Luchino Visconti è uno di quei registi che, con le sue opere, si è sempre posto all’avanguardia di un rinnovamento del cinema italiano. È per questo motivo che anche oggi, (in attesa che il suo ultimo film, Senso, venga proiettato sugli schermi), è lecito attendersi da lui un’opera significativa nei rispetti del cammino del nostro cinema e nel senso di un approfondimento e di una chiarificazione del nostro neo-realismo.
C’è da augurarsi che le attuali difficoltà che ostacolano il cinema italiano, non incidano negativamente sullo sviluppo dell’unica corrente valida che ci ha condotto in primo piano fra le cinematografie più vive di questo tempo, che la stasi di crescenza che il neo-realismo attraversa non venga influenzata in senso negativo da fattori extra-artistici.
Con Ossessione, Visconti diede il via a quella corrente del nostro cinema che si era maturata sotto il fascismo, quella corrente che faceva capo a « Cinema », quella corrente anticonformista che si proponeva di combattere (con un appello ad un ritorno al racconto verghiano), il nazionalismo e quell’« umanesimo retorico », questa « malattia nazionale » che, come scrive Gianni Puccini sul « Rinascita » di aprile, « sempre latente, ed epidemica addirittura nelle epoche di involuzione e di decadenza, vivo nelle forme più varie del costume, fino alle giornalistiche e alle politiche, si trasfonde trionfalmente nell’espressione artistica. Tutte le sue intonazioni e incarnazioni tendono, in ultima analisi, a sviare dal racconto ». Ossessione è un film che, come ormai è stato riconosciuto da tutti i nostri critici, precorre il neo-realismo, lo anticipa e getta le premesse per l’auspicato rinnovamento.
La terra trema, il secondo film di Visconti, offre un apporto al neo-realismo, che appare anche più evidente. Questo film giunse in un momento di crisi del cinema italiano, e servì a togliere al neo-realismo ogni impronta attualistica e documentaristica, quel tanto di contingente e di stretta colleganza con il dopoguerra. La terra trema porta avanti un discorso incominciato dai Rossellini e dai De Sica, e offre il primo serio documento di studio per un passaggio ad una vera scuola realista. Dà del neo-realismo una dimensione nuova, ne allarga e ne storicizza i risultati più validi.
Con Senso, Visconti dovrebbe, a nostro avviso, portare un contributo decisivo a quella ricerca, che sta avvenendo in seno al neo-realismo, di una tematica più ampia, della costruzione della propria ossatura, di una vitale tradizione. Il film di Visconti dovrebbe dimostrare che, nonostante il momento che il nostro cinema sta attraversando, gli ostacoli che si tenta di frapporre al cammino del neo-realismo non riusciranno a frenare lo slancio che tuttora anima i suoi autori più sensibili e combattivi. « Non uscirò dalle linee del realismo cinematografico — afferma Visconti nell’intervista a Livio Zanetti, pubblicata su « Cinema nuovo » del 1° dicembre 1953 — che ho seguito fino ad oggi. Che il soggetto possa imporre lo stile di un’opera è una tesi molto controversa, e io non perderò qui il contatto con i miei personaggi, solo perché saranno vestiti in costumi ottocenteschi ». E ancora: « C’è un tono di esemplarità in questa storia, che è il riflesso dei movimenti storico-sociali, giunti a maturazione in quel momento ».
D’altra parte nella scuola neo-realista si sono già chiaramente manifestati i segni di un’evoluzione, di una ricerca approfondita di strade nuove, Possiamo fare alcuni esempi: Processo alla città, un film di Zampa la cui importanza in questo senso non è stata messa in giusto rilievo; e poi lo stesso Anni facili, con tutti i suoi difetti, e infine Cronache di poveri amanti. A proposito di questo film un critico liberale, Vittorio Bonicelli di « Tempo illustrato », ha affermato: « Sul piano storico, qualcuno forse un giorno vi dirà che Cronache di poveri amanti segna la nascita del realismo, se non proprio la fine del neo-realismo ». Indubbiamente, l’opera che Lizzani ha tratto dal romanzo di Pratolini, apre delle prospettive per il nostro cinema, che appaiono, nel quadro della nostra cultura, di enorme interesse. Un’altra affermazione, che potrà accrescere il patrimonio non ancora fecondo delle indagini storiche del neo- realismo, potrà essere Senso. Viene fatto di ricordare, a questo punto, il film di Blasetti 1860, un’opera che per la prima volta e per l’unica volta (nessun film sul nostro Risorgimento ha superato quel modello) impostava giustamente il problema risorgimentale, indicando nella ritrovata unità fra tutte le classi, e l’avvento del popolo come protagonista, il fattore più importante fra quelli che portarono all’unificazione del paese.
Noi stessi scrivevamo su «L’eco del cinema » del 31 gennaio di quest’anno: « Come può uscire il cinema italiano dalla crisi attuale, se non si decide ad affrontare, una buona volta, i temi che fanno parte delle sue autentiche epopee, i temi che rappresentano la chiave di volta per uscire dalle panie del provincialismo per affermarsi come una nazione moderna? Il cinema, che è la più nuova e la più rivoluzionaria, come bene sappiamo, fra tutte le arti, deve erigersi a paladino di questa battaglia. All’avanguardia dell’arte del nostro paese, deve per primo affrontare quei temi che sono patrimonio popolare e che, storia viva, devono entrare a far parte della coscienza non soltanto dei nostri intellettuali e dei nostri artisti, ma anche dei nostri politici, di tutto il popolo ».
Volevamo dire, tra l’altro, che il cinema italiano deve crearsi una tradizione popolare affrontando le epopee che sono alla base della storia italiana: l’epopea del Risorgimento e quella della guerra partigiana. Forse che il cinema americano non ha trattato, fino all’esaurimento, i temi della guerra di secessione, che è alla base della formazione storica degli Stati Uniti d’America? Certo, Hollywood ha volgarizzato quei temi, fino al punto di svilire i fondamenti storici, i significati più genuini di quella epopea. Forse che il cinema sovietico non ha formato la base della sua evoluzione, trattando (seppure con una ben superiore severità storica) i temi della Rivoluzione d’ottobre?
È per questa ragione, crediamo, che bisogna dar atto a Visconti, di uno sforzo certamente di grande validità, nella linea da noi indicata, affrontando il racconto di Camillo Boito, Senso. Un regista come Visconti, del resto, già al momento in cui si decide alla lavorazione di un film, offre ogni garanzia perché la sua scelta sia dettata, oltre che dalla propria sensibilità, da una serie di maturati motivi. La sua scelta, si potrebbe dire, è indicativa di per se stessa, per i valori e i suggerimenti di carattere culturale che contiene. Visconti è uno dei pochi registi che si è mantenuto costantemente fedele ai passi in avanti della nostra cultura.
Un dubbio sul film di Visconti, tuttavia, potrebbe nascere dal fatto che pur affrontando un tema del nostro Risorgimento, egli non lo affronta in pieno, ma lateralmente, trattando cioè una storia d’amore che si svolge in un periodo di rivolgimenti, sullo sfondo della battaglia di Custoza. Ma, come abbiamo visto, egli intende raccontarci la storia della contessa Livia e del suo amante ben riflessa e condizionata dall’ambiente e dagli eventi storici. Dice ancora Visconti a questo proposito (dall’intervista di Zanetti), e in riferimento alla somiglianza della storia di Senso con quella di Ossessione: « Anche questa è la tragedia di due esseri in un ambiente su cui incombe una tragedia. Lì l’amore di due personaggi portava direttamente al delitto, che era la soluzione fatale di un conflitto d’interessi e di un urto di caratteri; qui è la disfatta militare, la tragedia corale di una battaglia perduta che prende il sopravvento sulla misera fine di un’avventura d’amore ».
Del resto, come dicevamo, non è casuale, in un regista realista, la scelta di un racconto di un narratore minore dell’ottocento, di un narratore che, trascurato fino a qualche anno fa, è stato rispolverato da Giorgio Bassani, e pubblicato nella collezione « Labirinto d’amore » dell’editore Colombo. Camillo Boito, l’autore di questo racconto, fratello del più celebrato ma indubbiamente meno dotato Arrigo, appare scrittore di grandi qualità narrative, qualità raffinate ma nello stesso tempo veramente pregnanti di un realismo originale, tutt’altro che di maniera. Bassani, nella prefazione, sottolinea che « il racconto è costruito con grande solidità, con un senso sempre molto esatto ed elegante delle proporzioni, ma, secondo noi, non mette in altrettanta luce, i valori realistici di questo e di altri racconti dello stesso narratore. Tutta la moderna critica letteraria dovrà tornare, pensiamo, sul giudizio di alcuni scrittori dell’ottocento, i cui risultati sul piano narrativo, sono superiori forse a quelli di molti scrittori portati avanti per le loro qualità di esegeti della bella scrittura. Bassani, soltanto in parte, mette in risalto i valori realistici di questo racconto: « Le fonti del verismo di Boito… vanno soprattutto ricercate, come per il Verga, nelle regioni deserte di una amara esperienza umana; del resto la sua educazione, formatasi… alla scuola del Manzoni… non contrasta, come spesso accade per i teorici-moralisti della medesima scuola, con l’acre impegno di aderire modernamente alla realtà ».
È dunque alla luce di questo testo del terzo romanticismo italiano, che Visconti ha fatto opera critica già nello scegliere il suo soggetto. Opera critica che continua, in senso positivo, quella sua ricerca incessante, che non ha mancato di dare i suoi frutti preziosi, e dalla quale il cinema italiano giustamente ne aspetta degli altri, anche più importanti e formativi.
Forse l’anno che viene potrà veramente offrirci, con le opere di Visconti e con quella di Castellani, Giulietta e Romeo, una chiarificazione importante e definitiva su quelli che potranno essere considerati i limiti di una tendenza, di una scuola che da sola dà lustro a tutto il cinema italiano.
Massimo Mida
24 Giugno 1954