Siamo lieti di pubblicare questa lettera indirizzata al nostro direttore dal regista Luchino Visconti, a proposito dell’atteggiamento da lui assunto nei confronti del Festival del teatro di Venezia in conseguenza del veto opposto dal governo all’ingresso in Italia dello scrittore tedesco Bertolt Brecht e della sua compagnia. La nobile protesta del maggiore uomo di teatro che abbia oggi il nostro Paese è la migliore conferma che la vera cultura italiana non accetta e non accetterà mai il dispotismo e l’inciviltà dei questurini i quali si trovano ad amministrare provvisoriamente la cosa pubblica.

Caro Ingrao,

ti sarei grato se vorrai ospitare la presente in merito alla ormai nota questione della mia partecipazione al festival teatrale di Venezia.

Come si sa, il programma di detto Festival già comunicato alla stampa ed al pubblico internazionale, comprendeva, oltre a due spettacoli eseguiti da un gruppo di attori italiani sotto la mia regia, due recite goldoniane, due della Compagnia del Teatro Nazionale di Madrid e quello del Berliner Ensemble diretto da Bertolt Brecht.

Tutto era predisposto per questo programma al quale io avevo aderito, allorché sopravvenne la notizia che l’impegno che il Comitato del Festival aveva preso col suo pubblico e con i suoi collaboratori per la rappresentazione di Compagnie straniere non sarebbe stato mantenuto se non incompletamente. Infatti un comunicato del Ministero degli Esteri ed in un secondo tempo del Ministero degli Interni dichiarava che non sarebbe stato concesso il visto di ingresso in Italia alla Compagnia del Berliner Ensemble.

Per molti anni i cittadini italiani benpensanti sono stati educati a non discutere le decisioni del Ministero degli Interni, ma ogni cittadino edotto di leggi democratiche, anche se non intende intervenire attivamente nei sistemi educativi ormai tradizionali di tale istituzione né tanto meno discutere i suoi criteri o preferenze, sa che l’intervento delle forze dell’ordine in questioni puramente culturali non può appoggiarsi ad alcun articolo del diritto democratico e lede la vigente libertà dell’arte e della cultura.

Per quel che mi riguarda personalmente, poi, non vi è dubbio che i criteri del Ministero degli Interni non si accordavano con i miei, né col programma del Festival al quale io avevo aderito: per cui ho creduto mio diritto, oltre che mio dovere, di ritirare la mia partecipazione.

Ho atteso però che la Direzione del Festival mi comunicasse ufficialmente l’esclusione del Berliner Ensemble dagli spettacoli, e a tale scopo sollecitai, anche con lettera raccomandata, quella Direzione, onde poter far conoscere la mia decisione.

A tutt’oggi nulla di ufficiale mi è stato precisato, non solo, ma in una loro evasiva comunicazione i dirigenti del Festival ribadivano il già annunziato programma di spettacoli ed assicuravano che nulla era da ritenersi modificato salvo imprevedibili casi di forza maggiore.

Poiché, in evidente contraddizione con la surriportata dichiarazione e quasi contemporaneamente, l’on. Andreotti confermava in una seduta della Camera dei Deputati la non partecipazione della Compagnia di Brecht al Festival, io mi sentii autorizzato a confermare alla Direzione del Festival la mia decisione di astenermi in segno di protesta.

Mi fu risposto, sempre tuttavia evitando ogni precisazione in merito alla questione principale, con un invito a voler rispettare gli impegni contrattuali, come a tenermi responsabile, unitamente agli attori Morelli e Stoppa, degli eventuali danni che avrebbero potuto derivare a quella Direzione da un mio rifiuto a rappresentare le due commedie programmate.

Suppongo, poiché siamo in tema di diritto, che a maggior ragione la Direzione del Festival si riprometta, ora, di richiedere il risarcimento danni anche al Ministero degli Interni per le mancate rappresentazioni della Compagnia di Brecht.

Quanto a me la posizione assunta dalla Direzione del Festival mi poneva la scelta fra due condizioni: o in contrasto coi miei giusti diritti e contro la mia dignità professionale, sottomettermi rinunciando così alla mia legittima protesta: oppure far ricadere anche sui miei attori le conseguenze di una astensione.

Poiché in coscienza né l’una né l’altra soluzione mi sembrava accettabile, ho risolto di ritirare dal programma del Festival veneziano soltanto la mia personale partecipazione, non opponendomi a che gli attori Morelli e Stoppa rappresentino sia il dramma di Fabbri, Il seduttore sia La morte di un commesso viaggiatore senza la mia regìa.

Ora, esposti per ordine i fatti così come si sono svolti, mi sembra inutile aggiungere commenti. Potranno ovviamente aggiungerne i lettori di queste righe e soprattutto gli uomini di cultura della nostra Repubblica democratica, i quali, assertori della libertà dell’arte, ancora lamentano i danni sofferti dalla cultura italiana per i limiti ad essa imposti nel passato.

Ti ringrazio e ti saluto molto cordialmente, tuo

Luchino Visconti
(L’Unità, 3 ottobre 1951)

Immagine: Bozzetto di Mario Chiari per lo spettacolo Il seduttore di Diego Fabbri (1951), XII Festival Internazionale del Teatro di prosa, Biennale di Venezia 1951.