Aprile 1976

La morte di Visconti priva il panorama culturale del nostro paese di uno dei suoi ultimi maestri, intendendo con questo termine quella ristretta schiera di artisti circondati dall’aura vagamente decadente del genio, impasto di passione e di autoritarismo, di aristocratico isolamento e di improvvisi abbandoni sentimentali, di conclamate certezze e di malcelate ingenuità.

Maestro senza discepoli, in verità, ché il suo scontroso individualismo non glieli avrebbe permessi, ha lasciato però nel cinema italiano del dopoguerra un segno indelebile, l’impronta di uno stile fatto di cesello e di perfetta riproduzione del dettaglio che è difficile dimenticare. Ma non solo nel cinema; artista poliedrico infatti, applicò lo stesso rigore della messa in scena nel ricostruire gli ambienti dell’opera lirica, dando ai personaggi verdiani una corposità senza precedenti ed evidenziandone il lato della polemica sociale.

D’altra parte non minore fu il suo impegno in campo teatrale, dove, pur nei limiti di un’impostazione naturalistica (e spinta fino all’eccesso, come quando pretese per l’allestimento del Giardino dei ciliegi di Cecov dei ciliegi veri, da interrare sul palcoscenico), egli portò sul finire degli anni Quaranta la novità di uno stile di recitazione fortemente realistico, unito alla scoperta di nuovi autori americani e francesi che contribuirono non poco a sprovincializzare le scene italiane.

Nel cinema Visconti ebbe del genio decadente la capacità di analizzare dall’interno la condizione borghese, con il fastidio che procurava alla sua coscienza di nobile colto e sensibile l’appartenere a una classe dedita anzitutto all’interesse economico. Aristocratico infatti egli fu nelle origini, e tale rimase nell’animo per tutta la vita, come dimostra la particolare adesione agli ideali comunisti, sempre inquinata da un radicale pessimismo nelle capacità dell’uomo di cambiare il mondo.

Del genio portò in sé anche i limiti di una concezione superomistica della cultura, paradiso di pochi grandi, dove il referente era costituito, prima ancora che dalla realtà esterna, dai modelli culturali precedenti. In questo senso egli fu lontanissimo dalla poetica zavattiniana del ‘‘pedinamento”, perché il suo neorealismo passò sempre per il filtro di una raffinata formazione culturale, che si ispessì nelle ultime opere fino a connotare un certo distacco dell’autore dalla realtà.

Così con Ossessione spazzò via le sdolcinature del cinema dei telefoni bianchi e guardò in faccia alla miseria fisica e morale della provincia italiana, ma dietro quel film apparentemente nuovo c’era tutta l’esperienza verista dei registi francesi d’anteguerra; in Senso riuscì a rappresentare il Risorgimento nella sua vera dimensione storica, mediandola però attraverso il melodramma verdiano; con Rocco e i suoi fratelli ci fornì un’immagine attendibile della violenza della metropoli industriale, ma lo schema di riferimento fu ancora una volta letterario: la tragedia greca con le sue partizioni e il sottofondo epico della narrazione.

La scelta successiva di modelli, quali Proust, Mann e ultimamente D’Annunzio, segnò il definitivo prevalere della vena decadente (che era già odombrata nella morbosità di Ossessione, ma bilanciata dal peso dell’ideologia), mentre l’involuzione della sua opera si evidenziava anche a livello strutturale: dalla riproduzione fedele del dialetto ai cedimenti a un gergo dialettale caro alla piccola borghesia della commedia all’italiana (Bellissima), dalla verità del romanzo alla falsità dell’intreccio romanzesco (Il gattopardo), dalla ripresa dal vivo alla grandiosa ricostruzione scenografica (la trilogia tedesca).

Non potevamo amare la cartapesta e l’affresco coreografico del Visconti più recente, in cui era smarrita anche la precisione dell’analisi sociale. Preferiamo ricordarlo per i suoi primi film, specialmente per La terra trema: dall’incontro di una perfezione stilistica, spinta fino al particolare insignificante, con il crudo verismo del Verga nacque un’opera inimitabile, l’unica del neorealismo che sia priva di infingimenti populistici.

(Sipario)