Una volta i diciassettenni erano pazzi per poter fare i « pirati ». Fuggivano di casa calandosi dalla finestra con il lenzuolo attorcigliato e scappavano su una barchetta rubata a un pescatore lungo il fiume per andare a fare « un po’ Sandokan ».
Era il tempo in cui i minorenni andavano pazzi per Emilio Salgari,
Ma oggi tutto è cambiato.
E i minorenni vanno pazzi per fare i registi,
Scappano di casa con la foto di Luchino Visconti sul cuore, come i liceali 1908 abbandonavano il tetto familiare avendo il ritratto di Giulio Verne cucito nei fondelli dei calzoni.
“Luchino”: marca di fabbrica del « registismo » italiano 1947, sigla di tutta fiducia per lo « speciale effetto di luce », unico passaporto autorizzato per l’importazione di grandi carichi di balle di Cocteau e di vagoni piombati pieni di esistenzialismo.
Luchino — come Cobianchi, Zingone e Borsalino fu Lazzaro — ha ormai monopolizzato un intero settore della vita nazionale; è una vera e propria « centrale » di raffinatezze e di interpretazioni, una specie di ufficio dei Dostoiewski perduti, dei Beaumarchais anche a rate, degli O’ Neill d’occasione, dei Saroyan anche sgommati.
Come il Martini secco, è ormai: un « classico » da pubblicità radiofonica: « Non chiedete un regista! Chiedete un Luchino! ».
Attendiamo serenamente da lui un «Amleto » dal cui teschio si sprigionino luci gialle radenti e lontani effetti di violini.
È il nuovo Messia dei lettori delle collezioni Bompiani.
L’Apostolo di quelle importanti masse di divoratori di Faulkner e Caldwell, di quei lettori con pipetta e scarpe di camoscio a stivaletto i quali, se non trovano quattro o cinque « espressioni crude » (vulgo: parolacce) alla prima pagina di un romanzo, lo buttano subito via.
È il Raffinatore Pubblico Numero Uno. La Giovanna d’Arco di tutti quegli oppressi – per – vent’anni – dal bieco regime che li obbligò – turpemente – ad assistere – a sani e ginnastici – spettacoli all’aperto – invece – di offrire – cupi drammi – per lo più – svolgentesi – in camere – da – letto.
Luchino è, infatti, l’anti-Dopolavoro. Nelle sue regie, i concerti base dell’ONB e della GIL li troviamo brillantemente capovolti e visti dall’altra parte.
Per intenderci, mentre Renato Ricci dava la medaglia all’eroico avanguardista che, pur non sapendo nuotare, si era gettato nel fiume per salvare una madre superiora, Luchino la medaglia la darebbe soltanto all’eroico diciottenne che si gettasse in fiumi di cocaina per essersi innamorato della sorella e di altri « parenti terribili ».
Dategli da mettere in scena « Le avventure di Pinocchio » ed egli troverà il modo di inserirci una scena con Clara Calamai « accosciata » su un letto.
(Forse affidandole il ruolo della Fata dai Capelli Turchini. S’intende che Pinocchio lo interpreterebbe Massimo Girotti).
Il Giovacchino Forzano del reggipetto.
Da quando si presentò candidato per il partito comunista, si può ben dire che è il nostro « Marx » Reinhardt.
Ha anche lui una sua ricetta: « Un po’ di « Sette », qualche pizzico di « Cronaca nera », due gocce di « Crimea » e, quando in scena fa troppo Caldwell, si apre la porta del sesso per far entrare un po’ di Freud.
Forse De Gasperi non lo chiamerà mai a « mettere su » la commedia « Bianco fiore » nei teatrini degli oratorii.
Appunti per una Storia d’Italia attraverso le frasi mondane:
1900: « Guido, vieni alle corse? ».
1930: « Giorgio, metti un disco! ».
1947: « Gianni, vieni alla « prima » di Luchino? ».
Steno