry Salvador (ma non ha messo piede al Palais).
È stata un’affermazione italiana anche quest’anno malgrado il film di Fellini (del resto fuori concorso) abbia disorientato parecchio. Nella quindicina trascorsa qui sono state combinate moltissime coproduzioni. Burt Lancaster è salito al rango di attore numero uno, che tutti cercheranno di accaparrarsi a fior di milioni.
Maria Rossi