Cinema Corso, Milano, 11 Maggio 1944
Donde nasce il disagio che ci procura questo film per molti aspetti più che notevole? Collocata la vicenda in una regione italiana della quale sono messi in evidenza anche abitudini e costumanze particolari, i personaggi ogni poco escono dall’abito regionale che è stato loro imposto e si rivelano quali sono realmente: astrazioni e fantasmi di un mondo difficilmente definibile, in cui tutto ciò che non è amorfo risente d’altri mondi estranei. Del resto, desunto il dramma da un romanzo americano e indirizzata la regia verso modelli ormai classici della cinematografia francese, era quasi impossibile raggiungere risultati diversi.
Ossessione è il racconto d’un delitto possibile in ogni tempo e in qualunque paese, un delitto che affonda le radici nell’adulterio e che è cagione di un rimorso il quale conduce inesorabilmente all’espiazione: in questo fosco dramma è presumibile si inseriva anche un vago richiamo al nomadismo, una tendenza contrapposta di cui i tagli apportati hanno lasciato vivere soltanto un pallido accenno. Ma se esiste una specie di delitti comune a tutti gli uomini e se gli uomini sono tutti uguali e ricalcano le orme di Renoir non si poteva sperare, nel caso specifico, di attribuire ai protagonisti del film caratteri che non fossero di accatto. Peccato, perché tecnicamente Ossessione è un film allestito con molta sapienza e qualora si escludano ritorni e lentezze irritanti, rivela capacità singolare. La interpretazione è accuratissima. Ne portano quasi esclusivamente il peso Clara Calamai e Massimo Girotti, affascinanti a vicenda: la prima, bella e femminilmente plebea anche quando dimentica d’esser moglie d’un bettoliere; il secondo trasognato e inquieto come si conviene a una vittima. Juan De Landa, ottimo attore, è il marito infelice.