Spettatrice dello spettacolo forse più acclamato e discusso dell’anno, la più grande attrice italiana ed europea, Emma Gramatica, ha scritto per il Corriere d’informazione questo suo « taccuino di spettatrice » della Traviata interpretata alla Scala da Maria Meneghini Callas.
Quando sere or sono, in fondo ad un palco della Scala, ho potuto assistere, invitata dall’amico Antonio Ghiringhelli, alla Traviata, il mio animo di spettatrice è andato molto lontano nel tempo: nel tempo dei ricordi d’infanzia, sempre e più che mai presenti nel mio cuore.
La nostra vita di attori, fatta — soprattutto un tempo — di un lavoro che non si interrompeva mai, non ci consente di accumulare come è possibile ad uno spettatore, molti ricordi, in fatto di spettacoli.
Uno scrupolo della Duse
Ho detto questo perché si comprenda come, andata ad ascoltare una Traviata per me inedita — quella guidata scenicamente da Luchino Visconti e quella interpretata da Maria Meneghini Callas — il mio cuore tornasse subito ad un ricordo antico, facendomi ritrovare bambina accanto a due figure egualmente amate, quella di Eleonora Duse e quella di mia madre. Non so più in quale città, né in quale teatro. « Vedo » un camerino di anni lontani, e la Duse, cha dà la sua voce all’amore e al dolore di Margherita, nell’intervallo che precede l’atto in cui Armando, che ignora il suo sacrificio, la sferzerà con il suo insulto. Rivedo, nella memoria, la Duse che voleva apparire — come ella diceva — « vestita di niente ». Per quanto mia madre, che le era sempre vicina, cercasse sempre di convincerla a indossare per quella scena, un abito di grande ricchezza, la signora Duse era irremovibile. Voleva esser vestita solamente di tanti e tanti metri di crespo, chiaro e velato, e voleva che mia madre in persona l’aiutasse a creare così, con quella nube di crespo, un vestito « fatto di niente »: tenuto su con tanti spilli, con una infinità di spilli. Se mia madre insisteva perché indossasse un abito di Worth, la signora Duse rispondeva: « Per questo abito, Cristina, il mio Worth sei tu… Margherita in questo atto non è più che una anima che sta per spegnersi per il male e l’umiliazione della ferita che deve sopportare… ». Sento ancora la voce di mia madre che, con il suo buon senso, rispondeva : « Ma, signora cara, queste cose le può pensare lei, e spiegarle così a me: ma chi può spiegarle al pubblico? Il pubblico vede entrare Margherita in una grande serata di festa, accompagnata da un uomo ricco che la mantiene riccamente. Come può spiegarsi il pubblico che il Barone di Varville, ricco sfondato, vesta di niente la sua amante? ».
Il lancio delle scarpette
Mi sembrava, dal palco della Scala, di rivedere la scena, nell’attimo bellissimo in cui Alfredo rincorre su per la scala Violetta che tenta di sottrarsi alla sua furia gelosa, e trascina Maria Meneghini Callas sin quasi alla ribalta dove il duetto continua concitato sotto agli sguardi stupiti degli invitati. La cantante arrivava al vertice più intenso del dramma di Violetta. Cantante e attrice, le due figure, i due sentimenti, le due tecniche teatrali convergevano, in un quadro scenico che solo la Scala può dare. Già al primo atto — se si escluda, quando Violetta resta sola nella sua casa dopo aver ascoltato per la prima volta le parole d’amore di Alfredo, quel lancio delle scarpette dai piedi stanchi che, devo dirlo, dal punto di vista registico mi ha lasciata perplessa — lo spettacolo rivelava le sue qualità di stile, con le luci discrete dei vecchi lumi a globo, con quel lampadario che dà un rilievo abilmente attenuato al colore dei costumi deliziosamente goffi delle « dame »… L’alta snellissima figura dell’interprete pareva che fra tutte quelle cose e quelle persone quasi scivolasse e folleggiase veramente, nell’atto di porgere ai suoi invitati sorrisi, baciamani e calici di champagne.
Un momento di perplessità, l’ho detto, per quel lancio delle scarpette: una mia personale perplessità di attrice, dal fondo del palco… Ma subito dopo Violetta siede accanto al fuoco del caminetto: si scioglie i lunghi capelli e il canto di lei si unisce a quello di Alfredo che sale dalle quinte.
Il teatro è, per un’antica regola che non si smentisce mai, soprattutto commozione. I due momenti che più mi hanno commosso in questa interpretazione della Traviata sono quando Violetta, al secondo atto, accetta dal padre di Alfredo — ho sempre pensato che si tratti della sola figura assurda del dramma – la condanna a separarsi per sempre dall’amato, e quando, nel momento del distacco, si raccoglie tutta ai piedi di Alfredo. Commozione per il sospiro di « Dite alla giovane », e commozione per quell’ultimo addio, per quell’abbraccio scenicamente reso come solo una vera e grande artista drammatica può rendere. Dovrei dire, per il quarto atto, che lo scenario non mi ha dato, per quanto disadorno, la sensazione che Violetta si trovi in povertà. La scena è troppo vasta, i personaggi entrano in casa dell’ammalata da un giardino che sembra aperto a tutti: tengono tutti i loro soprabiti e Alfredo non si leva il suo, con il collo di pelo, nemmeno davanti a Violetta che muore. In ogni modo la personalità di Luchino Visconti, anche se in qualche cosa da lui si può dissentire, è tale da indurre a chiedersi quali miracoli di romantica verità del tempo avrebbe saputo trovare con la sua fantasia se, nella sua regia, fosse rimasto più vicino al clima romantico che ispirò Verdi. Ma la scena della morte di Violetta riesce di toni bellissimi, con quel vaneggiamento e quel cadere finale, di schianto, non fra le braccia dell’amato ma quelle di un altro che la raccoglie.
Dire qualcosa della prodigiosa artista che è la Meneghini Callas, da parte di una ignara del canto quale sono io, sarebbe quasi ridicolo. Io l’ho ascoltata come può ascoltarla una attrice. Credo che il prodigio del suo canto rinnovi quelli della Patti e della Terrazzini: e da solo basterebbe a sollevare l’entusiasmo di qualsiasi folla. Nella parte di Violetta non serbo, di altri cantanti, se non il ricordo della grandissima Muzio. In quanto a Margherita — come è il nome della Signora dalle camelie — ho, come ho detto, il ricordo della signora Duse, che nella mia lontana memoria di bambina incarnava la creatura di pena e di amore come una cosa sola con se stessa: e il ricordo del volto inconfondibile di Greta Garbo, Margherita squisita e perfetta. Maria Meneghini Callas compie un prodigio di canto: e compone il suo personaggio con tale bravura e sicurezza, e profondità drammatica che essere insieme una grande artista lirica e una grande artista drammatica. Quanto di questa potenza drammatica le sia stato ispirato da Luchino Visconti si può intuirlo. Ma quella potenza è ormai diventata tutta cosa sua: un sentimento del quale è padrona.
Emma Gramatica