Ossessione di Luchino Visconti diede l’avvio, cinque anni oro sono, al neorealismo italiano. Lo stesso regista con La terra trema, primo episodio di una trilogia e premio internazionale per i suoi valori stilistici e corali, indica ora nuove vie al nostro cinema: il realismo diventa stile.

Mostra di Venezia 1948

(…) Dopo la Gran Bretagna va segnalata l’Italia, che ha dato con La terra trema un film di un livello e di una importanza artistica tali da porlo tra i migliori prodotti in questi ultimi anni: da noi e fuori. Per questa pellicola, che segna il ritorno al cinema di Luchino Visconti dopo cinque anni di assenza, alcuni critici hanno parlato di « cupi rancori tra classi sociali », di « rifacimento libero e marxista de I malavoglia di Verga », denunciando i loro pregiudizi e l’incapacità — voluta o no — di saper scindere il giudizio artistico da posizioni ideologiche: si può inoltre dissentire di un tema, ma non proibire l’artista di fissare una propria visione del mondo. Comunque, a parte il fatto che l’opera non è « un rifacimento » né libero né « marxista » de I malavoglia (da Verga Visconti ha preso solo l’ispirazione), La terra trema trova la sua vera forza in quei valori stilistici e corali di cui si è parlato nella menzione fatta dalla giuria nell’assegnargli uno dei tre premi internazionali. In altre parole, questi valori sono « le cose che ci fanno piacere »; queste, e non « altre », « quelle che sono ». La validità maggiore di Ossessione (ricordate?: gli stessi appunti, le stesse stroncature motivate da ragioni ideologiche  e contingenti), consisteva nell’aver dato l’avvio al neorealismo italiano e nella fusione degli elementi formali e contenutistici: Visconti fu il primo ad avvertire, in un momento in cui i nostri migliori registi si rifugiavano nelle esercitazioni calligrafiche, la necessità di ritornare ai « sentimenti ». La terra trema è la logica conseguenza di Ossessione. Le inquadrature, sapientemente angolate, possono sembrare a prima vista decorative: in realtà si avvertono, nei loro elementi compositivi , preziosismi e ricercatezze figurative: comunque non si può parlare di edonismo estetico, né quantomeno di una « poesia venuta dal di fuori, esteriore », nata dalla « bellezza di certi fotogrammi, ossia dall’abilità del tecnico e dal contributo di nostro Signore, fornitore del paesaggio ». Immagini e suoni, musica e pause, illuminazione e fotografia (dell’ottimo Aldo), paesaggio e materiale plastico ed umano non sono fini a se stessi, o esercitazioni astratte e calligrafiche: il linguaggio cinematografico serve ad esprimere i sentimenti che agitano i personaggi. Attraverso quei volti e quelle rocce, quei tuguri e quei rintocchi di campane, quel parlare ad alta voce dei pescatori; attraverso situazioni interne (il muratore e la ragazza che né prima né poi possono sposarsi, ad esempio), Visconti tende soprattutto ad umanizzare i suoi protagonisti, a suggerire la loro condizione umana: pertanto più che interpretare direttamente la natura, ce la fa vedere rispecchiata nei volti. La tempesta che distrugge la barca di Ntoni (il quale non è un vinto, ma un vincitore), è suggerita dalle espressioni dei familiari che attendono: e altre volte ancora il mare è visto di riflesso. Per tutti questi motivi, il « reportage » non rimane legato alla contingenza, ma supera i limiti della cronaca per diventare vero documento umano e universale: è il realismo che diventa stile. La terra trema, come già Ossessione, segna così una nuova svolta del cinema italiano, e non soltanto italiano, indica nuove vie e riafferma l’importanza della regia come creazione immediata. Il film è stato girato con « tipi » presi sul posto, senza una vera e propria sceneggiatura, ma inventando durante la lavorazione dialoghi angolazioni e sequenze. Si trattava, in sede di montaggio, di unire artisticamente le diverse parti e « creare » definitivamente l’opera. Di fronte al vasto ed eccellente materiale adunato, Visconti non ha saputo rinunciare ad alcuni pezzi, né ad accorciare altri: da cui deriva non il ritmo volutamente lento, ma certe lungaggini e pleonasmi. Un nuovo e definitivo montaggio sarebbe pertanto opportuno, e con esso l’eliminazione del commento parlato, aggiunto per rendere comprensibile il dialogo in dialetto siciliano, ma in verità dannoso all’unità formale e contenutistica dell’opera.

Guido Aristarco
(Sipario, Settembre 1948)