Claudia Cardinale e Burt Lancaster stanno per cominciare il film tratto dal famoso romanzo di Lampedusa sulla Sicilia del Risorgimento: è lo sforzo più serio e costoso del cinema italiano 1962.

Roma, maggio 1962

Claudia Cardinale è Angelica ne Il gattopardo, il film che Luchino Visconti sta girando in Sicilia. L’attrice spera, nella parte della favolosa bellezza descritta da Tomasi di Lampedusa, di convincere il pubblico delle sue capacità: o, quanto meno, di mostrare che vale i quaranta milioni che le danno per interpretare il personaggio. La Cardinale rappresenta, infatti, un caso limite del nostro cinema e un problema attorno a cui si avvicendano da qualche tempo gli esperti senza trovare il bandolo della matassa. È da cinque anni sulle prime pagine dei giornali, lavora con i migliori registi, è valorizzata da fotografi e uffici stampa, ha ai suoi servizi un incaricato di public relations, il suo sorriso è sulle copertine dei giornali più importanti del mondo, ma il pubblico continua a rimanere freddo nei suoi confronti. Il caso è tanto più strano se si pensa che l’attrice non è mai stata coinvolta in uno scandalo, non ha mai avuto un fidanzato, non ha mai fatto una gaffe, è stata costruita pezzo su pezzo.

Ora ella ha fiducia che Visconti le faccia da Pigmalione. Il personaggio è di quelli che possono rendere famosa un’attrice: l’Angelica del romanzo è una bellezza così radiosa che riempie e illumina di sé tutto lo scenario che la circonda. La prima impressione, allorché Visconti, i produttori Cristaldi e Lombardo e gli sceneggiatori videro la Cardinale nei panni di Angelica, non fu buona: con le crinoline e la parrucca, la grazia prepotente dell’attrice sembrava intristita. Ma in seguito Visconti ha lavorato intensamente: ha costretto l’attrice a vivere in un clima ottocentesco, a muoversi tra mobili e quadri del secolo scorso, a vestire in continuazione gli abiti disegnati per lei. E la Cardinale è diventata Angelica: nella purezza da cammeo che ha assunto la sua immagine sullo sfondo della Sicilia decadente e borbonica descritta dall’autore, c’è il fascino di un’epoca.

Il partner dell’attrice, l’attore Burt Lancaster, che interpreterà la parte del principe don Fabrizio Salina, si alza ogni mattina alle sei e trenta, fa una mezz’ora di ginnastica per sentire meno il peso delle sue quarantanove primavere, beve un doppio succo di frutta, mangia mezzo pompelmo e un toast farcito, poi esce per una lunga passeggiata a Villa Borghese. Non rientra in albergo fino alle nove, ora in cui cominciano i suoi appuntamenti della giornata con i fotografi, il truccatore, il costumista, le sartorie, il suo agente o la segretaria per sbrigare la corrispondenza personale. Tra un impegno e l’altro il neo principe Salina rilegge il romanzo di Tomasi di Lampedusa e la sceneggiatura che ne è stata tratta, facendo di volta in volta qualche annotazione o sottolineando qualche frase, ma è chiaro che morde il freno in attesa di cominciare il film.

L’idea di rimanere a Roma, mentre il regista e tutta la troupe si sono già spostati in Sicilia per cominciare le scene di battaglie, lo mette in agitazione e lo amareggia. Quando Visconti precisò la sua data di partenza, la settimana scorsa, Lancaster disse: « Vengo anch’io ». Ma il regista scosse il capo: « No, no, io vado solo, non ce lo voglio mica, ora: verrà dopo, una settimana prima che comincino le sue scene, per permettergli d’ambientarsi ». Lancaster rimase con un mezzo sorriso gelato sulle labbra, come uno che non abbia capito bene o che finga di non aver capito per vincere un certo imbarazzo. « Io penso », disse più tardi al direttore di produzione, « che rimanere qui sia per me tutto tempo perduto. » Ma le sue parole caddero nel nulla ed egli rimase a Roma.

In Sicilia, Burt Lancaster c’è stato una sola volta, per un paio di mesi, durante l’ultima guerra: ora cerca disperatamente di ricordare qualcosa di quelle emozioni, di quegli incontri, di quella gente, allo stesso modo che cerca di ritrovare sfumature, notazioni utili nei suoi amici di New York, dove nacque e passò tutta l’infanzia. Per far capire di essere vicino al personaggio di un principe siciliano, dice di aver avuto a che fare anche in America con la mafia, ma di essersi sempre trovato bene per la sua saggia abitudine di badare ai fatti suoi e di tacere.

« Mi dicono », afferma, « che in Sicilia ci sono ancora molti Gattopardi e io intendo conoscerli, studiarli, capire la loro mentalità e la loro civiltà. » Entusiasta di natura, Burt Lancaster sta affrontando il personaggio creato da Tomasi di Lampedusa con l’ansia e l’eccitazione di un apprendista. Appena arrivato, per tenersi sulle sue, ammise: « Io, questo personaggio, ancora non so come lo farò ». Visconti lo prese da parte e gli spiegò pazientemente che non era lui a dover entrare nel principe, ma il principe ad entrare in lui. L’attore dormì su questa verità per un paio di giorni, poi il terzo si svegliò sapendo di avere già qualcosa da dare al suo personaggio, avvertendo una certa predisposizione psicologica, sentendoselo già crescere dentro. Visconti lo guardò, soddisfatto che la sua semina desse così presto buoni frutti. Da quel momento, l’attore e il regista si stanno studiando come due pugilatori nel primo round: qualcuno ha detto che sembrano due pavoni che abbiano spiegato la ruota e si girino attorno con circospezione, come se dovessero scoprire chi dei due è il migliore o chi vincerà. È un fatto che lo stregone e l’apprendista stregone recitano alla perfezione i rispettivi ruoli, ambedue cortesissimi ma fermamente decisi a non farsi sopraffare. Ma a questo proposito l’attore americano ha avuto la battuta migliore. « Lo so già come andrà a finire », ha detto arricciando il naso in quel suo sorriso fanciullesco. « Ora il signor Visconti ed io filiamo il perfetto amore, ma fra tre mesi cominceremo a mordere il freno e piano piano ci accorgeremo che il principe Salina è Visconti, non io. »

Di questa verità doveva essersi accorto, da tempo, anche il produttore Lombardo, che limitava al minimo gli incontri con il regista: anzi, più si avvicinava la data d’inizio e più Lombardo li diradava, per evitare di dover dire troppi sì o troppi no. Se il regista è, in genere, un personaggio che tiene in poco conto i suggerimenti del produttore, Visconti è in questo senso il re dei registi. Per varare certe sue idee, il produttore ha dovuto ricorrere ad un modesto trucco: farle proporre da qualcuno dei collaboratori del regista, per non vederle bocciate in partenza. Del resto, fin dal primo giorno in cui ebbe l’incarico di realizzare Il gattopardo, Visconti si mise in mente che gli occorreva l’attore russo Cercassov. Lombardo provò a dissuaderlo e, quando vide che era inutile, interessò l’ambasciata sovietica per avere delle foto recenti dell’attore. Passarono tre mesi e alla fine arrivarono sei foto formato tessera in cui Cercassov appariva magro, irrimediabilmente vecchio e inadatto alla parte. Visconti fece allora il nome di Laurence Olivier. L’attore inglese, che non aveva letto il romanzo ma appariva interessato, avanzò qualche riserva: non avrebbe accettato prima di leggere la sceneggiatura definitiva e voleva essere vicino alla moglie, che allora aspettava un bambino, quando avrebbe avuto il figlio.

L’attore americano firmò il contratto senza conoscere la sceneggiatura definitiva

Giunto a questo punto, Lombardo propose a Visconti Burt Lancaster. Il regista disse: « Per carità! ». Lombardo insistette. Visconti ribatté: « Ma tanto non lo fa ». Il produttore prese il primo aereo per Los Angeles e andò a parlare con l’attore. Lancaster disse di aver letto il libro, già divenuto un best-seller anche in America. Poco convinto di quella affermazione, Lombardo cominciò a chiedere qualche particolare, e dovette convincersi che non solo Lancaster conosceva Il gattopardo, ma lo conosceva anche molto bene. Il colloquio, avvenuto circa otto mesi fa, durò poco più di quattro ore e Lancaster firmò il contratto senza conoscere la sceneggiatura definitiva, fatto abbastanza eccezionale per il cinema americano. Molti hanno scritto che Lancaster ha chiesto per questo ruolo un milione di dollari, cioè più di seicento milioni di lire: in verità egli ha ricevuto un notevole anticipo come minimo garantito (si parla di trecento milioni) da conteggiare sul dieci per cento degli incassi lordi del film in tutto il mondo, il che significa che a completo sfruttamento della pellicola egli potrà avere molto di più.

L’« operazione Gattopardo » era cominciata, comunque, almeno un anno prima che l’incarico venisse affidato alla gestione Visconti: prima di questa data, infatti, Lombardo aveva anticipato un centinaio di milioni. In questa cifra sono compresi i diritti d’autore per la versione cinematografica del romanzo, il pagamento della prima sceneggiatura, l’impegno con il regista Ettore Giannini e il risarcimento danni allo stesso quando venne deciso il suo accantonamento. Giannini aveva preparato un ottimo copione, in cui però c’era tutta la storia d’Italia di quel periodo e pochissimo del Gattopardo: nessuno metteva in dubbio che ne sarebbe uscito un buon film, ma era un film completamente diverso dal progetto iniziale, Lombardo non ne volle più sapere. Sorse una grossa vertenza, che si risolse amichevolmente: il produttore soddisfece le pretese economiche di Giannini, si impegnò a non utilizzare una riga del suo lavoro e ricominciò da capo.

Se Ettore Giannini aveva pensato di servirsi del Gattopardo per darci un’appassionante cavalcata nell’Italia del 1860, con molte invenzioni personalissime, Visconti sarà quasi completamente fedele al romanzo, con qualche diversità di prospettiva rispetto allo spirito del suo autore. Tomasi di Lampedusa vede infatti con molto rimpianto il tramonto della classe aristocratica e la nascita di quella borghese, dalla quale, con un compromesso, nasce l’Italia, mentre ignora quasi completamente la classe contadina. Visconti farà invece sentire come lo sbarco dei Mille fosse atteso anche da certe classi meno abbienti e come, non a caso, coincidesse con la consegna della terra ai contadini e la fine del servaggio. Puntualizzerà, tra l’altro, come al plebiscito non abbiano partecipato i braccianti a causa di certe limitazioni di censo. Secondo Visconti, Lampedusa non poteva ignorare come stessero realmente le cose, ma ha voluto costruire il suo personaggio in un certo modo: l’ambientazione cinematografica dovrebbe essere più realistica, se vogliamo, ma don Fabrizio Salina resterà il personaggio patetico creato dall’autore.

Per questa‘ pellicola “a basso costo” verranno spesi quasi tre miliardi

Un altro cambiamento riguarda la parte iniziale: tanto affascinante nel romanzo, una volta portata in linguaggio cinematografico perdeva quasi tutto il suo effetto. È stata necessaria allora una nuova disposizione della medesima materia, con dei rapidi scorci retrospettivi del principe, che ci danno cognizione di fatti importanti ed essenziali alla comprensione di tutta la storia. Il film, poi, si concluderà con la scena del ballo a Palazzo Ponteleone, con la danza di don Fabrizio ed Angelica, e con il ritorno a casa, la famiglia in carrozza e lui a piedi, sotto le ultime stelle già impallidite per l’alba. Alle sue spalle, la disfatta della nobiltà; davanti a lui la nascita di un ordine nuovo impersonato dal giovane nipote Tancredi e dalla sua bella ragazza del popolo.

L’eliminazione delle ultime quarantaquattro pagine del romanzo, cioè del settimo e dell’ottavo capitolo, con la morte del principe e l’immagine del mondo che aveva lasciato, era stata decisa da Visconti e dai suoi sceneggiatori all’insaputa di Burt Lancaster. Il produttore usò la cortesia di far tradurre la sceneggiatura definitiva dalla stessa persona che aveva tradotto in inglese il romanzo e glie la fece avere a New York alla vigilia della sua partenza per l’Italia. Il primo incontro dell’attore con Visconti e Lombardo poteva quindi riservare anche delle incognite: non tutti gli attori gradiscono l’eliminazione completa di una scena-madre come quella della morte. Invece tutto andò liscio, e addirittura Lancaster si commosse per quanto gli era piaciuto il personaggio. « Ottimo il taglio del finale, non potevate concludere meglio e più modernamente questa meravigliosa storia », disse.

La produzione del film aveva preparato per Lancaster un elenco degli impegni giornalieri, ma non aveva posto accanto ad ognuno l’ora dell’impegno. L’attore lesse il foglio, sorrise incerto, disse « Okay », ma allargò le braccia per far capire che forse, nel copiarlo, si erano dimenticati gli orari. Lombardo, sempre più gentile, spiegò che avevano pensato di far fissare a lui le ore. Lancaster si alzò dalla poltrona assumendo quasi una posa di attenti e disse: « Signor Lombardo, io sono un tuo impiegato, tutto quello che mi dici di fare io lo faccio ».

In questo clima di fratellanza e di euforia è cominciato Il gattopardo, che Lancaster non esita a definire un film rivoluzionario per la storia del cinema ma che qualcuno, più propriamente, ha definito rivoluzionario per la storia dell’economia cinematografica italiana. Secondo il preventivo totale dovrebbe costare infatti due miliardi e novecento milioni, una cifra assolutamente colossale per la nostra industria. « Se gli americani hanno Cleopatra », si dice a Cinecittà, « noi abbiamo adesso Il gattopardo ». Fatte le dovute proporzioni, però, è più costoso Il gattopardo per la cinematografia italiana di quanto non lo sia Cleopatra per quella americana, anche se il produttore Lombardo lo definisce un film « a basso costo ». E per dimostrare che non vuol fare della facile ironia cita una infinità di voci che avrebbero potuto portare davvero Il gattopardo sul piano della follia americana.

« Prendiamo il caso di Bendicò: è l’alano del principe Salina. Visconti voleva un alano nero, un cane molto raro. Dopo molte ricerche ne abbiamo trovato uno, si è calcolato un prezzo minimo di affitto, più il costo dell’istruttore, più la diaria per l’accompagnatore e l’istruttore: totale, cinque milioni e mezzo. Ho detto di no. Niente alano nero, si prenda un alano qualsiasi e lo si trovi in Sicilia. » Riferendo questi dati Lombardo si entusiasma, come per altrettante battaglie vinte. « Prendiamo il caso di Donnafugata: in un primo tempo Visconti disse che voleva ricostruire tutto, e il preventivo si aggirò sui duecentoquaranta milioni. Era troppo. Bisognava setacciare ancora la Sicilia alla ricerca di un paese vero dove, con qualche ritocco, si potesse lavorare tranquilli. Scovarono Palma di Montechiaro. Mi dissero che c’era da fare qualche sistemazione, ma che andava bene. Il preventivo delle “sistemazioni” raggiunse i centoventi milioni, ma avrei accettato, perché ci avrebbe permesso di girare la maggior parte del film. Invece, sorse una difficoltà: la lavorazione del film avrebbe bloccato il centro del paese e, con esso, la strada di maggior traffico. Proponemmo di aprire, per i quattro mesi di lavorazione del film, una strada di circonvallazione provvisoria sotto il paese, per poi ripristinare ogni cosa a film ultimato. Il consiglio comunale tirò fuori allora un vecchio progetto di strada di circonvallazione del costo di sessanta milioni e disse che dovevamo fare quella strada. In più, cominciammo a ricevere telefonate minacciose perché avevamo preso accordi per i trasporti, le costruzioni, le masse, ì pernottamenti con certi individui anziché con altri. C’era da incamminarsi per una brutta strada e tagliammo corto, rinunciando anche a questo paese. La nostra decisione determinò una crisi del consiglio comunale, la caduta del sindaco, l’elezione di una nuova giunta che accettava le nostre prime proposte, ma la macchina della produzione si era già incamminata verso un’altra zona vicino a Palermo, dove tutto fu concluso ad un prezzo migliore. »

Trecento tecnici faranno sparire ogni giorno dai tetti delle case le antenne TV

A parte questi precedenti « difficili », la lavorazione del film richiederà una troupe fissa di duecento persone più una troupe mobile, per le scene di battaglia, di altre settecento persone, perché in Sicilia non si trovano centinaia di cavalli di una certa mole, non si trovano controfigure spericolate per le cadute, non si trovano figuranti specializzati. Tutto questo personale dovrà essere reclutato a Cinecittà e trasferito per alcune settimane nell’isola.

C’è poi un altro piccolo particolare: Visconti ha deciso di fare precedere i titoli di testa del film da alcune scene di battaglie, con le barricate erette nelle vie di Palermo dai picciotti contro i borbonici. Questa introduzione corale al racconto verrà a costare centocinquanta milioni. Non perché sia tanto costoso girare scene di battaglia, ma perché Visconti intende girarle in alcune vie di Palermo che ha trovato molto simili, quasi uguali, a quelle del 1860. Solo che sono diverse le imposte, c’è l’illuminazione elettrica e ci sono le antenne televisive. Devono quindi essere cambiate quasi tremila imposte, previo accordo con i proprietari; deve essere smontato e spostato l’impianto elettrico delle strade e una squadra specializzata di circa trecento tecnici dovrà lavorare quotidianamente per smontare all’alba tutte le antenne televisive della zona e rimontarle all’imbrunire, per permettere la regolare ricezione dei programmi.

Regista di un film colossale, Visconti non vuole essere da meno della sua « opera » che impegna, accanto a Burt Lancaster e a Claudia Cardinale, Alain Delon nel ruolo di Tancredi, Rina Morelli in quello di donna Salina, Paolo Stoppa come padre di Angelica e Romolo Valli come Padre Pirrone: e per le diciannove settimane che resterà in Sicilia ha affittato addirittura un piccolo castello, che arrederà e risistemerà secondo le proprie esigenze con mobili di raro pregio, facendo venire il personale di servizio da Roma e ospitandovi di volta in volta i suoi migliori amici. Alla fine del film lascerà il suo piccolo gioiello di arredamento e di gusto alla abituale proprietaria, e questo dopo aver pagato un milione al mese di affitto. Quando glie lo hanno riferito, Lombardo è diventato pallido. « E chi paga? », ha chiesto con un filo di voce. Il suo interlocutore ha lasciato passare un buon minuto prima di rispondere. « Visconti, naturalmente », ha detto poi. Riprendendo fiato, Lombardo ha riabbassato la testa sulle sue carte. « Questo Visconti », ha borbottato, « ti riserva sempre delle sorprese. »

Giorgio Salvioni

Immagine: Palermo, 14 maggio 1962. Primo ciak del film, a destra di Luchino Visconti, il direttore della fotografia Giuseppe Rotunno.