Arthur Miller è un giovanotto americano di trentasei anni che vive a Brooklyn in una casa molto modesta; non ama la vita brillante dei locali notturni e non possiede neppure uno smoking. I suoi connazionali lo considerano il commediografo più dotato della nuova generazione. Sarebbero disposti ad accendergli tutt’intorno fuochi d’artificio, a mettergli sul capo l’aureola del divo. Lui invece preferisce passare le ore libere con gli ex compagni di lavoro. Quando Miller non era nessuno (vale a dire uno dei tanti lavoratori anonimi dell’America amara) la sua vita era Brooklyn. Con la notorietà non è cambiato niente.
Confesso che leggendo questi particolari sulle riviste d’oltreoceano, ho sempre avuto il dubbio di trovarmi di fronte ad un abile gioco propagandistico. Che cosa non fanno in America per lanciare una persona? Perfino gli entusiasmi della critica per i suoi lavori teatrali mi avevano sempre lasciato incerto. Broadway ha tante strane impennate! Di Arthur Miller avevamo già visto sui nostri palcoscenici Tutti miei figli nell’interpretazione di Evi Maltagliati ed anche questo primo incontro non aveva giovato a dissipare i dubbi. Adesso davanti alla sua nuova opera Morte di un commesso viaggiatore molte cose sono diventate chiare. Il dramma è giunto in Italia dopo aver ottenuto entusiastiche accoglienze a New York ed a Londra. C’è stato anche un premio, anzi il più ambito premio teatrale d’America, il Pulitzer. Arthur Miller con Morte di un commesso viaggiatore dimostra di avere veramente qualche cosa da dire. E lo dice con un linguaggio suo. Non ci passa certo per il capo di dover gridare al capolavoro. Difetti e limiti ve ne sono ed anche facilmente individuabili. Però al di sopra di ogni riserva c’è la convinzione d’aver incontrato una personalità capace di intrecciare un interessante dialogo con le anime degli spettatori.
(…)
Al teatro Nuovo di Milano Morte di un commesso viaggiatore è stata accolta trionfalmente. Di rado mi è capitato di assistere ad applausi così scroscianti e convinti. Gran parte del merito di queste ovazioni spetta a Luchino Visconti. Lasciatemi dire che il nostro prestigioso regista ha saputo offrire al pubblico italiano uno dei più ammirevoli spettacoli di questi ultimi dieci anni. Mi spiace, in queste brevi note informative, di non avere la possibilità soffermarmi sul contributo della regia. Il suo apporto è una creazione nella creazione. Vi cito soltanto un particolare: il breve, desolato motivo del flauto contrapposto (sempre fuori campo) al secco scroscio della risata. Se avrete la fortuna di ammirare lo spettacolo, constaterete che il commento sonoro assume importanza e valore creativi.
La presenza di Visconti è poi decisiva nella recitazione. In Morte di un commesso viaggiatore ogni interprete, oltre a raggiungere una straordinaria intensità espressiva, riesce a mantenere dalla prima all’ultima battuta un particolare ed inconfondibile tono. Rina Morelli (nella parte della moglie Linda) offre una prova sbalorditiva del suo temperamento. Accanto a lei Paolo Stoppa vince la più impegnativa battaglia della sua carriera teatrale. Un personaggio come quello di Willy Loman (a Broadway era stato impersonato da Lee J. Cobb e a Londra da Paul Muni) esige una violenza drammatica di cui — sinceramente — non credevo capace Stoppa. Invece è stato un trionfo. In questo clima di eccezionale bravura gareggiano tutti gli altri interpreti, da Giorgio De Lullo e Marcello Mastroianni (i figli), a Pisu, all’Interlenghi, al Danova ecc.
Un particolare che non ho visto segnalato da nessuno, riguarda la scenografia. Tutti hanno speso lodi per Gianni Polidori. Giusto. Però mi è capitato di vedere su Life alcune grandi fotografie dello spettacolo di Broadway. Ebbene, se non fossero diversi i volti degli attori, giurereste di trovarvi di fronte alla riproduzione fotografica del palcoscenico del teatro Nuovo di Milano. Tutto corrisponde, perfino le bandierine appese ai piedi dei letti. Un vero parto gemellare.
Vice
(Bis, aprile 1951)