In questi ultimi tre mesi le scene italiane hanno conosciuto un rinnovato e incredibile interesse di pubblico registrando una media di incassi piuttosto alta — e a Roma per la prima volta uno spettacolo teatrale reggeva da solo il confronto con gli incassi abituali dei cinematografi. Segno confortante che la crisi va avviandosi ad un suo superamento? Non vorremmo essere ottimisti e quindi continueremo a credere che si tratti della solita eccezione che conferma la regola. Ma i fatti restano e ai fatti va aggiunto anche il nome di un regista e, solo allora, nei limiti e nei meriti, va cercata la spiegazione del singolare fenomeno. Il regista si chiama Luchino Visconti e gli spettacoli da lui allestiti si chiamano Il crogiuolo, Zio Vania e Morte di un commesso viaggiatore. Tre spettacoli in un breve periodo e una media di incassi incredibile, vogliono sempre dire qualcosa; e se nel Crogiuolo o nella ripresa di Morte di un commesso viaggiatore vogliono anche significare l’influenza che un teatro contemporaneo esercita su un pubblico che ama ritrovare se stesso — o quel se stesso, sia pure retorico o convenzionalmente polemico al quale anche il cinema lo ha ormai abituato — Zio Vania rappresenta un caso sul quale conviene riflettere, perché allora né i caratteri né le convenzioni dei sentimenti, né le azioni, giustificano l’interesse di una platea che — riconosciamolo — è assai più rozza e assai più superficiale. Allora l’interesse è nello spettacolo. E vuol dire che, al di là del testo e delle sue caratteristiche più particolari, il pubblico questo ha avvertito. Ma quando si è detto che l’interesse suo è assai più rozzo e superficiale non si è voluto esprimere un giudizio sulle qualità estetiche, sul gusto. Si è voluto solo mettere in rilievo la difficoltà di questo pubblico di entrare nelle ansie di personaggi complessi, nelle pieghe di una atmosfera particolare che giustifica gli incontri di anime ai quali non è più abituato. È una rozzezza di intendere, non di vedere. Per la  visione, il cinema lo ha abituato molto e suo malgrado gli ha dato un gusto assai smaliziato. Per la sostanza non si può sempre dire lo stesso.

Il pubblico sa vedere dunque che con Visconti il teatro diviene vero spettacolo, spettacolo pieno, vivido, ricco di sfumature e di immagini. Il teatro si fa poesia delle cose, unitaria e continua, a volte oltre il valore di un testo, oltre i suoi pregi o i suoi limiti. Il personaggio viene ridimensionato nell’atmosfera, la atmosfera diviene realista e il personaggio stesso coglie quasi l’aspetto di quella realtà giornaliera che il pubblico è abituato a vedere. Questo dà allora unità e prospetto alle regie.

Si va a vedere uno spettacolo di Visconti non il teatro di Miller e quello di Cecov. Ci perdoni Visconti, ma a volte il pubblico al di là della critica sa trovare il nocciolo della questione e sa dare indirettamente un giudizio assai valido. Non per nulla Visconti è la personalità più viva della regia italiana. Non per nulla è il regista che più si è imposto nello spettacolo — teatro, opera, balletto. Anzi questa è proprio la “stagione teatrale di Visconti“: La Traviata come opera lirica, Mario e il mago come balletto riempiono, sia pure senza esaurirlo il panorama delle cronache di questa stagione.

(tratto da Lo Spettatore Critico, Roma gennaio-febbraio 1956)