Prima parte dell’intervista qui.

Ritratto di famiglia in un interno è la storia di un uomo di sessanta-sessantacinque anni che è incapace di stabilire rapporti con gli altri e abbandona la famiglia per isolarsi completamente, senonché gli irrompe in casa casualmente una famiglia altrui che finisce suo malgrado per travolgerlo. È il dramma della solitudine in cui si dibatte la generazione del regista, il tentativo fallito di trovare un possibile equilibrio fra morale e politica, una prova ulteriore della frattura radicale che s’è prodotta nella società odierna fra giovani e adulti o fra una generazione e l’altra. Il suo autore nega che sia un film autobiografico, o che lo sia più di altri suoi film; ammette che l’unico elemento autobiografico è quello della solitudine, ma aggiunge che anch’esso ricorre nel film soltanto parzialmente, o in misura minima.

« No, no », mi dice, « non è un film autobiografico. Il protagonista del film detesta gli altri, non ne può sentire neppure i passi. È un egoista, un uomo chiuso in se stesso, il quale, anziché stabilire rapporti con gli uomini, colleziona le loro opere. È un maniaco delle cose. Ma ciò che conta sono gli uomini e i loro problemi, non le cose che producono. Gli uomini e i problemi degli uomini sono di gran lunga più importanti delle loro opere o delle cose. Io, personalmente, non sono così egoista. Io ho aiutato tanti giovani, sia con consigli sia, quando mi è stato possibile, materialmente. Io ho tanti amici, tanti rapporti ».

Ma ci sembra che Luchino Visconti, senza volerlo, in perfetta buona fede, non dica la verità, o non dica tutta la verità. Ritratto di famiglia in un interno è molto più biografico di quanto egli stesso non creda, o non ammetta. Ciò che c’è di più propriamente autobiografico è il rapporto che corre fra il protagonista e Conrad, l’amante della signora che irrompe nella vita del solitario professore con la figlia e il fidanzato della figlia. Conrad, che è impersonato da Helmut Berger, è un giovane tedesco che ha avuto una vita avventurosa a Berlino e a Roma, un magnaccia che sfrutta le signore anziane e ricche, uno che è disposto a tutto pur di arrivare, uno spiantato che si lascia abbagliare dalla ricchezza e dal lusso, e che ora a Roma si dedica ad oscuri traffici, fra lo smercio della droga e il commercio clandestino di opere etrusche. È una ennesima versione, in chiave attuale, dell’eroe romantico mezzo canaglia e mezzo innocente, angelo e diavolo o angelo degradato e piombato nell’abiezione, puro e perverso, un « bello e dannato », bisognoso di aiuto e di protezione. Eppure il professore fa tutto per lui, fino a sottrarlo a due figuri che lo picchiano a sangue ed a nasconderlo in una stanza segreta. Ma si rifiuta di adottarlo perché ormai è troppo vecchio. Conrad è uno dei personaggi cari a Visconti; e Helmut Berger è l’unico attore la cui fotografia figuri in bella evidenza, accanto a quella di Marlene Dietrich, nel salotto del regista.

Con Luchino Visconti tocchiamo anche un argomento scabroso, ossia la produzione del film, per la quale il regista è andato soggetto a tante accuse. Gli è stato rimproverato di aver accettato — lui che ha preso parte alla resistenza, che ha fatto il suo primo film Ossessione, grazie al danaro fornitogli da esponenti del partito comunista italiano, che si è sempre proclamato di sinistra e che è passato, quanto meno, per “un compagno di strada” — di lavorare per un produttore di destra. Ma anche qui il regista tira fuori la sua vecchia grinta, il suo umore scontroso e sarcastico, il suo tono duro e perentorio.

« Non me ne frega niente di queste accuse! Io ho fatto un film mio, non quello di Rusconi. Il danaro degli altri registi da dove viene, dalla Camera del Lavoro? Io non conosco industriali di sinistra, non ne ho mai conosciuti, non ne ho mai visti. Ciò che conta è il film. E il film non è di destra. Ci sono anche trame nere, c’è la denuncia di un golpe. Qual altro regista italiano ha messo sinora in un film le trame nere, qual altro regista italiano ha denunciato i tentativi di golpe nel nostro paese? Io sono totalmente contento del film. Non c’è da parte mia nessuna riserva. Non ho dovuto affrontare nessuna difficoltà da parte della produzione e me ne infischio di quello che dicono ».

Costanzo Costantini
(Il Messaggero, Domenica 24 Novembre 1974)