Luchino Visconti, ricostruendo la vicenda di Morte a Venezia ha fatto rivivere un mondo di delicati pizzi, di mussole e di preziosi ricami, che trova riscontro nelle linee neo-romantiche della moda di oggi.
Roma, 30 giugno 1970
« Produzione Visconti cerca quotidiani epoca 1910 (1) italiani, francesi, inglesi, manifesti, soldi, carta, francobolli, scatole di fiammiferi, di sigarette, di sigari, portasigarette, accendini, vestiti, cappelli, scarpe, suppellettili ».
Questo annuncio è apparso qualche mese fa su molti giornali. Luchino Visconti stava per realizzare un progetto che andava covando da una decina d’anni: quello di ridurre cinematograficamente un famoso romanzo di Thomas Mann, La morte a Venezia. Voleva, ovviamente, realizzarlo « alla Visconti »: cioè con un’ostinata, quasi maniacale, cura dei particolari, senza falsità e senza arrangiamenti. Visconti è celebre per questa « religione » delle cose del passato. Chi ricorda certe sue regie teatrali, come quella del Giardino dei ciliegi di Cecov, non può aver dimenticato che, all’aprirsi del sipario, sembrava davvero di entrare in un’altra epoca, in un vecchio album improvvisamente diventato vivo. E il discorso vale anche per alcuni film ambientati nell’Ottocento, come Senso e Il Gattopardo.
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Solo quando il film sarà in circolazione si potrà dire se Visconti sia riuscito a cogliere, con la macchina da presa, la sottile angoscia che traspare da ogni pagina del romanzo di Mann. Il regista ha detto: « Io intendo riprodurre il quadro di un grande intellettuale e di una grande città, ambedue alle soglie del disfacimento e della morte ». Non è un’impresa facile. Chi conosce La morte a Venezia sa che si tratta d’una storia sfuggente, in cui le sfumature psicologiche hanno il sopravvento sulla concretezza dei fatti. Già qualche tentativo è stato fatto. L’attore-regista José Ferrer aveva già pronta, anni oro sono, una sceneggiatura. Questo precedente ha creato anche alcune difficoltà a Visconti, in quanto gli eredi di Thomas Mann avevano ceduto i diritti di riduzione cinematografica al produttore americano che era associato con Ferrer.
Una cosa è già sicura: che la ricostruzione ambientale sarà perfetta. Le fotografie scattate sul set dimostrano a quale punto di rigore e di gusto sia giunto Visconti. Al suo fianco ha lavorato, come per altri film, il costumista Piero Tosi, che si è documentato scrupolosamente sulla moda del tempo. Molti costumi sono stati acquistati da illustri guardaroba privati.
Visconti, forse senza proporselo deliberatamente, sta diventando anche un grande “suggeritore” di moda. Quando uscì il film La caduta degli dei, che racconta la storia di una famiglia tedesca negli anni dell’avvento del nazismo, si disse che avrebbe fatto venire ai sarti la nostalgia degli anni Trenta. E difatti, vero o presunto che fosse l’influsso del film, le gonne si allungarono fino al polpaccio, decretando il tramonto dell’era della « mini ».
Adesso la moda ha fatto qualche altro passo indietro nel tempo. E Visconti è lì, con La morte a Venezia, pronto ad offrire un repertorio straordinario sugli anni che videro gli ultimi sussulti della « belle époque » prima dell’immenso bagno di sangue della prima guerra mondiale.
Mobilitata la nobiltà veneziana
1910-1970: sessant’anni di distacco non sembrano contare. Fino a qualche mese fa sorridevamo guardando le vecchie fotografie ingiallite delle nonne. Ma la moda non fa i conti con i calendari. Il 1910 è tra noi, la ricerca del tempo perduto è arrivata in porto. È come aprire un armadio a lungo dimenticato, come scuotere dei panni coperti di polvere, come alzare il coperchio d’uno scrigno arrugginito. Ci sono grossi spilloni di madreperla e spille a forma d’insetto, collane di perle smerigliate e miniature. I vestiti di oggi sono quelli dell’altro ieri: mussola plissettata, macramé intarsiati, fiori di « voile », fiocchi di ciniglia, « jabots », gonne e sottogonne ricche di « volant ».
Un mondo di morbide trine che si ripara dietro grandi ventagli simili a gusci di scarabei: questo sarà Morte a Venezia ma questo è già il gusto crepuscolare e decadente della moda d’adesso. Visconti, con le immagini del suo film, non farà che confermarlo. È tempo di pizzi, di rasi e di velluto. Venezia 1910 non è più una lontana immagine legata ai leggendari amori di D’Annunzio e di Eleonora Duse.
Per realizzare tutto questo, Visconti ha fatto le cose in grande anche nella scelta delle comparse: sono state reclutate, infatti, le più belle donne della nobiltà veneziana, che si sono dichiarate felicissime di poter indossare stupende toilettes di sessant’anni fa e deliziosi cappelli di organza, nelle scene della folla che gremisce le Mercerie, nelle calli strette o lungo i viali spaziosi del Lido.
Chi non sembra molto impressionato di questo straordinario « revival » che si muove intorno al suo personaggio, è il giovanissimo Bjorn Andresen, il Tadzio del film. « Con i soldi che guadagnerò — ha dichiarato — mi comprerò un registratore, un giradischi stereofonico e un amplificatore. E poi voglio serbarmi duecento corone per divertirmi ». Duecento corone, al cambio, sono meno di ventimila lire: una cifra d’incredibile modestia se paragonata al fastoso carosello del passato in mezzo a cui Bjorn Andresen è stato chiamato.
Giorgio Bensi
(Domenica del Corriere)
- Il racconto originale di Thomas Mann, e il film, è ambientato nel 1911.