Passeremo dunque il nostro tempo a occuparci anche di film e di opere teatrali approvate, sì, dalla Censura ma ritenute immorali, a Milano, dalla Procura della Repubblica?

Passeremo dunque il nostro tempo a occuparci anche d’un dissidio tra il potere esecutivo e il potere giudiziario, ossia del diverso modo da parte dei due poteri di considerare la stessa pellicola e il medesimo testo scenico?

Passeremo dunque il nostro tempo, siccome chi ordina sequestri è soltanto la Procura milanese, a domandarci per qual ragione un film o un testo per la ribalta non è “osceno, morboso e ripugnante” per la Procura di Roma o di Torino o di Bologna o di Venezia, ma al contrario è “osceno, morboso e ripugnante” per la Procura della metropoli lombarda, vale a dire d’una città definita “capitale morale” proprio all’epoca della sua letteratura naturalista o verista, l’epoca degli Arrighi, dei Valera, dei Praga, dei Rovetta, dell’allora esordiente Bertolazzi, tutta gente, è noto (o forse non è più noto), che la realtà la raccontava senza tante cerimonie, e poneva nei romanzi e nelle commedie le adultere della borghesia e dell’aristocrazia, le “orizzontali” della società dorata, le prostitute della periferia, i cialtroni truccati da galantuomini, i barabba, i magnaccia, gli accoltellatori?

Voi intendete che stiamo commentando l’intervento del potere giudiziario a proposito dell’Arialda di Giovanni Testori, dramma proibito in un primo tempo dalla Censura ministeriale e poi tagliato e permesso, rappresentato a Roma dalla compagnia Morelli-Stoppa per una cinquantina di volte, andato in scena qui a Milano, teatro Nuovo, la sera del ventitré febbraio, e bloccato poche ore dopo dalla Procura milanese, col sequestro del copione fornito del nullaosta e con la denuncia al Tribunale, per spettacolo osceno, dell’autore, di Carlo Alberto Cappelli, capocomico, di Remigio Paone, gestore del Nuovo, di Luchino Visconti, regista della rappresentazione, e ancora non sappiamo, mentre scriviamo, se la Morelli e lo Stoppa dovranno rispondere del loro agire dal banco degli imputati. Intervento che ha suscitato un rumore del quale siete perfettamente informati, e che nella storia teatrale dell’Italia unita è il primo.

E forse la meraviglia sarebbe stata minore se l’Arialda fosse stata sequestrata a Roma dopo aver tenuto il cartellone, qui a Milano, per una cinquantina di sere. Nessuno ignora infatti che Roma non è soltanto la città degli spogliarelli nelle trattorie e delle “squillo” tariffate un milione; è anche la città dove per particolari motivi gli spettacoli son sorvegliati con più rigore e dove la Virtú, scandalizzata, biasima le signore che d’estate non girano in pelliccia.

È “oscena, morbosa e ripugnante” l’Arialda? Noi pensiamo di no, d’accordo in questo — e non sembri un paradosso — con la Censura che l’ha permessa, con la Procura di Roma che non l’ha vietata, col Ministero per lo Spettacolo che ha accordato alla compagnia i dieci milioni del “premio d’avvio”. Ma non è precisamente questa tesi che ora vogliamo esporre, e nemmeno vogliamo insistere, una volta di più, sull’evidente e urgente necessità di definire la questione del nullaosta, a scanso di sorprese, di sequestri, di denuncie (o sì o no, e ammesso che si tratti d’un sì, sia un sì valido per ogni città, per ogni piazza, e mai tramutabile, in ogni caso, a Milano come a Roma, a Torino come a Venezia, a Bologna come a Firenze, mai tramutabile in un processo per oltraggio al pudore).

Noi vogliamo soltanto sottolineare (e lasciamo stare per il momento un altro tema a noi caro, quello della libertà) che la Milano dove oggi si deferisce al Tribunale l’Arialda è la stessa città dove l’incesto dei Sequestrati d’Altona, le smanie sessuali di Sesso debole, le vicende della Gatta sul tetto che scotta, d’Uno sguardo dal ponte, d’Un tram chiamato Desiderio, di Tè e simpatia, della Venexiana, del Marescalco, del linguaggio ruzzantesco non sono mai parsi riprovevoli né l’anno scorso né due o dieci anni fa. Ma siccome adesso, in questo 1961, par oscena alla Procura della Repubblica un dramma o tragedia come l’Arialda (dramma o tragedia o spettacolo che, tra l’altro, non turba i sensi dello spettatore), che dobbiamo pensare? Forse che le condizioni morali di Milano sono tali da far ritenere allarmante anche la rappresentazione d’un testo del genere? E si badi: rappresentazione destinata a quelli che frequentano il Teatro, i quali sono pochissimi, vanno calando continuamente e per giunta i trent’anni non li aspettano più (i giovani, si sa anche questo, il Teatro lo scansano, lo disprezzano, lo ignorano).

Certo è che Milano teatrale, ossia la città più teatrale d’Italia, va perdendo quota, anche lei, rapidamente. I suoi impresari cercano invano delle compagnie da scritturare; le compagnie che si formano per recitare nei teatri romani non vogliono lasciare Roma, che offre soprattutto la possibilità di fare della televisione, del cinema, del doppiaggio; nascono teatrini pubblici governati dai filodrammatici; e il Ministero sta a guardare, anzi non guarda, e buona notte al secchio. Qui, Milano.

(Sipario)