Maggio 1958

Dopo il suo secondo «spectacle Goldoni» al Théâtre des Nations, Luchino Visconti ha concesso una intervista a Henry Chapier, di «Arts». «Da che cosa deriva la sua preferenza per il melodramma?» ha chiesto Chapier prima di tutto al regista italiano. «Il melodramma — ha risposto Visconti — ha una cattiva reputazione dal momento che i suoi difensori l’hanno abbandonato alle vecchie, convenzionali interpretazioni. In Italia questo genere di spettacolo incontra una predisposizione naturale nel pubblico popolare; ma credo che esso sia adatto a tutto un pubblico europeo per la sua forma corale e diretta. Amo il melodramma perché si colloca ai confini della vita e del teatro. Ho cercato di esprimere quanto affermo nelle prime sequenze di Senso. Il teatro e l’opera, il mondo del barocco, ecco ciò fa del melodramma uno spettacolo di grande richiamo. Meraviglioso è poi il personaggio della “diva”, questo essere insolito di cui bisogna oggi rivalutare il ruolo. Nella mitologia moderna la “diva” incarna il raro, lo stravagante e l’eccezionale».

Verdi, che fornisce la possibilità di uno «spettacolo completo», è il compositore che Visconti preferisce per le sue realizzazioni nel campo del melodramma. «Come concilia la sua simpatia per il barocco — gli ha poi domandato il collaboratore di «Arts» — con le sue idee sociali?».

E Visconti: «Ci siamo. Non so perché la critica non abbia voluto fin qui riconoscere la mia libertà. Non appena si parla di me come di un uomo di sinistra, mi si trovano mille intenzioni dimostrative; o è l’estetica pura che io reclamo, quella dei partigiani dell’arte per l’arte. Voglio ora dissipare questo equivoco, che mi sta a cuore. Non vedo come delle opinioni estranee al teatro abbiano a che fare nel mio caso. Io rivendico la mia libertà di movimento, al di fuori di ogni ideologia prestabilita. Prendiamo l’esempio de l’Impresario delle Smirne. Se dò delle indicazioni realiste, subito si grida alla “socializzazione” dell’intrigo. I partigiani dell’arte pura mi opprimono con referenze di ordine plastico. La verità è che io ho cercato tre obbiettivi: stabilire una verità filologica, storica e drammatica; ossia raggiungere l’ideale dello spettacolo completo, il melodramma in senso corale, immagine en raccourci di ciò che è la vita. Verità filologica: perché i dialetti vi si parlano allo stato puro, senza romanticismo d’accenti. Verità storica: perché tale era la situazione degli attori in quell’epoca. Verità umana: perché i loro problemi, i loro intrighi e le loro cachotteries si iscrivono nel tessuto delle loro speranze e perché le lacerazioni di questi personaggi ci commuovono».

Infine Visconti ha affermato trattarsi non di «neutralità», ma di una «intera indipendenza artistica».