Roma, venerdì 3 maggio 1962. È giunto a Roma Burt Lancaster proveniente da Parigi. Con lui è sceso dall’aereo Couve di Murville, ma i fotografi e i cineoperatori non attendevano l’uomo di Stato francese, il quale ha avuto l’onore di un paio di flashes. Poi la turba dei paparazzi si è scatenata attorno all’attore americano, chiamato in Italia da Visconti per interpretare il ruolo di Don Fabrizio Salina nel Gattopardo, il film che entrerà in lavorazione il 14 maggio.
Lancaster è apparso allegro e riposato. Vestiva una giacca chiara, pantaloni scuri, calzini e scarpe rossi. Prima di uscire dal Caravelle ha indossato un impermeabile caki ed ha infilato un paio di grossi occhiali scuri. Quando il suo volto aspro, quasi bruciato (i capelli biondi, secchi e le ciglia ancora più chiare) è apparso nel vano della carlinga, la piccola folla convenuta sulla terrazza dell’aeroporto ha cominciato ad agitare le braccia. Lancaster ha risposto cordialmente.
Nell’interno dell’aerostazione, durante il disbrigo delle formalità doganali, abbiamo potuto parlare con il quarantanovenne attore, interprete di decine di film fra i quali Forza bruta, Da qui all’eternità, Vera Cruz, Il kentuckiano, La rosa tatuata, Trapezio, Sfida all’O.K. Corral, Tavole separate, Piombo rovente, e il recente Vincitori e vinti. L’argomento non poteva essere che Il Gattopardo.
— Visconti afferma che lei conosceva molto bene il romanzo quando le hanno proposto di interpretare il ruolo di Don Fabrizio Salina. Si tratta di una eccezione o lei è un abituale lettore di opere italiane?
— A Hollywood — risponde Lancaster — non ci sono soltanto macchine da presa. Ci sono anche attori, registi, intellettuali che leggono. In questo caso, inoltre, si tratta di un best -seller molto conosciuto da noi. Ma io conosco anche le opere di Moravia e di Levi, per esempio.
Si abbandona ad una battuta, dice di aver letto il romanzo di Tomasi di Lampedusa per dodici volte. Ma chiarisce subito che non è vero: «Soltanto cinque», aggiunge.
— Conosce — chiediamo — il cinema italiano?
— Conosco le cose migliori, quelle che arrivano da noi. Rocco e i suoi fratelli, che ho voluto vedere prima di accettare la proposta di Visconti, mi è parso meraviglioso.
— Ma gli altri? Ha visto per esempio La ciociara?
— Certo, ed ammiro moltissimo la Loren e De Sica. De Sica è uno dei miei preferiti, assieme a Rossellini, ad Antonioni…
Chiediamo a Lancaster quali sono i motivi che lo hanno spinto ad accettare un ruolo così impegnativo.
— Il primo — risponde con estrema cortesia — è che considero Il Gattopardo un capolavoro. Il secondo è che la parte del principe di Salina è difficile. Per me, come per ogni altro attore, una parte difficile rappresenta quindi un traguardo, una prova da superare. Fisicamente, credo di avvicinarmi alla figura descritta dall’autore. Il principe è alto, biondo, occhi celesti, di mezza età ed io posseggo, almeno credo, queste caratteristiche.
— Lei è stato in Italia, a Ischia, una decina di anni fa. È mai stato in Sicilia?
Lancaster scoppia in una risata, si toglie gli occhiali.
— Io — dice — ho combattuto in Sicilia, nel 1943, nei servizi speciali dell’esercito americano. Sono stato a Palermo e a Catania. Potrei dire che si tratta di luoghi per me familiari. Ma non è questo che ha influito sulla mia decisione di partecipare al film.
— Ora il signor Lancaster è stanco. Vogliamo farlo riposare? — interviene uno della produzione.
E malgrado il cortese invito dell’attore a continuare il colloquio, abbiamo preferito rimandare alla conferenza stampa degli attori che parteciperanno al film: Claudia Cardinale, Paolo Stoppa, Rina Morelli, Romolo Valli, Lancaster, Alain Delon e Visconti, naturalmente.
Leoncarlo Settimelli
Roma, sabato sera 5 maggio 1962. Nel «rendez-vous» dell’Excelsior, Burt Lancaster sembra ringiovanito. È tutt’altro che vecchio, intendiamoci, ma molti lo ricordano nella sua recente e superba interpretazione di Vincitori e vinti dove appariva notevolmente avanti con gli anni, sicché ora quasi stentano a credere si tratti della stessa persona. Grosso modo, vien fatto di pensare che sia sui quaranta o poco più. Veste elegantemente, ma senza alcuna ricercatezza; abito scuro a richini bianchi e camicia azzurra. Non fa alcun tentativo per darsi l’aria da divo o da importante produttore qual è.
«Confesso — egli dice fra l’altro — che sono veramente entusiasta di poter lavorare sotto la direzione di Visconti. Prima che mi venisse offerto il personaggio del principe Fabrizio Salina, avevo già visto Rocco e i suoi fratelli del quale riportai un’impressione più che lusinghiera. Durante la guerra sono stato in Sicilia come combattente, ma durante quelle due o tre settimane praticamente non ho visto niente. L’unica Sicilia che finora conosco è quella dei romanzi di Verga. Sono certo comunque che ci penserà Visconti a rendermela familiare, la Sicilia di oggi e quella di ieri, del 1860. Mi hanno informato che certe condizioni di vita purtroppo non sono molto cambiate in molte parti dell’isola attraverso un secolo».
A questo punto s’inserisce nel discorso Visconti per affermare che non c’è dubbio su questo fatto tanto increscioso, anche se il sindaco di Palma di Montechiaro (in paesino fra Agrigento e Gela dove il regista contava di ambientare una parte delle riprese) a nome della Giunta comunale ha inviato un telegramma al produttore Lombardo esprimendo l’indignazione della popolazione per certi giudizi pubblicamente espressi dallo stesso Visconti, giudizi che non rispondo al vero, ecc.
Ma torniamo a Lancaster. Non gli è mai accaduto — egli dice — di interpretare un personaggio che abbia qualcosa in comune con quello cui darà vita nel Gattopardo. Prevede molte difficoltà, ma è certo di superarle: «Sono un attore e come tale farò del mio meglio per uniformarmi ad ogni esigenza scenica».
Dieci anni fa Burt Lancaster ha interpretato nell’isola d’Ischia Il corsaro dell’isola verde. Si trattava di un film leggero e divertente, egli ricorda. «In linea di massima — aggiunge — interpreto soltanto film che hanno veramente qualcosa da dire. Per i miei impegni contrattuali più di una volta ho preferito pagare una forte penale anziché assoggettarmi a personaggi nei quali non credevo, ma è fatale che nella carriera di un attore vi siano dei film molto buoni ed altri meno, come avvenne ad esempio con The Kentuckian che inizialmente nacque su un piedistallo di grandi ambizioni. D’altra parte il fatto di essere anche produttore non significa faro solo i film che veramente c’interessano, in quanto ci sono impegni con la distribuzione che bisogna pur soddisfare…».
La verità è che Burt Lancaster in questi ultimi anni è diventato un attore sempre più impegnato. Ora l’attende una prova molto ardua, un personaggio estremamente incisivo ambientato nell’epoca del tramonto borbonico.
Gino Barni