C’è sempre, nella vita di un vero artista, un momento — e qualche volta può ancora ripresentarsi — nel quale egli riesce ad esprimere il meglio di se stesso. Sembra toccato dalla grazia e le sue facoltà inventive si fanno lucide, acute e sorprendenti. Le immagini escono dalla sua fantasia con estrema naturalezza e l’estro si manifesta in tutto il suo splendore. Ci si trova, allora, di fronte all’opera d’arte e, qualche volta, al capolavoro.

Nicola Benois, che da tempo ci conosce, sa che non siamo facili né all’entusiasmo né alla lode e che spesso il nostro giudizio è in aperto contrasto con quello della maggior parte della critica tanto è vero che qualcuno ci chiama «libeccio» che è un vento forte ed ostinato e che soffia per tre giorni. E questo appellativo ce lo siamo meritato per una sorte d’insofferenza verso l’opinione comune e per una certa durezza di giudizio. O indipendenza anche! Per questa nostra abitudine — buona o cattiva non sta a noi il dirlo — pensiamo che Nicola Benois possa maggiormente apprezzare la lode incondizionata che ci sgorga calda e spontanea dopo aver visto la sua « Anna Bolena ».

Non crediamo necessario analizzare le singole scene perché tutte di grande evidenza e di inconsueta chiarezza. Le illustrazioni a fianco sono più eloquenti di qualsiasi discorso ed averle riprodotte in bianco e nero nulla toglie alla loro suggestione dato che le scene stesse sono monocrome. I bianchi, i grigi ed i neri assumono — come spesso avviene anche per il cinema — ben più alto valore pittorico di qualsiasi colore e rendono, con maggiore evidenza, la atmosfera fastosa ma anche cupa delle grandi dimore inglesi.

Il taglio è perfetto, varia l’impostazione, assolutamente unitario lo stile. Ed il devoto allacciamento alla grande tradizione scenografica italiana è così sentito che il freddo e spesso distaccato pubblico delle « prime scaligere » ha riservato — fatto assai raro per non dire unico — un applauso all’aprirsi del velario sulla seconda scena.

Per queste scene, grigie d’intonazione, Benois ha disegnato i costumi in blu e nero, interrompendo la sequenza con il rosso acceso della veste di Giovanna Seymour e con il rosso e giallo delle uniformi dei soldati che sembravano usciti da un quadro del Pontormo.

Dobbiamo essere grati a Nicola Benois per averci offerto, con questo allestimento, un alto esempio della sua indiscussa bravura e della sua limpida onestà professionale e nell’elogio vorremmo anche accumunare i suoi valentissimi scenografi-realizzatori: Luigi Brilli, Carlo Ighina, Mario Mantovani, Antonio Molinari, Vincenzo Pignataro e Gino Romei che tanto danno — e sempre hanno dato — per la supremazia nel mondo, del nostro massimo teatro lirico.

G..F.
(Milano, Maggio 1957)