Luglio 1962

Nel 1941, quando Visconti non aveva ancora iniziato la sua attività creativa, ed era impaziente per tante cose che voleva dire, una non originale polemica sui rapporti tra cinema e romanzo lo trova spontaneamente nella schiera di coloro che hanno fede nella validità, per un film, di un legame «letterario». Le grandi costruzioni narrative dei classici vengono sùbito da lui considerate la fonte più vera di ispirazione. «È bene avere il coraggio di dire più vera», sottolineava, «anche se taluno taccerà questa nostra affermazione di impotenza o almeno di scarsa purezza cinematografica».

Già prima di realizzare Ossessione da Cain,il film che prelude alla felice stagione del neorealismo, a Visconti, lettore lombardo abituato per tradizionale consuetudine al limpido rigore della fantasia manzoniana, il mondo primitivo e gigantesco dei pescatori di Aci Trezza era apparso sollevato in un tono immaginoso e violento di epopea, e la Sicilia di Verga — dalla quale partirà La terra trema — l’isola di Ulisse: un’isola di avventure umane e di fervide passioni.

Tradizione e invenzione è il titolo di un suo lontano scritto-programma, nel quale confessa appunto il suo incontro con Verga, e precisa il significato di questi due termini. È ovvio che Visconti non «riscrive» romanzi ottocenteschi, non ritorna meccanicamente a essi; né egli vuole spogliare il film dei suoi «specifici», dei suoi mezzi espressivi e qualità, ma vedere sino a qual punto gli uni e le altre possano raggiungere il livello dell’autentica narrativa. Solo attraverso una meditazione cosciente e precisa, le grandi costruzioni dei classici diventano in lui la fonte più vera di ispirazione. Nel momento stesso in cui il regista sente la forma e la tecnica del romanzo, e gli sembrano indispensabili per dire quello che vuole, le adopera in modo affatto personale, distinguendosi dai «modelli» del passato in concomitanza con gli strumenti espressivi e culturali acquisiti.

Il suo amore per i classici non perviene mai — neppure, in genere, nella sua attività teatrale: prosa e lirica — a un atteggiamento di acritica, immobile venerazione. Li studia e li elabora, li interpreta da contemporaneo che vive nei problemi d’oggi, avendo cioè coscienza del passato e del presente insieme. La scelta dei testi di partenza comporta in lui uno sviluppo, una capacità a cogliere la loro eredità vitale, una attitudine ad assorbire quanto di grande essi contengono e a portarlo avanti. Cain o Verga, Camillo Boito o Dostoevskij, sono riletti criticamente quando non addirittura «ribaltati»; risultano operanti in un continuo incontro e integrarsi del passato vivo — del patrimonio ideale e formale della letteratura, della tradizione intellettuale — con l’esperienza originale, in cui l’ispirazione del regista scaturisce direttamente dai fatti della vita e dai problemi dell’esistenza.

Un motivo di fondo, una costante nell’opera di Visconti, è così lo spostamento di peso dei personaggi rispetto a quelli della pagina. In La terra trema, a esempio, padron ’Ntoni, protagonista de I Malavoglia, lascia il posto al nipote, protagonista del film: cioè il passato, ancora tutto intriso della rassegnazione e dei proverbi antichi, al presente. Il destino degli uomini viene qui a contraddire il concetto di una fatalità irrevocabile. Al pari di ogni grande autore realista, Visconti sa che non si può rimanere indifferenti e atemporali, che senza una giusta prospettiva non è possibile distinguere l’essenziale dal contingente, scoprire il «donde» e il «dove», la provenienza e la direzione dell’uomo, difendere la sua integrità.

Non a caso nasce con Senso il primo vero, autentico film storico italiano. Senso non è, se vogliamo, un «romanzo» sul Risorgimento, ma su di esso suscita in gran copia suggerimenti e riflessioni; avanza una prima critica, in campo cinematografico, di quel grande, complesso e contraddittorio movimento: tende cioè a far luce, sull’esempio della storiografia più avanzata, sui «limiti» del movimento stesso, e sulle ragioni di quei limiti. La terra trema, Bellissima, Rocco e i suoi fratelli e per certi versi anche Ossessione, sono opere sul nuovo che nasce nella società italiana contemporanea; Senso è invece un epos della decadenza, la visione di un tramonto, di un impero che muore; guarda al nuovo dal punto di vista della dissoluzione del vecchio.

Il Gattopardo, che Visconti sta girando, sarà senza dubbio la continuazione del discorso iniziato con Senso, e in tale discorso il regista darà un peso diverso e una diversa dimensione ai personaggi, alle vicende private e alla visione storica dell’omonimo romanzo. Le pagine di Giuseppe Tomasi di Lampedusa costituiranno un dato di partenza per una rilettura critica in cui le differenze, le varianti e «correzioni», i ribaltamenti, risulteranno più numerosi delle affinità, dei punti di incontro. Avremo ancora un epos della decadenza, ma non nello spirito del principe di Salina, del Gattopardo rassegnato e ironico spettatore del proprio declino, di un passaggio da un’epoca all’altra inteso solo apparentemente e nei suoi lati del tutto negativi. «In Sicilia», scrive Lampedusa, «non importa far male o far bene: il peccato che noi siciliani non perdoniamo è semplicemente quello di fare».

Non c’è dubbio che Visconti respinge questo mito dell’immobilismo, dell’inutilità di operare per una libertà effettiva, che sia riscatto e progresso sociale, giustizia, eliminazione della miseria. Ce lo conferma, per quanto riguarda la Sicilia, La terra trema. E Senso costituisce la confessione di un aristocratico lontano, per atteggiamento e cultura, dal Lampedusa. Visconti non rimpiange un’insegna araldica che ha ormai perso ogni valore e significato, un Gattopardo scettico e pessimista che si ostina a considerare la vita, la storia, come un falso movimento, una ripetizione di fatti in apparenza diversi ma in realtà uguali, dove i protagonisti cambiano nome ma restano simili nella sostanza.

Nel film ci sarà quell’ampiezza di visione storica che in verità manca al romanzo. Verranno contemplati, come in Senso, i «limiti» del Risorgimento, dell’epopea dei Mille, così amaramente enucleati da Verga, De Roberto, Pirandello, ma senza giungere alle conclusioni di Lampedusa: «In quell’epoca molte cose sarebbero avvenute, ma tutto sarebbe stato una commedia, una rumorosa romantica commedia con qualche macchiolina di sangue sulla veste buffonesca».

Che Visconti abbia già modificato il testo d’avvio, risulta dalle prime notizie che si hanno sul film. Nella sceneggiatura, l’inizio e la chiusa sono diversi rispetto al libro. La vicenda si apre con l’entrata dei garibaldini a Palermo, nella primavera del 1860, allo scoppio della rivolta popolare contro i Borboni, con la folla che irrompe nelle strade; e termina con la scena del ballo che «appassisce» a palazzo Ponteleone: «I volti delle signore erano lividi, gli abiti sgualciti, gli aliti pesanti».

L’atmosfera fondamentale della sequenza — afferma Visconti — sarà quella di una morte non individuale — del Gattopardo principe di Salina, — bensì collettiva: della fine di un mondo da non identificare, come avviene invece nel Lampedusa, con la vanità della vita, ma di una classe. Al «canto funebre» della nobiltà borbonica farà riscontro una immagine tragica della crisi risorgimentale: le fucilazioni ordinate dall’esercito regio contro coloro che volevano portare sino in fondo il movimento liberatore. Nei Tancredi, garibaldini dell’ultima ora e poi alleati degli speculatori politici, nella loro sinistra intesa con i don Calogero, trafficanti arricchiti che finiscono deputati al Parlamento, il regista intende sottolineare quelle involuzioni che porteranno al fascismo. Senza tuttavia riconoscere nei Tancredi i patrioti, la somma di idee, di sentimenti, di passioni legati al Risorgimento; senza vedere in esso un fenomeno inutile o del tutto negativo, una completa «bancarotta».

Ogni previsione è difficile e pericolosa sul piano artistico. Pensiamo comunque che con Il Gattopardo Visconti ci darà davvero, dopo Senso, un altro grande e autentico film storico.

Guido Aristarco

Alexandra Wolff Stomersee, vedova di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, e Luchino Visconti sul set del Gattopardo, luglio 1962, foto G. B. Poletto, collezione Alla Ricerca di Luchino Visconti.