Incontro con il regista a Cannes – Perché non partecipa al festival come autore – Il film su Puccini e altri progetti
Cannes, 17 maggio 1969
Sembra impossibile, al quarto piano dell’Hotel Carlton (il satellite calcinato requisito da produttori e stelle, sfaticati internazionali e registi invitati dal festival o chissà da chi, più un pulviscolo di ex e di quasi, e fruscii, rumori, grida, musiche, cigolii, campanelli e trilli, da tutto il mondo), il salotto dell’appartamento di Luchino Visconti, presidente della giuria, è fasciato di silenzio. Visconti ha appena finito una riunione con i suoi colleghi («In un’ora e mezzo, abbiamo sistemato una settimana di proiezioni: sono rimasti in gara due film soli, non mi chieda quali»).
È seduto ad un tavolo illuminato da un abat-jour: il lume della sera s’allontana sul mare; e le tendine, d’altra parte, sono calate. Sul piano del caminetto spento è posata una scatola di frutta candita. I mobili sono solidi, come una vecchia casa non provvisoria. Su di un tavolinetto bicchieri, ghiaccio e bottiglie assortite; giornali italiani e stranieri sono seminati sulla moquette. Ad una parete è appesa una copia del piccolo flautista di Monet («Già, fa pensare ai macchiaioli, alle scene militari di Fattori»).
Il presidente è su di giri «Da tempo non potevo vedere tanti film; sembra un corso di aggiornamento»; è contento degli amici che lavorano con lui nella giuria «l’importante è che abbiamo un linguaggio comune. Anche con Spiegel, si dialoga liberamente. E poi più che un produttore è un regista»; si trova a suo agio, pieno di fervore e di curiosità. «Certi film sono tornato a rivederli, anche perché non faccio vita mondana. Non mi è mai piaciuta. Non sono né un contestatario né un conservatore. Né voglio essere un trait-d’union fra nessuno. Mi hanno invitato e sono venuto. Come la pensi non si sa. Non si cambia in quindici giorni, soprattutto quando uno, come me, è affezionato soprattutto ai propri difetti».
«Avrebbe preferito trovarsi a Cannes come autore di Götterdämmerung invece che come presidente della giuria?»
«Non ci ho pensato. Sono stato a molti festival, da Cannes a Venezia, ed ho sempre accettato le regole del gioco. Quest’anno mi trovo dall’altra parte, è tutto».
«Scusi, prima ha nominato Venezia. Al Lido tornerà ad essere un autore?». Visconti, senza esitare, risponde che no, Il crepuscolo degli Dei non andrà a Venezia. «Ho accettato piuttosto di esporlo al festival delle Bahamas, il mese prossimo. In Italia uscirà in ottobre, a Roma e a Milano. Per tornare a Venezia, non sono d’accordo con le proposte di Laura. Allora, aboliamo i festival e le Mostre. Non ha senso lasciare in vita le manifestazioni con tutto quello che si portano dietro, ed abolire i premi, la competitività. Non c’è rivalsa. Uno rischia senza senza contropartita. Rocco, Senso, La terra trema, anche se sono stati sfortunati, si sono però avvantaggiati della gara. Mi ha fatto piacere vincere con le Vaghe stelle dell’Orsa. Di fronte alle nuove prospettive, preferisco presentare i film normalmente, al pubblico ed alla critica. A Roma sta andando molto bene la riedizione del Gattopardo; e sta per uscire la versione integrale di Rocco, senza più alcun taglio o oscuramento. Ho vinto la causa, come sa. Venezia è sempre stata due settimane di noia, su quell’isolotto abbandonato, figuriamoci quest’anno».
«E Cannes?»
«C’è più gente almeno, un po’ più di vivacità, anche se il pubblico mi ha deluso. Non ha dei veri interessi. Da un punto di vista culturale, bisognerebbe migliorare le condizioni di lavoro, soprattutto della critica. Forse un film al giorno, incontri autentici con gli autori, non so. Giudicare un’opera nelle vostre condizioni è come visitare una città attraversandola in treno».
«Che cosa pensa dei fermenti giovanili, degli atti dell’avanguardia, tanto per intenderci?»
«Già, più spesso sono retroguardie che cercano di confondere le carte e di far sparire i documenti originali per stupire o trovar credito soprattutto presso i non informati o i complici. Ai miei tempi ho girato Ossessione, e le dirò che l’altra notte sono andato a vedere, per esempio, il film di Carmelo Bene, con il desiderio di amarlo. Amici di cui mi fido m’avevano parlato a Roma, con interesse, di Nostra signora dei turchi, ed io speravo… Le giuro che sono andato al cinema con la migliore buona volontà. Invece sono rimasto male, anche se c’erano momenti molto suggestivi, che mi sono piaciuti, delle trovate. come quella della moglie nuda che serve quei piatti fantastici. Esagerato m’è sembrato l’omaggio a Week-end di Godard. Tutta la prima parte di quel film è un capolavoro… È che è facile abbandonarsi scompostamente, scegliere, o subire meglio, il caos, l’arbitrio, l’inmotivazione. Tutti si credono dei Rimbaud».
«Scusi, Visconti, non ha dei progetti irrealizzati nel tempo che si porta dentro con nostalgia?».
«Non ho rimpianti, anche perché non ne ho il tempo. Ricevo sempre nuove proposte di lavoro. Romy Schneider quando è stata qui l’altro giorno mi ha riparlato del film sull’affare Tarnowska. Ma costerebbe l’iraddiddio… Farò invece il film su Giacomo Puccini con Marcello Mastroianni. Ci pensavo da due anni, ora finalmente ho trovato il canale giusto. Non sarà una biografia. Presenterò alcuni momenti della vita del musicista, ch’era un uomo tormentato, ricco di dubbi, come si ricava dal carteggio. Sentì profondamente, con intelligenza, che i tempi mutavano… guardava a Schoenberg e a Debussy. Sarà un film drammatico, con la musica che il pubblico si aspetta, naturalmente».
«E il film da Proust, di cui ogni tanto si parla?».
«Esiste un trattamento al quale ho lavorato con Ennio Flaiano. Forse si potrà concludere con gli americani, tramite Ponti. Abbiamo tenuto presente in particolare Sodoma e Gomorra, ma il racconto seguirà il protagonista fin dall’infanzia. Una sorta di somma della Recherche. Ma voglio essere molto sicuro».
«E ad una storia interamente milanese non pensa?».
«Certamente, da sempre. Adoro la mia città anche se è diventata brutta come il diavolo. So che il pubblico milanese non va più al teatro. Sarei dovuto tornare per una regia alla Scala… Penso alla storia di una famiglia, dalla fine dell’Ottocento fino al bombardamento spaventoso di un agosto dell’ultima guerra. Dovrebbe riassumere ed esaltare tutti i motivi milanesi che ho scheggiato, quando ho potuto, nei miei film. Farò così anche con Puccini, che è stato, per molte stagioni, l’idolo di un certo mondo ambrosiano, di una certa società».
Durante la conversazione, lungo la quale Visconti ha risposto con grande cortesia, senza reticenze od esclusioni, il telefono ha suonato una sola volta. Beviamo un aperitivo; Visconti si alza, sistema alcuni fogli sparsi sullo scrittorio, forse appunti della seduta delle giuria, o sui film visti via via. Gli chiedo se non ha mai tenuto un diario; risponde che no, con tono di giustificazione, sa benissimo che, per un protagonista e testimone come lui, è un gran peccato. Aggiunge: «Preferisco discorrere con gli amici di tutto. La prossima volta parleremo d’altro, della vita, dei sentimenti, della scapigliatura… Tarchetti, è il centenario, Boito… Sì, certo; di dove va il cinema, anche; di dove andiamo noi, che è più importante…».
Alberico Sala