Marzo 1948. Il regista Luchino Visconti sta per tornare dalla Sicilia con settantamila metri di pellicola impressionata. Alcuni mesi fa, la sua partenza per l’isola passò quasi inosservata anche nello stesso ambiente pettegolo e curioso del cinema. I bene informati dissero che egli si recava laggiù per realizzare alcuni documentari. I cinematografari di Via Veneto, che ignoravano il vero scopo del suo viaggio, appena lo appresero, sorrisero con aria di sufficiente compatimento per il “regista irriducibile” che si era ridotto a dirigere dei documentari, e con questa parola, per loro avvilente, intendevano averlo liquidato.
La verità era un’altra. Visconti si recava in Sicilia non per dirigere dei freddi documentari, ma per realizzarvi il film La terra trema: una trilogia sulle condizioni umane del lavoratore siciliano — i pescatori, i contadini, quelli delle solfatare — sulla vita di questa gente, lotta disperata e vana contro la condanna di un destino e contro la stessa natura, sulle loro ribellioni, la loro rassegnata accettazione.
Ricercare la verità come può ricercarla uno scrittore: questa era l’idea di Luchino Visconti. Esprimere le angosce di questa umanità, ritrovarne le segrete aspirazioni: ecco il suo tema. Non volle attori professionisti nel suo film. Dove trovarli, più fedeli, violenti e semplici che fra gli stessi abitanti di Acitrezza? Egli desiderava seguire solo il puro documento evitando anche le artificiosità dell’attore di professione. Non attori, ma uomini e donne per dar corpo e sostanza a quella verità che essi giornalmente vivono, fedeli immagini della realtà. (…)
Il suo copione — quella specie di grosso vocabolario che ogni regista si trascina scrupolosamente dietro — consisteva in poche pagine che racchiudevano solo le linee e gli sviluppi essenziali del soggetto. Tutti i dettagli sarebbero stati di volta in volta creati e risolti sul posto, al contatto con gli uomini e i loro dolori, con le situazioni, con la materia da filmare, con i luoghi, sull’esempio del miglior Renoir. Ma ecco ancora un altro passo avanti alla ricerca della “verità” profonda e assoluta. Luchino Visconti via via chiede ai suoi interpreti improvvisati che cosa direbbero e farebbero in tale determinata circostanza ed in quale maniera esprimerebbero istintivamente un certo sentimento. Il testo definitivo è venuto fuori così da questa indagine e da questa collaborazione fra regista e attori: tanto meglio se lo stesso dramma ha subito delle variazioni non previste.
I personaggi si esprimevano nel particolare dialetto di Acitrezza: le didascalie sovrastampate chiariscono agli spettatori, ove occorra, il poco comprensibile linguaggio, traducendolo in lingua.
Visconti non poteva scegliere materia più difficile per il suo ritorno al cinema, ma d’altra parte, dopo sei anni che ne era lontano, a nulla sarebbe valso questo nuovo incontro con la macchina da presa se egli non si fosse proposto di dire qualcosa di nuovo. Come tutte le cose veramente interessanti e inedite, la grossa carta che egli sta giocando presenta moltissimi rischi e difficoltà. È decisamente ammirevole la lotta che egli sta conducendo da solo contro tutto un cinema, o meglio contro la maggior parte dei grossi produttori italiani ancora fermi su certe formule molto più commerciali che artistiche. Dopo Ossessione, che è del 1942, Visconti non ha più diretto alcun film, pur portando a termine alcune sceneggiature, quale Pensione Oltremare e Maria Tarnowska, che non sono mai entrate in fase di realizzazione, sempre per il disaccordo sorto tra lui e le case produttrici. Propose anche di realizzare Le diable au corps dello scrittore Raymond Radiguet morto a vent’anni, ma il presidente di una delle più note società italiane rispose che il soggetto era poco interessante. All’ultima Mostra di Venezia, Le diable au corps, girato nel frattempo in Francia da Claude Autant-Lara e interpretato da Micheline Presle e Gérard Philippe, ha ottenuto entusiastici consensi di pubblico e critica.
Luchino Visconti, il quarantaduenne regista teatrale e cinematografico, non ha un carattere facile. Non scende mai a compromessi, perché la sua insofferenza non sopporta limitazioni. Per lui l’arte è soprattutto imposizione di una volontà; la sua intransigenza è stata sempre equivocata e vista sotto l’aspetto di assolutismo e di un atteggiamento bizzoso. Di qui, la fama della sua intrattabilità, che lo ha tenuto fermo per degli anni, osteggiato dalla produzione italiana.
In un primo tempo la troupe di La terra trema fu accolta con malcelata diffidenza dagli abitanti di Acitrezza, ma presto si stabilì una cordialità di rapporti, anche perché, dopo tutto, gli abitanti del paesetto videro che col cinema c’era da guadagnare. Furono prescelti i pescatori Antonio e Giuseppe Arcidiacono e le sorelle Nelluccia e Agnese Giammone. Il paese cominciò ad invidiare quelli che lavoravano. E quelli che lavoravano, del cinema compresero soprattutto questo: che chi ha preso parte a qualche scena è oramai “obbligato”, diventa cioè indispensabile per le scene seguenti. E aumentarono le loro pretese. Anche l’attore improvvisato comprende e valuta presto il suo valore commerciale. I più maligni, fra coloro che hanno trovato posto nel film, vanno dicendo che ormai le ragazze che agiscono come protagoniste sono irrimediabilmente compromesse e non si potranno più sposare; e le altre, che vi prendono parte come figure di sfondo, per non correre il rischio di rimanere zitelle, hanno acconsentito a posare sì, ma solo negli interni delle case rifiutandosi di girare nelle strade e sul molo.
Con l’arrivo di Visconti si sono anche riaccese le velleità letterarie degli abitanti. Qui conoscono bene I Malavoglia di cui vi sono molte copie in giro. L’illustre precedente del Verga li rende tutti autorizzati a scrivere e fra i copioni capitati nelle mani di Visconti ve n’è uno “pensato” da un pescatore che, non sapendo scrivere, ha preferito dettarlo ad uno studente del luogo. Il copione — un dramma con suicidi, banditi, ragazze rapite e delitti — è illustrato dallo stesso autore con disegni che hanno un loro ingenuo sapore.
Ad Acitrezza, Visconti ha da poco terminata la prima parte della sua trilogia: quella del mare. Porterà certamente a termine le altre due, facendo a meno dei grossi complessi industriali con i quali non era mai riuscito a trovare un accordo.
Lionello De Felice
(Bis)
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